Sophie Auster esce con Milk for Ulcers: non si arriva a un disco del genere per caso

Passata la buriana sanremese, ritrovata la bussola, ripiombiamo nella realtà, dove i sentimenti si filtrano con preset di Instagram e le emozioni si misurano in click. Poi, d’improvviso, ecco che arriva Milk for Ulcers, un disco che non si preoccupa di piacerti, che non vuole essere cool, non ammicca, non si infila nei maledetti reel. […] L'articolo Sophie Auster esce con Milk for Ulcers: non si arriva a un disco del genere per caso proviene da Il Fatto Quotidiano.

Mar 2, 2025 - 10:25
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Sophie Auster esce con Milk for Ulcers: non si arriva a un disco del genere per caso

Passata la buriana sanremese, ritrovata la bussola, ripiombiamo nella realtà, dove i sentimenti si filtrano con preset di Instagram e le emozioni si misurano in click. Poi, d’improvviso, ecco che arriva Milk for Ulcers, un disco che non si preoccupa di piacerti, che non vuole essere cool, non ammicca, non si infila nei maledetti reel. Sophie Auster ha sempre avuto quel timbro un po’ fumoso, un po’ decadente, con il Dna della New York intellettuale cucito addosso. Essere figlia del grande scrittore Paul Auster è il tipo di cosa che ti può trasformare in una di quelle ragazze-bohémien da festa di Williamsburg, che sussurra poesie a un microfono dorato. E invece no. Sophie è una fighter. Perché, in effetti, non si arriva a un disco del genere per caso.

Lo ha scritto mentre la vita la prendeva a schiaffi: la morte di una nipote, di un fratello, di un padre. Poi, tra un crollo e l’altro, la scoperta di essere incinta e la nascita del figlio Miles. Un cocktail esistenziale così forte che farebbe vacillare persino un tipo alla Depardieu. Invece Sophie ha reagito scrivendo, cantando, urlando, “perché il dolore o lo sputi fuori o ti divora. Milk for Ulcers – spiega Sophie – parla di rimarginare ferite aperte, anche se alcune cure sono solo temporanee. Le canzoni di questo album riflettono le emozioni complesse che si provano quando una persona amata scompare: ribellione, rabbia, dolore, ma anche speranza e gioia, che ho riscoperto diventando madre e amando il mio compagno”.

Anticipato dai singoli Look What You’re Doing To Me e Flying Machine, Milk for Ulcers, che uscirà in aprile, è un album che scava nelle ferite e ci mette il sale sopra. In Blue Team, il pezzo dedicato al padre, la sua voce non cerca pietà: è una confessione, un testamento sonoro, una pagina strappata da un diario che non pensava di voler condividere. “Mio padre – racconta la cantautrice – era il mio più grande fan e sostenitore. Mi fa male sapere che non sarà mai più seduto in prima fila a un mio concerto, ma il suo spirito e il suo amore sono sempre con me. Nella mia famiglia chiamiamo la squadra blu quelle persone oneste e gentili che non rinunciano mai ai propri principi”. Il resto del disco è intriso di quel tipo di malinconia che non ha bisogno di essere spiegata, che si insinua nei suoni e nelle pause, nelle inflessioni vocali che ricordano Billie Holiday e Roberta Flack (che, ironia della sorte, è morta proprio mentre stavamo facendo l’intervista).

E poi c’è la moda, quella parte della sua vita che i benpensanti useranno per attaccarla. Perché, si sa, se lavori con Dior o Chanel non puoi soffrire davvero. Ma chi lo dice? Non è che se ti metti un vestito di Ferragamo i lutti spariscono. Se la musica è un’estensione dell’identità, allora anche l’arte di vestirsi lo è. E lei veste la sua musica come un’armatura, un manifesto di se stessa. “Ho sempre amato la moda e il travestirmi. Da bambina, zoppicavo in giro con i tacchi di mia madre, i tutù e le tiare. Mi sento molto onorata di aver collaborato con case di moda così importanti, e il loro sostegno significa molto per me. Credo che il modo in cui ti presenti, nella vita e sul palco, sia fondamentale: comunica un messaggio su chi sei, come persona e come artista”.

In fondo, il mondo sta andando a rotoli e la musica pop continua a fottersene, come un Titanic con Spotify Premium. Ma Milk for Ulcers è un disco che chiede attenzione, che non si lascia mettere in sottofondo mentre scrolli il telefono. Ti obbliga ad ascoltarlo, a guardarti dentro, a fare i conti con il dolore, la memoria, l’amore e la perdita. E allora sì, magari siamo alla fine del mondo. Ma almeno qualcuno, Sophie, sta ancora cantando per noi.

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