Riarmare i tedeschi. L’eterno problema (mai risolto) dell’integrazione Ue

Come si fa a riarmare la Germania senza far preoccupare la Francia, e in modo che gli scopi del riarmo siano allineati con gli interessi di Stati Uniti e Gran Bretagna? E chi paga il conto? Il grande dibattito innestato dai roboanti proclami di Ursula von der Leyen in fondo ruota attorno a domande che agitano l’integrazione europea dai suoi albori nel secondo Dopoguerra, compreso il lieve brivido che attraversa le opinioni pubbliche quando si affrontano questi temi. Storicamente, infatti, parlare di «riarmo tedesco» autorizza qualche retropensiero soprattutto in Francia, dove il 1870, il 1914 e il 1939-40 non hanno lasciato ottimi ricordi. Per questo fin dal 1950, quando la guerra di Corea richiede un intervento internazionale di 19 Paesi a guida americana, l’Occidente si è posto il problema di come fronteggiare istituzionalmente e militarmente l’eventualità, non impossibile, di uno sconfinamento di truppe della Germania Est in una Germania Ovest del tutto sguarnita per evidenti motivi. Ed è qui che iniziano i problemi: «A una conferenza dei tre ministri degli Esteri occidentali dal 12 al 14 settembre a New York [...] Schuman si pronunciò contro il riarmo tedesco: in Francia le resistenze erano ancora maggiori di quelle nella Repubblica Federale», scrive Pier Luigi Ballini nel suo La Comunità europea di Difesa (Ced), edito da Rubbettino. «La Germania non ha un esercito e non può averne uno; non ha armamenti e non ne avrà», scandisce in quell’anno lo stesso «padre fondatore» dell’Europa, allora ministro degli Esteri.«Ma lo stesso Adenauer temeva un esercito tedesco sul campo», spiega alla Verità il professor Piero Graglia, ordinario di Storia delle relazioni internazionali alla Statale di Milano, dove presiede il collegio didattico del corso in Scienze internazionali e istituzioni europee. «Nel 1950», continua, «c’era una necessità urgente di rendere “difendibile” la Germania, dal momento che le uniche forze operative erano 15.000 soldati Usa». Partendo da questa situazione, obiettivamente imparagonabile a quella attuale, nel settembre 1950 gli Usa propongono al neonato Consiglio atlantico, di armare i tedeschi con 150.000 uomini contro il rischio sovietico. E subito arriva il no francese: «Non temevano l’esercito in sé, ma la rinascita dello Stato maggiore tedesco», spiega Graglia, cioè una forza armata nel cuore dell’Europa che rispondesse solo al governo tedesco. Il primo stallo è smosso dalla proposta alternativa francese, il cosiddetto «piano Pleven» (dal nome del primo ministro parigino René, 1901-1993): l’idea centrale è di «diluire» la presenza tedesca in un esercito europeo comandato da francesi o italiani. Stavolta sono gli americani a opporsi in termini perentori, ben sapendo che la richiesta è indigeribile per i tedeschi occidentali.Si può dire dunque che in nuce tanto la Comunità europea del carbone e dell’acciaio (non a caso materie prime anche «belliche») quanto la abortita Comunità europea di difesa nascono esattamente allo scopo di imbrigliare la rinascita dell’esercito della Germania, che aveva manifestato la persistente tentazione di prevaricare i confini. Che in questi giorni si parli con enfasi di possibilità di riarmo tedesco guidato dalla Ue è contemporaneamente problema antico e nemesi, visto che giusto ieri a Berlino si è salutata con enfasi l’ipotesi di acquisti comuni di armi: ed è facile immaginare di chi siano appannaggio eventuali commesse gestite dalla Commissione von der Leyen e da lustri dominata da burocrazie teutoniche. Torniamo al 1950-51: toccherà al celebratissimo Jean Monnet iniziare la strada della mediazione tra francesi e americani sul ruolo tedesco. Per farla molto breve, Parigi cede sulle unità autonome e gli Usa si prendono l’impegno di considerare i timori francesi. Nel frattempo, viene messa a punto la citata Ced: modellata sulla Ceca, è un organismo solo militare controllato da uno stato maggiore multinazionale integrato nella Nato. «Sarà Alcide De Gasperi», spiega ancora Graglia, «a capire tra i primi la necessità di un elemento cruciale, quello politico: per questo propone a Spaak e Adenauer di creare una “testa” politica appunto, senza la quale nessun esercito può mai funzionare. Così avanza l’idea di creare una comunità che assorbisse Ceca e Ced, chiedendo di inserire nel trattato Ced l’articolo 38, che prevedeva un’assemblea parlamentare al fine di elaborare lo statuto della comunità politica. Senza la quale non poteva esistere un’autorità che guidasse l’esercito. In fondo il problema, oggi, è ancora tutto lì: chi comanda».La storia prosegue con la fine del progetto, complicato dalla sconfitta francese in Indocina, dalla morte dello stesso De Gasperi e, in ultima analisi, dal rifiuto di Parigi di ratificare la Ced malgrado la Germania - come i Paesi del Benelux - avesse compiuto un passo tutt’altro che scontato: «Per noi, lasciatemi dire ciò che penso, la Comunità europea è la fine della Francia», scandisce il vecchio Édouard Herriot nel 1954, quando l’Ass

Mar 19, 2025 - 01:55
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Riarmare i tedeschi. L’eterno problema (mai risolto) dell’integrazione Ue


Come si fa a riarmare la Germania senza far preoccupare la Francia, e in modo che gli scopi del riarmo siano allineati con gli interessi di Stati Uniti e Gran Bretagna? E chi paga il conto? Il grande dibattito innestato dai roboanti proclami di Ursula von der Leyen in fondo ruota attorno a domande che agitano l’integrazione europea dai suoi albori nel secondo Dopoguerra, compreso il lieve brivido che attraversa le opinioni pubbliche quando si affrontano questi temi. Storicamente, infatti, parlare di «riarmo tedesco» autorizza qualche retropensiero soprattutto in Francia, dove il 1870, il 1914 e il 1939-40 non hanno lasciato ottimi ricordi. Per questo fin dal 1950, quando la guerra di Corea richiede un intervento internazionale di 19 Paesi a guida americana, l’Occidente si è posto il problema di come fronteggiare istituzionalmente e militarmente l’eventualità, non impossibile, di uno sconfinamento di truppe della Germania Est in una Germania Ovest del tutto sguarnita per evidenti motivi. Ed è qui che iniziano i problemi: «A una conferenza dei tre ministri degli Esteri occidentali dal 12 al 14 settembre a New York [...] Schuman si pronunciò contro il riarmo tedesco: in Francia le resistenze erano ancora maggiori di quelle nella Repubblica Federale», scrive Pier Luigi Ballini nel suo La Comunità europea di Difesa (Ced), edito da Rubbettino. «La Germania non ha un esercito e non può averne uno; non ha armamenti e non ne avrà», scandisce in quell’anno lo stesso «padre fondatore» dell’Europa, allora ministro degli Esteri.

«Ma lo stesso Adenauer temeva un esercito tedesco sul campo», spiega alla Verità il professor Piero Graglia, ordinario di Storia delle relazioni internazionali alla Statale di Milano, dove presiede il collegio didattico del corso in Scienze internazionali e istituzioni europee. «Nel 1950», continua, «c’era una necessità urgente di rendere “difendibile” la Germania, dal momento che le uniche forze operative erano 15.000 soldati Usa».

Partendo da questa situazione, obiettivamente imparagonabile a quella attuale, nel settembre 1950 gli Usa propongono al neonato Consiglio atlantico, di armare i tedeschi con 150.000 uomini contro il rischio sovietico. E subito arriva il no francese: «Non temevano l’esercito in sé, ma la rinascita dello Stato maggiore tedesco», spiega Graglia, cioè una forza armata nel cuore dell’Europa che rispondesse solo al governo tedesco. Il primo stallo è smosso dalla proposta alternativa francese, il cosiddetto «piano Pleven» (dal nome del primo ministro parigino René, 1901-1993): l’idea centrale è di «diluire» la presenza tedesca in un esercito europeo comandato da francesi o italiani. Stavolta sono gli americani a opporsi in termini perentori, ben sapendo che la richiesta è indigeribile per i tedeschi occidentali.

Si può dire dunque che in nuce tanto la Comunità europea del carbone e dell’acciaio (non a caso materie prime anche «belliche») quanto la abortita Comunità europea di difesa nascono esattamente allo scopo di imbrigliare la rinascita dell’esercito della Germania, che aveva manifestato la persistente tentazione di prevaricare i confini. Che in questi giorni si parli con enfasi di possibilità di riarmo tedesco guidato dalla Ue è contemporaneamente problema antico e nemesi, visto che giusto ieri a Berlino si è salutata con enfasi l’ipotesi di acquisti comuni di armi: ed è facile immaginare di chi siano appannaggio eventuali commesse gestite dalla Commissione von der Leyen e da lustri dominata da burocrazie teutoniche.

Torniamo al 1950-51: toccherà al celebratissimo Jean Monnet iniziare la strada della mediazione tra francesi e americani sul ruolo tedesco. Per farla molto breve, Parigi cede sulle unità autonome e gli Usa si prendono l’impegno di considerare i timori francesi. Nel frattempo, viene messa a punto la citata Ced: modellata sulla Ceca, è un organismo solo militare controllato da uno stato maggiore multinazionale integrato nella Nato. «Sarà Alcide De Gasperi», spiega ancora Graglia, «a capire tra i primi la necessità di un elemento cruciale, quello politico: per questo propone a Spaak e Adenauer di creare una “testa” politica appunto, senza la quale nessun esercito può mai funzionare. Così avanza l’idea di creare una comunità che assorbisse Ceca e Ced, chiedendo di inserire nel trattato Ced l’articolo 38, che prevedeva un’assemblea parlamentare al fine di elaborare lo statuto della comunità politica. Senza la quale non poteva esistere un’autorità che guidasse l’esercito. In fondo il problema, oggi, è ancora tutto lì: chi comanda».

La storia prosegue con la fine del progetto, complicato dalla sconfitta francese in Indocina, dalla morte dello stesso De Gasperi e, in ultima analisi, dal rifiuto di Parigi di ratificare la Ced malgrado la Germania - come i Paesi del Benelux - avesse compiuto un passo tutt’altro che scontato: «Per noi, lasciatemi dire ciò che penso, la Comunità europea è la fine della Francia», scandisce il vecchio Édouard Herriot nel 1954, quando l’Assemblea impedisce di proseguire i lavori della Ced.

Curiosamente, il vero nodo alla base di qualunque tentativo di integrazione militare, ovvero quello politico (chi comanda, quale sia lo scopo geopolitico dell’esercito o delle armi, eccetera) che negli anni Cinquanta era «il» tema, e che in buona sostanza ne determinò il fallimento, oggi viene sostanzialmente obliterato sotto la minaccia dei russi alle porte, o ridotto al puro funzionalismo tecnico-finanziario.

A proposito di politica: nel 1954 uscì un libretto a cura del Comitato nazionale dei partigiani della pace intitolato: Argomenti per l’Europa: contro la Ced e il riarmo tedesco. Come spiega Ballini, il «Movimento dei partigiani della pace si collocava in modo trasversale a diverse componenti partitiche - dai comunisti andava ai socialisti e a una parte del mondo cattolico - e che si era schierato contro la Ced e contro il riarmo tedesco». Questo, oggi, sembra l’unico problema superato.