Renzo Foa, quando il giornalismo si fa storia

La storia dietro e dentro il libro di Renzo Foa "L'Europa che non è stata. Intervista a Dubcek".

Feb 22, 2025 - 08:31
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Renzo Foa, quando il giornalismo si fa storia

La storia dietro e dentro il libro di Renzo Foa “L’Europa che non è stata. Intervista a Dubcek”

Un uomo sessantenne, dai capelli ingrigiti che si intravedono sotto il berretto di pelliccia, esce dalla stazione della metropolitana di piazza San Venceslao per consegnare in una busta le sue risposte scritte a un giornalista di punta quarantenne del quotidiano italiano “L’Unità”, il giornale del Pci, il più forte partito comunista dell’Occidente. Ed è scoop internazionale.

Praga fine del 1987. Alexander Dubček, ormai da vent’anni relegato dal regime comunista nel dimenticatoio dello status di un “prigioniero a passeggio, sotto controllo”, all’inizio non viene riconosciuto da nessuno. Poi, però qualcuno, incrociando l’indimenticabile protagonista della Primavera di Praga soffocata con i carri armati dell’Urss, incomincia a fare segni di saluto e a togliersi il cappello. Ad attendere quell’eroe, rimasto in silenzio da vent’anni, è Renzo Foa, che nel 1990 diventerà direttore dell’ “Unità”, il primo giornalista ad occupare quel ruolo interrompendo l’ortodossia comunista che aveva sempre visto alla guida dell’organo e poi del giornale del Pci un dirigente politico nominato da Botteghe Oscure.

Foa, non un politico ma neppure solo un giornalista, anche un intellettuale politico, osservatore di primo piano della sinistra e delle sue contraddizioni, che fanno da sfondo alla sua stessa vita, essendo figlio di Vittorio Foa e di Lisa Giua, da cui ha appreso la lezione dell’anticonformismo, e il sessantenne protagonista della “Primavera di Praga”, la grande occasione perduta, si incontrano nel momento in cui l’avvento di Gorbaciov e la sua Perestrojka faceva sperare in una cosa in realtà impossibile in quanto tale. E cioè in un “comunismo riformatore”, diverso dallo stalinismo, che si coniugasse con la libertà e la centralità dell’uomo. In realtà “un’astrazione”, come la storia ha confermato. E come scrive lo storico Andrea Graziosi nella postfazione del libro di Renzo Foa “L’Europa che non è stata. Intervista a Dubcek” per “Succedeoggi libri“.

Il libro verrà presentato il prossimo 26 febbraio alla Camera, dove è in programma anche la presenza di Ferdinando Adornato, Monsignor Rino Fisichella e Marco Minniti, oltre a Graziosi e l’editorialista politico Stefano Folli autore della prefazione. Folli sottolinea l’importanza della figura di Renzo Foa, a più di 15 anni dalla sua prematura scomparsa, come osservatore, intellettuale di primo piano nella storia della sinistra nella fine del secolo scorso con la fine delle ideologie.

Foa è stato anche il grande inviato nei “buchi neri” dell’Occidente come la guerra in Vietnam. La sua intervista a Dubček fu coraggiosa. E anche avventurosa. A un certo punto il direttore di allora dell'”Unità”, Gerardo Chiaromonte, richiamò indietro il suo inviato avendo avvertito un qualche pericolo da parte del regime sovietico. Erano tempi in cui si sospettava che l’incidente automobilistico in Bulgaria negli anni 70 fosse un attentato allo stesso Enrico Berlinguer. Ma Renzo, accompagnato da Luciano Antonetti, giornalista e traduttore di Dubček, non mollò e alla fine per ragioni di prudenza si preferì incontrare il protagonista della Primavera di Praga non più a Bratislava, dove il Pcc lo aveva relegato, ma a Praga, all’aperto, in piazza San Venceslao.

Dopo quello scoop internazionale ripreso dai principali giornali di tutto il mondo, a cominciare dagli Usa, dove il “Washington Post” lo mise in prima pagina, alla Cina, Dubček, “il prigioniero a passeggio sotto controllo”, che non rinnega la Primavera del ’68, anzi conferma che avrebbe rifatto tutto e si rammarica per il tanto tempo perso, incontrò in Vaticano, nella Cappella Sistina, Giovanni Paolo Secondo, incontro in cui “L’Unità” ebbe un ruolo chiave, e ricevette la laurea honoris causa all’Università di Bologna.

L’intervista , pubblicata da “L’Unità” il 10 gennaio 1988, a Dubček che per vent’anni era stato segretato nel più totale silenzio dal regime comunista, suscitò immediatamente enorme attenzione in tutto il mondo, proprio perché il padre della Primavera di Praga poteva legittimamente essere considerato il primo – e più attendibile – uomo di Stato che aveva cercato di far evolvere il modello “comunista” in chiave democratica. Proprio la “riformabilità del comunismo” è il tema di fondo dell’intervista. La storia ha dimostrato – come in questo volume testimoniano sia l’introduzione di Folli sia la postfazione di Graziosi – che il fallimento di quel processo non è solo insito nell’idea socialista della società ma anche nell’indisponibilità reale dell’Occidente, all’ epoca, di sostenere il processo di Gorbaciov.

Come ricorda Graziosi, Renzo – che fu poi anche direttore di “Paese sera”, editorialista del “Giornale” e diresse la Fondazione e la rivista Liberal con Adornato – lasciò nel ’92 la guida dell’ “Unità”, fu “bollato da alcuni dirigenti del partito di anticomunismo”. Come la storia di quell’uomo dai capelli ingrigiti, che Renzo incontrò all’uscita della stazione metro di Piazza San Venceslao, e della sua Primavera tragicamente insegna, il comunismo può essere modificato solo con la sua eliminazione.