“Sono tutta naturale, neanche una punturina. Mi do gli schiaffi la sera. Ero quasi fuori da Che Dio Ci Aiuti, non vogliono assicurarmi”: lo rivela Valeria Fabrizi
Ironica, tanto. Godereccia, di più. Valeria Fabrizi appare come una donna che ha visto la vita con gli occhi giusti: senza rancore, molto divertimento, il giusto grado di consapevolezza rispetto a dolore, debolezze, addii. Eppure si adombra solo rispetto al suo ruolo nella fiction trasmessa dalla Rai, “Che Dio ci aiuti”: “Stavano per tagliare il […] L'articolo “Sono tutta naturale, neanche una punturina. Mi do gli schiaffi la sera. Ero quasi fuori da Che Dio Ci Aiuti, non vogliono assicurarmi”: lo rivela Valeria Fabrizi proviene da Il Fatto Quotidiano.

Ironica, tanto. Godereccia, di più. Valeria Fabrizi appare come una donna che ha visto la vita con gli occhi giusti: senza rancore, molto divertimento, il giusto grado di consapevolezza rispetto a dolore, debolezze, addii. Eppure si adombra solo rispetto al suo ruolo nella fiction trasmessa dalla Rai, “Che Dio ci aiuti”: “Stavano per tagliare il mio ruolo: a causa della mia età non vogliono assicurarmi”.
Nel curriculum ha un centinaio di film.
Sono una superstite; quando mi specchio non lesino in complimenti: “Brava, tieni duro!”. Ho 88 anni.
Complimenti.
Sa perché li accetto? Perché sono tutta naturale.
Bene.
Neanche una punturina, mentre ho delle amiche con un occhio da una parte e l’altro chissà dove; o le labbra che arrivano prima del naso, gli zigomi incredibili. Le guardo e non so dove focalizzarmi.
Lei?
Al massimo mi do gli schiaffi la sera.
Metaforici?
Reali. Servono a riattivare la circolazione del viso. Una volta ho esagerato e mi sono ferita a un dente: il giorno dopo ero dal dentista.
È suor Costanza nella serie Rai “Che Dio ci aiuti”.
Ricevo tantissimi premi per quel ruolo.
Orgogliosa.
Peccato che la scorsa stagione, il mio personaggio è andato due volte in ospedale e lì ho pensato e poi detto: “Mi stanno facendo fuori”. E tutti: “No, figurati”. Invece quest’anno non c’ero più, solo due apparizioni.
Motivo?
Le signore della mia età non vengono assicurate.
Stesso problema denunciato anni fa dalla Valeri.
Meravigliosa Franca. Quando era in vita confondevano il mio nome con il suo e ne soffrivo.
Torniamo a Che Dio ci aiuti.
Ho combattuto, ho protestato, alla fine ho ottenuto otto pose; il mio personaggio è molto amato e spesso mi fermano per strada, anche le suore.
Ha conosciuto e lavorato con il Gotha.
Ho vissuto la Dolce Vita.
Com’era?
Eravamo tutti eleganti, ci tenevamo. Noi italiani andavamo al Café de Paris, e lì trovavi sempre Totò o Tognazzi, mentre il Doney era degli statunitensi; una sera arrivo in via Veneto insieme a mia suocera: era estate, guidavo una cabriolet rossa, scoperta. Io bionda. Inchiodo. Perdo una borchia. Un uomo inizia a rincorrerla. Assisto alla scena e nel frattempo sento un tizio che mi fa “Wonderful” e fischia. Mi giro ed era Gregory Peck. Volevo morire.
Oggettivamente bella.
Oggi mi stimo molto.
Ieri, no?
Mai stata civetta, mai utilizzato il movimento di anche.
Eroticamente naturale.
Ero così. Ed è una dote che va coltivata.
Iniziamo con i partner di set: Ugo Tognazzi.
Tombeur de femmes, non ne perdeva una. Tremendo; (pausa) lui e Vianello, in teatro, erano l’opposto.
Cioè?
Raimondo era come appariva: serio, all’inglese; mentre Ugo era più dedito agli scherzi.
Duo equilibrato.
Con loro sono stata in tournée due anni e in quei due anni ho assistito agli schiaffi in stile Amici miei.
Quelli alla stazione dei treni?
Quando partiva il treno, Ugo saltava e schiaffeggiava quelli che salutavano dal finestrino.
Primo momento di notorietà.
Dopo il quarto posto a Miss Universo. A Bologna hanno rotto le vetrine dei negozi per prendere le mie fotografie.
E poi?
Un bel riflettore è arrivato grazie a Fausto Brizzi e a Notte prima degli esami , ma non ho ottenuto neanche un premio, un David alla carriera. E anche su mio marito il silenzio.
Torniamo al Gotha: Walter Chiari.
Siamo nati nello stesso palazzo, con le famiglie amiche.
E… ?
È stato il mio principe Azzurro, e dopo sono rimasta il suo punto fermo, una certezza anche quando stava con Ava (Gardner) che per gelosia mi buttò il whisky addosso.
Sarà stata poco lucida.
Ho varie amiche che bevono, e pure io non mi tiro indietro; ho girato un film con il marito di Anita Ekberg, Anthony Steel, poco lucido. Era fragile.
Gli artisti spesso sono fragili.
Più o meno; Walter Chiari ha abitato da me cinque anni.
Fragilissimo.
Autodistruttivo, soffriva per essere stato allontanato. La droga lo ha massacrato.
E lei?
Al massimo uno spinello. Non ho mai seguito Walter nei suoi vizi; al tempo qualcuno ci dava sotto.
Andavano di mode le anfetamine.
Io so della “polverina”; ma sono stata sempre moooolto brava; (ci pensa) mi sono divertita, ho vissuto in un libro di favole.
Quando si è divertita maggiormente?
Ho amato il set di Un canto nel deserto con Claudio Villa protagonista. All’improvviso arrivarono Tata, Paolo Panelli e Nino Manfredi e quando hanno visto che per la scena del bacio piazzavano dei rialzi sotto a Villa, hanno iniziato a prenderlo in giro.
Villa si accalorava facilmente.
Infatti iniziò a bestemmiare. E non le sopporto.
Ha girato Grazie nonna, con protagonista Giusva Fioravanti.
Tutte le mattine mi veniva a prendere a casa: si presentava con un uovo fresco e la banana; era un bambino bello, solare, sorrideva. Chi lo avrebbe mai detto di quella fine.
L’attore che l’ha maggiormente emozionata?
Ero innamorata persa di Marcello Mastroianni.
Era un seduttore?
Negato, come Walter Chiari.
Alberto Sordi.
Era molto amico di mio marito, avevano fatto una tournée insieme; durante quella tournée Alberto chiedeva ai produttori i soldi per il viaggio, poi saliva in macchina di Tata e non sganciava una lira.
Nino Manfredi.
Ho filato con Nino, era bellissimo, con delle ciglia incredibili; però con lui solo dei baci.
Alberto Lupo.
Con lui ho girato Un certo Harry Brent (resta zitta, poi ride sorniona).
Una voce pazzesca.
In una scena ci siamo baciati, con il regista che gridava stop e lui non la finiva.
Ahia.
Baciava bene; non solo: giravamo in Inghilterra, in un giorno di pausa andiamo nella campagna del Kent perché c’era Steve McQueen impegnato in un altro film. Al ritorno perdiamo il treno. Ci fermiamo un una baita, ci ubriachiamo di birra e alla fine abbiamo dormito insieme in un lettino piccolo.
E lì?
(Ride, tanto) Niente! Al risveglio mi ha pregata di non raccontare mai a nessuno il fatto che non ci avesse provato.
Lei chi è?
Sono uno scrigno di bontà, generosità e attenzione umana.
(L’intervista completa è oggi sulle pagine del Fatto quotidiano)
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