Usa-Europa: è una rottura drammatica, di cui la guerra dei dazi e il divergente giudizio sulla Russia sono la diretta conseguenza
L’alleanza fra Europa e Stati Uniti era cementata da una comune visione della democrazia. Oggi invece dominano gli interessi su una priopria area di inflenza. E Trump riconosce a Mosca noi stessi nella sua area. Prima o poi la Nato doveva finire. Ma finisce male e nella confusione. Si parla di una nuova Yalta: sarebbe meglio con più Europa. Ma Mosca vuole vicini pacifisti, che devono accettare però un vicino russo molto armato L'articolo Usa-Europa: è una rottura drammatica, di cui la guerra dei dazi e il divergente giudizio sulla Russia sono la diretta conseguenza proviene da FIRSTonline.


E’ una drammatica rottura culturale fra Stati Uniti ed Europa, dice l’ex premier svedese Carl Bildt. Di questa rottura culturale, l’ingiustificata guerra tariffaria e i giudizi divergenti sulla Russia di Putin sono dirette conseguenze. L’alleanza fra Europa e Stati Uniti, da questi ultimi fortemente voluta in funzione anti-Urss a partire dalla fine della Seconda Guerra mondiale, era cementata da una comune visione della democrazia dopo la fine di nazismo e fascismo, dice Bildt, e da un comune profondo sospetto verso i regimi autoritari.
Oggi, in nome del “realismo” si può aggiungere, stradominano a Washington gli interessi, intesi in modo tutt’altro che lungimirante. E fra gli interessi di ogni potenza c’è quello di avere una propria area di influenza. Le mosse sconsiderate su Canada, Groenlandia e Panama sono tutte qui, è la zona di influenza americana. E quindi Trump riconosce a Mosca la propria area di influenza. Siamo noi, più o meno.
Nel 45-49 quando si definì la nuova era l’area “di rispetto” russa si fermava grossomodo lungo una linea Vienna-Berlino-Baltico. Senza più l’interesse americano per l’Europa, anzi con l’ostilità americana per l’Europa, non c’è più nessuna demarcazione.
Prima o poi la Nato doveva finire. Ma finisce male e nella confusione
La fine della più lunga alleanza politico-militare della Storia moderna è sotto i nostri occhi. Molti storici considerano Alleanza Atlantica e Nato un grande successo politico e militare, ma ugualmente viene cestinata, e dagli Stati Uniti. Ci sono anche chiare responsabilità europee, l’essersi cullati a lungo, mugugnando, ma con scarso impegno concreto, all’ombra della bandiera a stelle e strisce.
Prima o poi la Nato doveva finire, perché un’area ricca non può affidare all’infinito la propria difesa strategica a un’altra area distante 7 mila chilometri. Ma finisce male e nella confusione, senza programmi né una chiara analisi, in molti Paesi tra cui l’Italia, su che cosa vuole Mosca in Europa. E su che cosa vogliono gli Stati Uniti, se andarsene davvero (e a questo punto difficilmente sono ancora i benvenuti) o fare solo confusione. Il mondo transatlantico non sarà mai più lo stesso, conclude Bildt.
Come reagirà il dollaro? E i rapporti economici Usa-Ue? I costi saranno consistenti
Questo non avverrà senza grossi costi economici, sostiene Stephen S. Roach, oggi docente a Yale e a lungo capo economista e poi top manager a Morgan Stanley. I mercati sopportano male le mosse protezionistiche e la confusione di strategie economiche alle quali il governo Trump si affida. Come reagirà il dollaro? Il tutto coinvolge in pieno i rapporti economici enormi esistenti tra Stati Uniti ed Europa, senza confronti fra due aree mondiali quanto a interscambi e a investimenti incrociati.
Una nuova Yalta? Per Mosca gli europei sono dei nani militari
Si parla con facilità, confusamente, di una nuova Yalta. Meno America e più Russia, o che cosa? Più Europa sarebbe la risposta buona, quell’Europa di Bruxelles che gli Stati Uniti di Trump ora disdegnano e la Russia non ha mai voluto e continua a non volere. Quel tanto di Europa che c’è, la Ue, per lei non esiste. Nessun ruolo quindi nella trattativa sull’Ucraina agli europei che hanno osato armare Kiev, e Trump sottoscrive. La Russia è una superpotenza e gli europei dei nani militari. Così da sempre ragiona Mosca, anche se ha un Pil nettamente inferiore a quello italiano, pur con un territorio 57 volte più grande.
La storia si ripete
Alla Conferenza alleata di Yalta, a inizio 1945, si fa risalire la spartizione dell’Europa in Est ed Ovest, cosa che in realtà fu chiaramente avviata da Washington, Mosca e Londra già alla Conferenza di Teheran, a fine 1943. Roosevelt guardava con un certo favore a Stalin e lo descriveva agli americani come un partner rozzo ma affidabile con cui gestire il mondo dopo la guerra, un mondo “safe for democracy” come diceva nel 1917 Woodrow Wilson e ripeteva 25 anni dopo in varie forme Roosevelt. Democrazia con Stalin?
Il tutto serviva a dare agli americani un nobile obiettivo per tanti sacrifici, oltre a quello della fine del colonialismo (britannico e francese). Roosevelt ripeteva a Stalin che gli Stati Uniti avrebbero lasciato del tutto militarmente l’Europa al massimo due anni dopo la fine della guerra: temeva il forte isolazionismo americano, che non obiettava, tutt’altro, all’ “annessione” economica e finanziaria di altri mercati, ma senza responsabilità strategiche, e vincoli . Churchill cercava già nel 1944 di favorire le iniziative congiunte fra Paesi europei, è lui il padre del Benelux, pensando a quanto sarebbe stato difficile per una Londra esausta fare l’ago della bilancia sul continente. Stalin si oppose a lungo al Benelux, precedente pericoloso, e avrebbe voluto iscrivere nei documenti ufficiali il divieto di ogni alleanza fra le nazioni europee. Era la logica del divide et impera. A Teheran Harry Hopkins, il plenipotenziario di Roosevelt, confidava che ormai per il Presidente il problema non era Stalin, con il quale riteneva di avere obiettivi finali convergenti, ma Churchill, troppo preoccupato per l’avanzata russa in Europa e per l’Impero britannico.
L’ex ambasciatore a Londra e star della diplomazia sovietica, Ivan Maisky, tracciava a inizio 1944 per il ministro degli Esteri Molotov e per Stalin 40 pagine di sguardo al futuro: una Germania demilitarizzata e deindustrializzata, una Francia con severi limiti al riarmo, un’Italia “insignificante” , un solo potente esercito sul continente, quello sovietico, e Londra libera di mantenere la più forte marina da guerra, ma fuori dai giochi. E l’America lontana, separata da due enormi oceani. In 30-50 anni diceva Maisky l’Europa, la sua parte continentale almeno, sarà tutta socialista e l’Urss così potente da non temere nulla. Maisky metteva anche in guardia: l’America era in grado, con un altro Presidente, di “ crearci seri problemi…stimolando la rinascita di Germania e Giappone…costruendo in Europa un blocco anti-sovietico usando Paesi come la Francia…”. E’ quello che farà Harry Truman, e faranno i successori, più o meno chiaramente, fino a Trump. Un vero pericolo poi, diceva ancora Maisky, era se gli Stati Uniti si fossero avvicinati alla Cina.
Anche l’ex ministro degli Esteri Maxim Litvinov disegnava nel 1944 un quadro simile, demolendo il concetto di Comunità Atlantica lanciato dall’autorevole giornalista e saggista americano Walter Lippman: “troppo fantasioso e irrealistico per essere preso sul serio”. Anche lui, come anche l’autore di un terzo analogo scenario, il giovane ambasciatore a Washington Andrei Gromyko, aveva tre punti fondamentali, oltre a quello della forza militare dominante sul continente euroasiatico: irrinunciabili le frontiere del 1941, conquistate cioè grazie all’alleanza con Hitler; una Germania e un Giappone deboli; governi amici alla periferia dell’impero, in particolare sul fronte occidentale, cioè in Europa. Il concetto russo di governi amici è noto.
Troppa Storia? Ma a volte la Storia ritorna, o meglio, suona sullo sfondo gli stessi ritmi. Una strana assonanza unisce, parlando di Russia, certa diplomazia americana di questi giorni con quella del presidente Roosevelt, che la storiografia americana considera un grande in politica interna, meno grande come stratega per il futuro postbellico. Nel 1936 Roosevelt nominò ambasciatore a Mosca il fidato Joseph. E Davies, avvocato e finanziere, con il compito di migliorare i rapporti con Mosca dopo i tre anni di William C. Bullitt, un altro amico, figlio dell’aristocrazia di Philadelphia, nel 1917 a Mosca e sostenitore dei rivoluzionari, e proprio per questo nel 1933 primo ambasciatore per la ripresa delle relazione diplomatiche. Bullitt non aveva molto apprezzato l’involuzione ipernazionalista e imperialista dei vecchi rivoluzionari, e lo aveva fatto capire. Davies suonava un’altra musica, è sufficiente leggere le pagine critiche che gli dedica George F. Kennan allora funzionario di rango all’ambasciata e futuro astro del Dipartimento di Stato fino ai primi anni ’50: continui elogi del Cremlino, i processi staliniani un esempio di correttezza giuridica, mai sentito della crudelissima ecatombe provocata in quegli anni in Ucraina dal sequestro costante di ogni cibo (5-6 milioni di morti per fame), quotidiani rapporti con i corrispondenti dei giornali americani per fornire loro continui spunti di ottimismo sull’Urss a uso dei loro lettori. E alla fine, per Davies, un sontuoso ricevimento di addio offerto dal Cremlino presente Stalin, cosa mai vista per un ambasciatore.
Il sogno di Trump: cogestire tutto con i russi, dalle rotte marittime, al gas, all’intelligenza artificiale
Un modello per Steve Witkoff, amico di lunga data di Trump e come lui immobiliarista, al quale è stata affidata ora la trattativa per il caso ucraino. “Penso che sia stato onesto e diretto con me”, dice Witkoff del suo rapporto con Putin. In un’intervista con Tucker Carlson, giornalista tv supertrumpiano e autore mesi fa di un colloquio in ginocchio con Putin, Witkoff dice che l’idea di alcuni alleati Nato di una forza di interposizione è sciocca, “un misto di ostentazione e vanità” assunto per essere all’altezza di uno spirito churchilliano contro i russi che stanno per marciare sull’Europa, ipotesi “assurda”. E alla fine, un sogno: “potremmo cogestire con i russi rotte marittime (vedi Groenlandia, ndr) forse vendere insieme gas all’Europa, forse collaborare per l’intelligenza artificiale”, dopo un accordo che cede a Mosca le terre conquistate all’Ucraina e impedisce a Kiev ogni aggancio alla Nato. “Chi non vorrebbe vedere un mondo come questo?”
Lo stile ham-handed di Trump: blandire i potenti e schiacciare i deboli
Dietro questa nuova America c’è l’approdo, magari inconscio, di milioni di elettori alla scuola del realismo in politica estera, sempre esistita, ma da decenni emarginata negli Usa e da un paio di lustri riemersa, ora alla grande. Dice che contano i rapporti di forza, non i grandi principi, e in parte è vero. Ed è riemersa perché la forza degli Usa non è più dominante come in passato. Estremizzata, e Trump così fa con stile oltretutto ham-handed, cioè incompetente, dice che per prosperare in un mondo crudele occorre blandire i potenti e schiacciare i deboli. Questa è Washington, oggi. Nessun vero realista parlerebbe di annettersi Canada, Gaza, Panama e Groenlandia, dice il politologo Stephen Walt, che ha coniato perciò il termine di “Neanderthal realism”.
Meglio considerare finita la Nato, se si ritiene giustamente la deterrenza americana il perno del tutto, finita la comunità atlantica, finita la vicinanza europea agli Usa, finito un mondo insomma, per andare non si sa bene dove. A Washington hanno una tabella di marcia, sicuramente, ma ham-handed, probabilmente.
Elbridge Colby, prossimo alla nomina a sottosegretario alla Difesa per la strategia, nipote di William Colby direttore della Cia anni 70, è al momento il campione del realismo trumpiano a Washington. Tempo fa Colby ha superato la prova del fuoco del trumpismo, dichiararsi convinto che Trump era il vincitore del 2020 e che la Casa Bianca gli fu rubata. E così, il tutto fondato su una menzogna, la nuova America è pronta a cambiare il mondo. Qualche ragione ce l’avrebbe pure, ad esempio criticare come si è allargata la Nato a Est, troppo, ma occorre aggiungere che non si trattò di una campagna acquisti, bensì di sedici Paesi che bussavano alla porta, il recente caso finlandese e svedese lo conferma.
Mosca vuole vicini pacifisti, che devono accettare però un vicino russo molto armato, ed è ansiosa per una Finlandia che, per esperienza, si è armata da tempo fino ai denti. Non è facile essere vicini dei russi, fermi ai loro sogni del 1944 e decisi sembra a recuperare la sconfitta nella Guerra Fredda, armatissimi e che vogliono vicini disarmati. Tutti gli europei sono ora vicini dei russi.