L’Italia non cresce da oltre 20 anni: perché “i conti non tornano” e come uscire dalla stagnazione

Nel suo libro I conti non tornano, Massimo Taddei analizza le cause della stagnazione economica italiana, sottolineando come le statistiche, se non interpretate correttamente, possono distorcere la realtà L'articolo L’Italia non cresce da oltre 20 anni: perché “i conti non tornano” e come uscire dalla stagnazione proviene da FIRSTonline.

Mar 18, 2025 - 06:42
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L’Italia non cresce da oltre 20 anni: perché “i conti non tornano” e come uscire dalla stagnazione
Economia europea
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Se i numeri non mentono, spesso ci raccontano solo mezza verità. È da questa premessa che parte Massimo Taddei nel suo “I conti non tornano. I numeri ci parlano, impariamo a leggerli per capire perché l’Italia non cresce più“. Taddei, giornalista economico e cofondatore e direttore di Economika, la realtà del gruppo Starting Finance che racconta l’attualità politico-economica sui social network e offline, ci guida in un’analisi approfondita della stagnazione economica del Paese.

Il titolo del libro è chiaro e diretto: dietro ogni statistica si celano dinamiche complesse che, se non interpretate con attenzione, rischiano di distorcere la realtà. Con questo volume, Taddei ci invita a non fermarci alla superficie dei numeri, ma a leggere tra le righe di un’economia che fatica a decollare e che, da decenni, sembra incapace di trovare una via d’uscita dalla stagnazione.

Il grande enigma della crescita italiana (o meglio, della sua assenza)

Il libro si apre con un dato che non si può ignorare: da oltre vent’anni, l’Italia non cresce. Dopo il boom post-bellico, che ha visto una straordinaria espansione del Pil, l’economia italiana ha subito un rallentamento drammatico. Questa fase di stallo si è intensificata con la crisi finanziaria del 2008 e la successiva crisi del debito sovrano nel 2012. Mentre Paesi come gli Stati Uniti hanno recuperato rapidamente, l’Italia è rimasta impantanata. La causa di questa lunga fase di stallo, spiega Taddei, non è unica ma piuttosto il risultato di molteplici fattori che si intrecciano tra loro, creando un circolo vizioso difficile da interrompere.

Uno dei principali problemi è il tasso di occupazione, drammaticamente basso: meno di due italiani su tre lavorano, un dato ben inferiore alla media europea. A questa difficoltà si aggiungono una produttività stagnante (+0,2% dal 1995, contro il +16% di Francia e Germania) e un sistema demografico sbilanciato. La popolazione italiana invecchia, mentre il tasso di natalità rimane tra i più bassi d’Europa, senza un ricambio generazionale adeguato a sostenere la crescita a lungo termine.

Un altro fattore determinante è il ritardo nell’ambito dell’istruzione e della formazione: l’Italia è il penultimo Paese dell’Ue per percentuale di laureati e tra gli ultimi per formazione continua. Ciò limita lo sviluppo del capitale umano e riduce le opportunità di innovazione. Questa combinazione di elementi si riflette anche sui salari, che sono stagnanti da oltre trent’anni: tra il 1990 e il 2023, i salari reali in Italia sono addirittura diminuiti del 2,9%, mentre in Germania sono aumentati del 34%. Il divario con il resto d’Europa cresce ogni anno, rendendo l’Italia sempre meno competitiva e più distante dalle economie più avanzate.

A complicare ulteriormente la situazione ci sono altri fattori strutturali. La spesa pensionistica è cresciuta esponenzialmente, raggiungendo nel 2023 i 317 miliardi di euro, pari al 15,3% del Pil, uno dei valori più alti tra i Paesi Ocse. Il debito pubblico continua a crescere, la pubblica amministrazione è spesso inefficiente e la pressione fiscale rimane alta, senza che questi fattori siano accompagnati da un adeguato incremento della crescita economica. In questo contesto, diventa sempre più difficile avviare un serio rilancio dell’economia.

Le conseguenze sono evidenti: il Paese soffre di un’emorragia costante di talenti. Ogni anno circa 25mila laureati lasciano l’Italia alla ricerca di migliori opportunità all’estero, aggravando ulteriormente la carenza di forza lavoro qualificata.

Un libro che aiuta a capire

Alla fine, I conti non tornano ci offre una lettura chiara e disincantata della realtà economica italiana. Il Pil non cresce perché il Paese è ostaggio di una serie di fattori strutturali che soffocano l’innovazione, la competitività e la produttività. In questo contesto, è essenziale un cambiamento radicale nelle politiche economiche, che non si limiti a soluzioni temporanee, ma che favorisca un vero rilancio del Paese. Solo così l’Italia potrà finalmente tornare a crescere.