Si scrive corporate wellbeing, si legge valore condiviso
Rafforza la coesione sociale, migliora la produttività e contribuisce allo sviluppo sostenibile del Paese: il welfare aziendale è un motore di crescita. Parola di Giacomo Gargano, presidente di Praesidium L'articolo Si scrive corporate wellbeing, si legge valore condiviso proviene da Economy Magazine.

Il welfare aziendale non si limita a migliorare la qualità della vita dei lavoratori e delle loro famiglie, ma rafforza la coesione sociale, promuove l’innovazione organizzativa e sostiene lo sviluppo sostenibile delle comunità. «La sua capacità di attivare un effetto moltiplicatore lo rende un asset imprescindibile per affrontare le sfide macroeconomiche e sociali contemporanee, con un impatto che si estende dalla produttività aziendale all’inclusione e alla resilienza collettiva» dice in questa intervista a Economy Giacomo Gargano, presidente di Praesidium, la società del sistema Federmanager, broker di riferimento del Fondo sanitario integrativo Assidai, che progetta e gestisce programmi di welfare aziendale e individuale dedicati a dirigenti, quadri, professional, pensionati e alle loro famiglie.
Quali sono i benefici di fondo portati dal welfare aziendale?
L’economia sociale, con la sua capacità di bilanciare obiettivi economici e sociali, trova nel welfare aziendale un pilastro per tradurre in azioni concrete i principi di solidarietà e responsabilità condivisa. L’evoluzione del welfare da sistema accessorio a Corporate Wellbeing ne amplia la portata strategica, trasformandolo in uno strumento integrato che abbraccia salute mentale e fisica, conciliazione vita-lavoro, previdenza e inclusione. Questo passaggio riflette una visione più ampia, in cui il benessere individuale e collettivo diventano un fattore chiave per la competitività delle imprese e la tenuta economica complessiva.
Quale il ruolo delle imprese?
Le imprese – e in particolare le Pmi italiane che rappresentano la maggioranza del tessuto produttivo nazionale – possono dimostrare come il welfare aziendale sia un motore di innovazione sociale. Attraverso interventi mirati e radicati sul territorio, queste imprese possono contribuire a ridurre le disuguaglianze, promuovere l’inclusione e creare valore condiviso, sostenendo al contempo lo sviluppo economico e sociale. Tale posizionamento può rendere il welfare aziendale non solo un investimento sul capitale umano, ma anche un elemento di trasformazione culturale e strutturale, capace di rispondere alle esigenze di una società sempre più complessa e interconnessa.
E più in generale?
Il welfare aziendale, se strutturato in modo strategico e declinato in termini di Corporate Wellbeing, ha ricadute significative non solo sulle imprese e sui lavoratori, ma sull’intero sistema Paese. Come evidenziato dai diversi studi, l’adozione di politiche orientate al Corporate Wellbeing non si limita a generare valore interno per le aziende, ma contribuisce a rispondere a sfide macroeconomiche e sociali di grande rilevanza, quali il miglioramento della sostenibilità del sistema sanitario, la coesione sociale e l’equità territoriale.
C’è anche da alleggerire il peso sulle istituzioni pubbliche…
Il welfare aziendale, come strumento di integrazione al sistema pubblico, si configura come una risorsa indispensabile per affrontare le carenze strutturali del welfare statale. Un esempio è dato dal sistema sanitario italiano, messo a dura prova dall’aumento della domanda e dalla riduzione delle risorse pubbliche che può trovare sollievo attraverso iniziative private che promuovono la prevenzione e la salute. Tuttavia, riferirsi al solo sistema sanitario appare riduttivo.
Su che altro riesce ad incidere?
Secondo il Rapporto annuale dell’Osservatorio sulla Corporate Governance di The European House – Ambrosetti del 2023, il welfare aziendale mostra un elevato potenziale moltiplicativo. Per ogni 2.500 euro investiti pro capite, si genera un valore reale per il dipendente di 11.258 euro, con un moltiplicatore complessivo pari a 4,5. Tale valore, considerando voci come previdenza, sanità, istruzione e assistenza familiare, evidenzia il contributo significativo che le aziende possono offrire nel ridurre il peso sulle istituzioni pubbliche. Se tutte le imprese adottassero piani strutturati di Corporate Wellbeing, l’Osservatorio Ambrosetti stima che la spesa complessiva in welfare aziendale ammonterebbe a 45,3 miliardi di euro, ma il valore generato da queste iniziative avrebbe un impatto straordinario. Infatti, considerando il potenziale effetto moltiplicativo delle diverse componenti del welfare aziendale, il valore creato potrebbe raggiungere i 204 miliardi di euro, equivalenti a 1,5 volte la spesa familiare.
Tornando alle imprese, il welfare aziendale migliora le performance?
Quelle che adottano strategie strutturate di Corporate Wellbeing ottengono vantaggi misurabili su più livelli. I dati del “Welfare Index PMI 2024” mostrano un aumento delle imprese che rilevano una serie di impatti positivi del welfare aziendale sul business: la produttività del lavoro (dal 28,3% nel 2022 al 36,7% nel 2024), il clima aziendale (dal 29,9% al 42,3%), la fidelizzazione dei lavoratori (dal 29,2% al 40,6%), l’immagine aziendale (dal 30,8% al 40,2%) e infine la capacità di attrarre nuove risorse, con un 36,2% di imprese che hanno rilevato effetti positivi. Inoltre, il fatturato aumenta con il livello di welfare: sono in crescita il 28,8% delle imprese a livello di welfare iniziale e il 46,5% di quelle a livello molto alto. E non basta.
Che altro?
A questi benefici si aggiunge anche un abbattimento dei costi legati al turnover, che ha un impatto stimato pari al 16% del costo del personale, con un conseguente aumento della retention. Il turnover genera non pochi costi per le imprese: oltre a quelli “noti” (costo di assunzione del dipendente, di formazione ecc.), anche costi definibili “nascosti”, quali perdita di engagement nell’organizzazione (gli altri dipendenti che vedono un alto turnover in azienda tendono a disimpegnarsi, riducendo la produttività), relazioni con i clienti (i nuovi dipendenti impiegano più tempo nel risolvere i problemi legati alla gestione del cliente e/o si perdono relazioni dirette con clienti), e così via.
C’è anche un effetto sul benessere dei lavoratori?
I benefici generati a livello Paese e imprese si riflettono sul piano personale e lavorativo delle persone, attivando un effetto moltiplicatore che promuove coesione sociale e sostenibilità. Sul piano personale, le politiche di wellbeing migliorano la salute e il benessere psicofisico. Attraverso programmi strutturati di prevenzione sanitaria, supporto psicologico e promozione di stili di vita sani, si riducono lo stress e l’assenteismo, favorendo il work-life balance. Parallelamente, l’investimento delle imprese nella formazione continua arricchisce il capitale umano, promuovendo la crescita personale e professionale. Non si limitano a migliorare le condizioni dei lavoratori, ma generano ricadute positive sull’intera collettività. Strumenti di welfare aziendale a supporto della conciliazione vita-lavoro, come lo smart working, contribuiscono inoltre alla sostenibilità ambientale. Si stima che la riduzione degli spostamenti genera un risparmio potenziale di 1,8 milioni di tonnellate di CO₂ all’anno, equivalente all’assorbimento di 51 milioni di alberi.
Una soluzione win-win, insomma…
Riducendo le disuguaglianze territoriali e rafforzando la coesione sociale, il welfare aziendale diventa catalizzatore per una società più equa e resiliente. Non si tratta solo di fornire benefici materiali, ma di stimolare una trasformazione culturale in cui le persone, riconosciute e valorizzate, assumono un ruolo attivo nella costruzione di un tessuto sociale più coeso e sostenibile. L’effetto moltiplicatore del benessere si manifesta nel miglioramento della qualità della vita e nel favorire una cittadinanza attiva e partecipativa, capace di influenzare positivamente le generazioni future.
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