The Last Showgirl: la Recensione del film di Gia Coppola con Pamela Anderson
“Please, i’m a star”. Raramente il cinema si prende una pausa dalla superficiale ed effimera frivolezza della vita sotto i riflettori, mostrando piuttosto la tragica realtà dietro le quinte. Ma The Last Showgirl fa eccezione. Per ogni mondo luccicante, che sia Hollywood o in questo caso Las Vegas, esiste una controparte visivamente identica ma umanamente […] L'articolo The Last Showgirl: la Recensione del film di Gia Coppola con Pamela Anderson proviene da LaScimmiaPensa.com.
“Please, i’m a star”.
Raramente il cinema si prende una pausa dalla superficiale ed effimera frivolezza della vita sotto i riflettori, mostrando piuttosto la tragica realtà dietro le quinte. Ma The Last Showgirl fa eccezione. Per ogni mondo luccicante, che sia Hollywood o in questo caso Las Vegas, esiste una controparte visivamente identica ma umanamente e profondamente crudele.
Un vero e proprio upside down buio, logoro e disseminato di rinunce, rifiuti e occasioni mancate. The Last Showgirl si butta a capofitto proprio nel pozzo senza fondo di questo mondo su cui pochi si soffermano, perché diciamocelo; con tutto lo sfarzo che può dare una vita di successi, a chi interessa vedere cosa succede quando le luci della ribalta si spengono?
Las Vegas, 2024.
Lo spettacolo di showgirls chiamato Razzle Dazzle, dopo esser stato una delle più grandi attrazioni della città per oltre trent’anni, chiude i battenti a causa di una lenta e drammatica caduta verso l’irrilevanza, mettendo a dura prova il futuro delle sue ballerine, in particolar modo quello di Shelly Gardner, la veterana più anziana dello show interpretata da Pamela Anderson.
E’ una storia scritta, diretta, interpretata e indirizzata espressamente alle donne (non a caso gli unici due uomini presenti nel film, il direttore dei casting sempre in ombra e il produttore dello spettacolo, sono solo strumenti per la narrazione), un’ode elegiaca a coloro che hanno contribuito a costruire quell’oasi sgargiante chiamata Las Vegas.
E forse è proprio per questo motivo che nel film torna spesso la figura della Blue Angel, la statua alta 4 metri di un bellissimo angelo vestito di blu; la statua infatti è stata creata nel 1957 da Betty Willis, colei che creò anche la rinomata scritta al neon Welcome to Las Vegas. Un brillante espediente attraverso cui la regista Gia Coppola vuole mostrare al suo pubblico che sono le donne ad aver edificato e fortificato Las Vegas in tutte le sue fattezze.
Sembrerà assurdo, ma oggi l’epoca delle showgirls, quella famosa era che ha donato alla città la luce, la fama e quella tipica joie de vivre, è quasi completamente giunta al termine; da quando i casinò smisero di sovvenzionare le loro produzioni teatrali, divenne un business auto-finanziato che però non aveva i fondi necessari per mantenere gli standard a cui era abituato, nè tantomeno poteva contare sull’enorme mole di pubblico che iniziò a preferire le produzioni di Broadway, gli spettacoli di hotel e casinò e i concerti delle star più famose.
Ed è proprio da qui che nasce l’idea alla base del film. Attraverso la foschia di un’epoca passata e ormai sbiadita, superando quelle immagini evocative che nascono automaticamente quando si pensa a Las Vegas, come l’immenso sfarzo di hotel come il Caesars Palace, le insegne al neon, i Rat Pack che si esibiscono nei più lussuosi casinò o un Elvis Presley in tuta argentata, The Last Showgirl si concentra sul mostrare la sostanza dietro l’opulenza, la dura verità dietro l’effimera bellezza.
Sembra a tutti gli effetti un sequel brutalmente reale di Showgirls (1995) e Burlesque (2010). Entrambi i film si focalizzarono sul raggiungimento del successo, l’esplosione della fama, le difficoltà nel mantenerla e il duro lavoro impiegato nell’inseguire il proprio sogno, ma mai, neanche per un secondo, hanno analizzato il concetto dell’invecchiamento dello show business e della fugace vanagloria che ne comporta.
La citazione che troviamo in Showgirls “Ci sarà sempre qualcuno più giovane e più affamato che scenderà dalle scale dopo di te” è solo un accenno del dramma interiore che troviamo in The Last Showgirl. Si avvicinerebbe più ad un The Substance (non a caso entrambe le protagoniste, Demi Moore e Pamela Anderson, sono state messe da parte dal mondo dello spettacolo non appena il loro sex appeal è venuto meno), in quanto entrambi esplorano il pedaggio fisico ed emotivo di un’industria fondata esclusivamente sull’apparenza.
La sceneggiatura di Kate Gersten esamina abilmente non solo l’inesorabile destino di chi vive sotto il bagliore di un sole artificiale ma anche le strazianti conseguenze di coloro che hanno deciso di seguire un sogno fino all’estremità del mondo, compromettendo anche le vite di chi li circonda.
E’ una riflessione potente, stimolante ma anche piuttosto lacerante, sullo scorrere del tempo che con sé porta via occasioni perse, rimpianti, amici dimenticati e connessioni mancate. La protagonista, infatti, dopo aver superato una prima fase di diniego, realizza di aver prediletto un sogno a discapito di tutto il resto.
Urlando contro una delle compagne di spettacolo dirà “Perchè non me l’avete detto prima che stavo buttando la mia vita?”. Lei è l’ultima donna della sua epoca, una donna che non riesce nè a fermare nè tantomeno ad accettare che il mondo che va avanti senza di lei, una donna che si guarda indietro negli anni delle sue esibizioni e non vede altro che le persone, le relazioni umane e le voci a cui non ha mai potuto rispondere.
Qui si stanzia il personaggio della figlia, interpretata da Billie Lourde, una ragazza che cerca in tutti i modi di capire le motivazioni che hanno spinto la madre ad abbandonarla per inseguire un sogno fatto di strass e balletti. L’intero cast è composto da donne straordinariamente forti ma segretamente vulnerabili.
Intorno alla figura di Shelly, che ricorda a tutti gli effetti una Marilyn Monroe nei suoi periodi più bui, ruotano le storie di quattro donne che condividono un bellissimo legame tra diverse generazioni che cercano di farsi forza l’un l’altra per superare le difficoltà e le complicazioni che comporta l’essere donna nella società odierna, una società in cui la bellezza ha una data di scadenza.
Decisamente non è un film che guarda dall’alto in basso l’assenza di inibizione delle showgirls e giudica frivolamente la pratica delle sue ballerine; piuttosto, come Anora, le rappresenta come artiste dello spettacolo che, notte dopo notte, mettono passione ed impegno nell’intrattenimento.
Un altro focus molto particolare è sull’identità. Quella di The Last Showgirl non è solo la perdita di una carriera ma la perdita della propria identità. Il film si auto-interroga, infatti, su un quesito esistenziale piuttosto brutale: chi sei quando il sipario cade e i riflettori si spengono? Un Birdman in versione femminile, con la differenza che Shelly nel suo ultimo spettacolo alla fine del film accetta il suo inevitabile destino lontano dai riflettori.
E questo avviene attraverso una rappresentazione quasi sussurrata della vita della showgirl, grazie alla splendida regia di Gia Coppola che indugia spesso sui momenti silenziosi come gli spogliatoi vuoti e le luci che sbiadiscono lentamente. La bellezza nascosta di questo film risiede, infatti, proprio nella sua semplicità.
Ciò non significa assolutamente che manca di complessità, anzi. In un’era in cui i budget sono alle stelle e i tempi di esecuzione sono infiniti, The Last Showgirl decide di rimanere nella sua bolla estremamente intima e personale, concentrandosi solo sui puri sentimenti umani. Noi come spettatori siamo invitati ad essere astanti mentre seguiamo la vita di queste meravigliose donne mentre affrontano la fine di un capitolo, talvolta ritrovandoci in una carrellata di dialoghi così passionali da rendere tangibile il pathos nervoso che scaturisce dai personaggi.
Gia Coppola è estremamente abile nell’avvicinarsi fugacemente a questi sentimenti attraverso delle telecamere portatili, ma senza abbandonarsi completamente al momento come se fossero solo meri attimi di voyeurismo, tranne quando i personaggi si perdono nell’introspezione, nella riflessione silenziosa o semplicemente in un balletto liberatorio sulle note di Total Eclipse of the Heart.
La lente onirica usata da Coppola in alcune sequenze contribuisce a donare all’atmosfera un ulteriore senso di surrealtà, come per sottolineare quanto sia sfumato, illusorio e intangibile il mondo di applausi in cui la protagonista è sempre stata avvolta. Non esiste nessuno di più adatto di Pamela Anderson per affrontare la potenza ambivalente di questo ruolo che lei interpreta con una tale vulnerabilità da rendere pesante e tragico ogni piccolo momento.
Da icona pop degli anni ’80 e ’90, lei stessa potrebbe definirsi una delle “ultime showgirls”. Così come le paillettes fungevano da armatura per Shelly Gardner, per Pamela lo era quell’iconico costume rosso di Baywatch, ma almeno lei già da tempo ha accettato l’enorme peso dei segni del tempo, non considerandosi più un sex symbol ma piuttosto una donna che è ben consapevole alle rinunce che ha fatto per aver inseguito un sogno.
Un vero e proprio Viale del Tramonto fatto di piume e paillettes, onirico, emotivamente straziante, delicato, umano, malinconico e tragicamente nostalgico. E’ fondamentalmente impossibile, oltre che sbagliato, etichettare The Last Showgirl e relegarlo ad un solo genere cinematografico. Quando un film ha un cuore così pulsante da far esplodere nella sala tutti i sentimenti di cui è carico, non si può più parlare di generi ma solo di vita e di purezza cinematografica.
The Last Showgirl, il Cast
- Pamela Anderson interpreta Shelly Gardner
- Jamie Lee Curtis nel ruolo di Annette
- Dave Bautista nel ruolo di Eddie
- Brenda Song nel ruolo di Mary-Anne
- Kiernan Shipka nel ruolo di Jodie
- Billie Lourd nel ruolo di Hannah Gardner
- Jason Schwartzmanù
The Last Showgirl, il Trailer
A cura di Flavia Orsini
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