Usa deportano a El Salvador membri della gang Tren de Aragua: così la repressione diventa spettacolo
La recente deportazione di 238 presunti membri del Tren de Aragua dagli Stati Uniti a El Salvador di Bukele ha scatenato un acceso dibattito internazionale. Questa misura, promossa dall’amministrazione Trump, è stata presentata come un colpo alla criminalità organizzata, ma in realtà mette in luce le profonde lacune di una strategia di sicurezza basata sulla […] L'articolo Usa deportano a El Salvador membri della gang Tren de Aragua: così la repressione diventa spettacolo proviene da Il Fatto Quotidiano.

La recente deportazione di 238 presunti membri del Tren de Aragua dagli Stati Uniti a El Salvador di Bukele ha scatenato un acceso dibattito internazionale. Questa misura, promossa dall’amministrazione Trump, è stata presentata come un colpo alla criminalità organizzata, ma in realtà mette in luce le profonde lacune di una strategia di sicurezza basata sulla criminalizzazione di massa, il populismo punitivo e la violazione dei diritti fondamentali.
Il Tren de Aragua è un’organizzazione criminale nata in Venezuela, che si è espansa in Colombia, Perù, Cile e, più recentemente, negli Stati Uniti. Le sue attività includono traffico di droga, estorsione, sequestro di persona e tratta di esseri umani, infiltrandosi nelle comunità migranti e sfruttando la vulnerabilità dei rifugiati. Tuttavia, invece di affrontare le cause strutturali della criminalità organizzata, Trump ha scelto di applicare una misura estrema e senza precedenti: la Legge sui Nemici Stranieri del 1798, una normativa quasi dimenticata che consente la deportazione di cittadini di paesi considerati “nemici” senza la necessità di un processo giudiziario formale.
L’amministrazione repubblicana ha giustificato la decisione affermando che i membri del Tren de Aragua rappresentano una minaccia per la sicurezza nazionale. Questa manovra non solo è profondamente arbitraria, ma viola i principi fondamentali del giusto processo a tal punto che un giudice federale ha provato a bloccare temporaneamente la deportazione, evidenziandone l’illegalità e la mancanza di rispetto dei diritti fondamentali. Più che un atto di sicurezza, si crea una narrazione elettorale che trasforma i migranti in capri espiatori di tutti i mali del Paese.
E se c’è un leader che sa sfruttare la sicurezza come strumento propagandistico, quello è Nayib Bukele e infatti l’arrivo dei deportati in El Salvador è stato gestito con un imponente dispiegamento mediatico. Prigionieri scalzi, incatenati e trasferiti in fila al Centro di Confinamento del Terrorismo (Cecot), una delle carceri di massima sicurezza più grandi al mondo, creata da Bukele come simbolo della sua “tolleranza zero” contro la criminalità. Dal 2022, il suo governo ha arrestato oltre 70.000 persone nella sua guerra contro le gang.
Sebbene la sua politica sia stata applaudita da alcuni settori che apprezzano la riduzione del tasso di omicidi, organizzazioni come Human Rights Watch e Amnesty International hanno denunciato gravi violazioni dei diritti umani, arresti arbitrari, torture ed esecuzioni extragiudiziali. Si stima che più di 100 persone siano morte in custodia statale, mentre migliaia di famiglie denunciano l’arresto ingiustificato di giovani senza legami con bande criminali, fermati sulla base di prove insufficienti o pregiudizi razziali e socioeconomici.
Il Cecot, la prigione dove sono stati inviati i deportati accusati di appartenere al Tren de Aragua, è diventato un simbolo di repressione e assenza di garanzie giudiziarie. Le immagini dei detenuti sottoposti a trattamenti degradanti ricordano regimi autoritari in cui la sicurezza viene imposta a scapito della dignità umana. Bukele non combatte il crimine con la giustizia, ma con il terrore, e quella che sembra una vittoria potrebbe trasformarsi in una crisi umanitaria all’interno del suo sistema carcerario.
Dal canto suo il governo del Venezuela ha condannato le deportazioni, definendole illegali e contrarie al diritto internazionale. Caracas ha invitato la Comunità degli Stati Latinoamericani e Caraibici (Celac) a esprimersi contro questo precedente pericoloso, che potrebbe portare ad espulsioni arbitrarie di migranti latinoamericani senza un adeguato processo.
Deportare presunti membri del Tren de Aragua senza un’adeguata indagine potrebbe significare inviare persone innocenti in un sistema carcerario brutale, dove potrebbero essere torturate o addirittura giustiziate senza un processo equo.
Quanto avvenuto evidenzia una tendenza pericolosa negli Stati Uniti e in America Latina: l’uso della sicurezza come strumento di controllo politico. Sia Trump che Bukele hanno trasformato la repressione in uno spettacolo mediatico, in cui i diritti umani sono sacrificabili e la giustizia cede il passo alla propaganda.
Sebbene sia essenziale combattere il crimine organizzato con determinazione, questo non può significare un arretramento dei principi fondamentali dello Stato di diritto. Politiche basate sulla repressione indiscriminata, sul carcere di massa e sulla negazione delle garanzie giudiziarie creano un precedente pericoloso per tutta la regione. In un mondo in cui la sicurezza viene sempre più spesso usata come pretesto per erodere le libertà fondamentali, è cruciale chiedere politiche efficaci ma rispettose dei diritti umani.
Senza giustizia, trasparenza e un approccio integrato, la lotta contro la criminalità organizzata non sarà altro che un circo autoritario, dove il vero sconfitto è la democrazia.
L'articolo Usa deportano a El Salvador membri della gang Tren de Aragua: così la repressione diventa spettacolo proviene da Il Fatto Quotidiano.