Trump frena Musk e la sua rivoluzione dei licenziamenti: “Consiglia, non decide lui”
Trump frena sulla rivoluzione dei licenziamenti: Musk ridotto a consulente mentre la strategia diventa più misurata. Intanto la Casa Bianca affronta una serie di contraddizioni interne ed esterne L'articolo Trump frena Musk e la sua rivoluzione dei licenziamenti: “Consiglia, non decide lui” proviene da FIRSTonline.


Donald Trump e Elon Musk, una coppia che prometteva scintille e non ha deluso le aspettative. Ma ecco la prima frenata: il presidente Usa ha deciso di rivedere la strategia sui licenziamenti di massa nella pubblica amministrazione. Addio all’ascia, benvenuto al bisturi. E, soprattutto, a decidere non sarà Musk.
Eppure, solo pochi giorni fa, Trump aveva lodato il patron di Tesla per il lavoro svolto alla guida del Dipartimento per l’Efficienza Governativa: “Grazie, Elon, stai facendo un grande lavoro. Anche l’altra parte lo apprezza”, ha dichiarato, riferendosi ai Democratici, che hanno reagito con mormorii di disapprovazione. Parole che sembravano confermare il pieno sostegno presidenziale. Poi c’è stata la retromarcia.
Trump e Musk: il colpo di freno alla rivoluzione dei licenziamenti
In quello stesso contesto, Trump aveva lasciato intendere che fino a un milione di dipendenti federali potessero essere considerati “licenziabili” o addirittura “inesistenti” senza l’approvazione di Musk. Tuttavia, la situazione è cambiata. Giovedì, secondo quanto riportato da Politico, il presidente ha riunito la sua squadra di governo e, dopo aver valutato le conseguenze, ha optato per un approccio più cauto: eliminare gli sprechi, ma con maggiore discernimento. “Non voglio vedere un taglio così grande da cui vengano penalizzate anche molte persone meritevoli,” ha dichiarato ai giornalisti nello Studio Ovale. Una netta correzione rispetto alla linea adottata finora.
E Musk? Pur rimanendo una figura influente, il suo ruolo è stato ridimensionato a quello di consulente. In pratica, potrà fare raccomandazioni ai dipartimenti, ma non avrà più il potere di prendere decisioni unilaterali su questioni di personale e politiche. Saranno, infatti, i segretari di gabinetto a dover prendere le decisioni finali.
Non sono solo le proteste interne ad aver convinto Trump a moderare l’approccio. Le disfunzioni nell’amministrazione, il malcontento crescente tra i ministri e l’opposizione dei giudici contro licenziamenti ritenuti illegali hanno reso il piano troppo rischioso. Il patron di Tesla, messo sotto pressione, ha scelto di ritirarsi con una dichiarazione strategica: “Non biasimate me per i licenziamenti”.
Dazi, minacce e sospensioni: il balletto di Trump
Dopo aver annunciato dazi al 25% su Messico e Canada, la Casa Bianca ha sospeso la maggior parte delle misure per un mese. Il motivo? La dura reazione dei due Paesi e il crollo dei mercati, con borse e dollaro in ribasso. Anche se il presidente Usa ha dichiarato di “non guardare i mercati” perché “i benefici si vedranno a lungo termine”.
Trump insiste che non si tratta di una guerra commerciale, ma di “dazi punitivi” contro il traffico di fentanyl e l’immigrazione clandestina. Tuttavia, il Canada è responsabile di meno dell’1% del fentanyl negli Usa, come ha sottolineato il ministro del Commercio Howard Lutnick.
L’obiettivo di Trump potrebbe essere un altro: spingere i vicini a rinegoziare l’Usmca con condizioni più favorevoli agli Stati Uniti. Ma il piano rischia di sfuggirgli di mano. Dopo una telefonata con la presidente messicana Claudia Sheinbaum, Trump ha concesso una proroga per evitare contromisure economiche. “Lo faccio per rispetto della presidente Sheinbaum”, ha dichiarato su Truth Social.
Nel frattempo, il presidente della Camera messicana del trasporto merci, Miguel Ángel Martínez, ha segnalato che i dazi stanno già avendo effetti concreti: oltre 200mila camion sono bloccati ai valichi di frontiera. Il Canada, invece, ha sospeso la maggior parte delle ritorsioni contro Washington dopo l’estensione della tregua.
Caos sugli immobili federali: retromarcia improvvisa
Un altro segnale della confusione in corso è il caso degli immobili federali. Il 4 marzo, l’amministrazione Trump ha pubblicato un elenco di 443 edifici pubblici da vendere perché “non essenziali”, inclusi il quartier generale dell’Fbi e le sedi dei Dipartimenti di Giustizia e Lavoro. Poche ore dopo, la lista è scesa a 320, eliminando gli edifici di Washington, Virginia e Maryland. Il giorno successivo? La lista è scomparsa del tutto, con la Gsa che annuncia un nuovo elenco “in arrivo”.
Trump, però, non rinuncia alla sua offensiva burocratica. È pronto un ordine esecutivo per smantellare il Dipartimento dell’Istruzione e trasferire le competenze ai singoli Stati. Ma servirebbe una legge con il voto di 60 senatori, mentre i Repubblicani ne hanno solo 53. Nel frattempo, la ministra Linda McMahon è incaricata di attuare tagli mirati nel rispetto delle norme.
Un balletto di decisioni e contro-decisioni che lascia mercati e alleati con il fiato sospeso. Musk dovrà accettare un ruolo più defilato, mentre Trump cerca di mantenere la presa senza sembrare troppo indeciso.