Trump 2.0 e il sistema finanziario globale
Apparentemente viviamo tempi confusi! Sicuramente la pensano così molti imprenditori, altrettanti sedicenti (nonostante la carica formale) responsabili finanziari e, certamente, tutto il pubblico comune, diremmo così: “l’uomo della strada”. Trump […]

Apparentemente viviamo tempi confusi! Sicuramente la pensano così molti imprenditori, altrettanti sedicenti (nonostante la carica formale) responsabili finanziari e, certamente, tutto il pubblico comune, diremmo così: “l’uomo della strada”.
Trump è pazzo! Si sente risuonare nelle conversazioni più o meno amichevoli e spesso “da bar” o, altrettanto spesso, nei consigli d’Amministrazione: tutti sono focalizzati sui dazi, sule barriere al commercio internazionale, linfa vitale di un mondo economico sempre più integrato. Moltissimi non guardano assolutamente, però, al quadro più generale, alla “Big Picture”.
A questo punto per gli osservatori che non si fermano alla prima impressione diventa difficile non ricordare il famoso detto: “guardare il dito che punta alla luna”! Ecco secondo me è una delle frasi più belle e significative mai coniate dal genere umano. Perché? Perché guardare il dito è sempre la cosa più facile, visto che lo sguardo lo incontra per primo, piuttosto che “rilevare con i nostri sensi” un pianeta, una massa enorme ….anzi, quella massa enorme che gli sta dietro: la Luna!
Una piccola digressione: i cinesi dicevano – e forse lo dicono ancora – che il modo migliore per nascondere qualcosa è lasciarlo in vista a tutti per molto tempo ….. alla fine nessuno lo noterà! Ebbene spesso in economia politica succede la stessa cosa: se la Luna è sempre in cielo nel momento in cui la indichi le “anime povere” saranno attratte solamente dal dito! Molti dei mali di questo mondo probabilmente discendono da ciò..…
Chiaramente diverse argomentazioni stanno facendo eco nei vari consessi dove si parla di economia e decisioni economiche: investitori e aziende cercano di destreggiarsi come possono in questi tempi. Con un’altra settimana di andamento dei prezzi dei titoli come quella alle spalle, dovremmo essere più vicini a “conoscere” le risposte, ma non sono sicuro che sia così. Mentre osserviamo così tanti problemi dipanarsi, è possibile intravvedere un percorso “che ha un senso”, che porta ad una situazione prospettiva dove l’economia e i mercati si dovrebbero trovare in una posizione molto migliore ma, se la scommessa attualmente messa in campo – come vedremo più oltre – dall’Amministrazione Trumpiana non dovesse andare in porto è anche possibile imboccare, giocoforza, un altro percorso che ci porterebbe ad una situazione economica molto peggiore e mercati assai più deboli degli attuali.
Il punto è che esiste una probabilità assai significativa che, sotto l’Amministrazione Trump, si giunga a cambiamenti radicali nel sistema finanziario globale. In diversi classificano questo composito potenziale di cambiamenti includendoli sotto l’etichetta del cd. “Mar-a-Lago Accord”: un termine che non si riferisca a un accordo effettivo, ma che racchiude una serie di ipotetiche – al momento – proposte volte a ristrutturare il debito americano, rinnovando l’ordine finanziario globale e, di conseguenza, il commercio globale che transita per il dollaro, attualmente ancora valuta di riserva internazionale.
Il progetto prevederebbe la costrizione, operata sui paesi creditori esteri degli Stati Uniti, a convertire i titoli del Tesoro USA, in specie quelli inclusi tra le rispettive riserve ufficiali, in obbligazioni a lunghissimo termine per alleviare il peso del debito statunitense sull’economia USA. Questa ipotesi risulta peraltro coerente con l’agenda più ampia del presidente Donald Trump, che include dazi, per “rimodellare” il commercio estero, e un indebolimento – in ultima analisi – del dollaro: sia per ridurre i costi di indebitamento dei paesi in via di sviluppo che, soprattutto, per rendere competitive – livellando a loro favore il “campo di gioco” – le industrie statunitensi. La proposta secondo alcuni osservatori potrebbe includere la conversione di alcuni titoli del Tesoro detenuti all’estero in obbligazioni a cedola zero non negoziabili a 100 anni, con la Federal Reserve che offre una linea di credito per le nazioni che necessitano di liquidità.
Nonostante sia da riconoscere l’improbabilità che si verifichi un simile “scambio di debito”, l’ipotesi sottolinea l’importanza di prepararsi alla prospettiva di potenziali cambiamenti sostanziali. D’altronde, il principale advisor economico di Trump è stato molto esplicito sul tema sostenendo che gli USA sono disposti a negoziare i dazi verso l’Europa scambiandoli l’opzione che le banche centrali europee acquistino titoli di stato USA (T-Bond) a condizioni svantaggiose e con scadenza anche centennale.
Di fatto, nonostante sia poco notato dalla stampa e da molti osservatori, l’impegno del team di Trump è esplicitamente orientato verso simili importanti riforme economiche: oltre all’ipotesi appena delineata, esse includono l’istituzione di un fondo sovrano, che Trump ha già avviato, e la pressione sugli alleati affinché aumentino i loro contributi alla spesa per la sicurezza.
L’ipotetico “Mar-a-Lago Accord” trae ispirazione da patti economici storici, come il Plaza Accord del 1985 e l’Accordo di Bretton Woods del 1944. Un approccio alla riforma del sistema commerciale globale che cerchi, in ultima analisi, di affrontare gli squilibri causati dalla persistente sopravvalutazione del dollaro e di promuovere un “mood concorrenziale” più equo per le aziende americane. Nonostante queste idee radicali patrocinate dai principali consiglieri economici di Trump, l’attuale Segretario del Tesoro, Scott Bessent, prosegue nell’affermare che gli USA continuano a sostenere una politica del dollaro forte. Schermaglie?
L’obiettivo dell’amministrazione sarebbe invece, nella prima ipotesi, quello di indebolire il dollaro, ponderato per gli scambi internazionali, al fine di ridurre il deficit commerciale. Il problema fondamentale è infatti la sopravvalutazione cronica del dollaro: fatto che, come accennato, penalizza il settore manifatturiero americano rendendo le importazioni più economiche e diminuendo la competitività delle esportazioni. In una situazione “normale” le valute dovrebbero, in teoria, riequilibrarsi da sole: un paese che esporta molto dovrebbe vedere la propria moneta rafforzarsi, riducendo gradualmente il surplus commerciale. Nel caso del dollaro, però, questo equilibrio poiché esso ha il ruolo di valuta di riserva globale: la domanda di dollari è anelastica, essendo utilizzato sia per facilitare gli scambi internazionali, sia come porto sicuro per il risparmio globale. “L’America registra ampi deficit delle partite correnti non perché desideri importare “a prescindere”, ma perché è costretta a esportare titoli del Tesoro per fornire asset di riserva e facilitare la crescita globale e quindi si trova in una situazione in cui è preferibile importare i beni piuttosto che produrli”.
Dopo che gli Stati Uniti hanno congelato le riserve russe in seguito all’invasione dell’Ucraina, molte nazioni stanno cercando di proteggersi da possibili sanzioni simili e la “de-dollarizzazione” è divenuta una minaccia più concreta. La Cina, ad esempio, sta promuovendo il petro-yuan, un meccanismo per regolare le transazioni di petrolio e gas in renminbi. Se riuscisse a convincere i paesi del Golfo Persico, la Russia, il Venezuela e l’Iran, oltre l’80% delle riserve petrolifere mondiali sarebbe venduto in yuan.Il progetto di Trump – se messo in opera definitivamente e sino alla fine – è ovviamente assai ambizioso e rischioso …. Del resto, ne va della sopravvivenza del dollaro ed, in ultima analisi, degli Stati Uniti …..almeno come potenza economica globale che detiene la valuta di riserva.