Quali sono le vere opzioni militari Ue per l’Ucraina. Parla Gilli
Conversazione di Stefano Feltri di Appunti con Andrea Gilli, ricercatore per l’Institute for European Policymaking per il quale ha appena pubblicato con Mauro Gilli e Niccolò Petrelli un approfondito documento sulle opzioni militari per l’Europa in Ucraina. Estratto da Appunti.

Conversazione di Stefano Feltri di Appunti con Andrea Gilli, ricercatore per l’Institute for European Policymaking per il quale ha appena pubblicato con Mauro Gilli e Niccolò Petrelli un approfondito documento sulle opzioni militari per l’Europa in Ucraina. Estratto da Appunti
Andrea Gilli è ricercatore per l’Institute for European Policymaking per il quale ha appena pubblicato con Mauro Gilli e Niccolò Petrelli un approfondito documento sulle opzioni militari per l’Europa in Ucraina, se si arrivasse a una vera tregua.
Quali sono le possibilità concrete di intervento?
È da alcuni mesi che i paesi europei discutono su cosa fare qualora si dovesse raggiungere una tregua o addirittura una pace in Ucraina.
Alcuni spingono per un intervento militare, ma se guardiamo quanto è successo nel corso di queste settimane, vediamo come la disponibilità stia variando, così come le intenzioni relative al tipo di intervento.
Inizialmente si parlava di peace enforcement, ossia mantenere la pace come in Libano, poi si è discusso di supporto non-combattente (non combat support) simile alla fase finale in Afghanistan, e più di recente si è arrivati a considerare il sostegno aereo.
Queste incertezze evidenziano chiaramente come ci sia esitazione da più parti, rendendo al momento difficile valutare le possibilità concrete di intervento.
Quale soluzione auspicate nel vostro rapporto e che impatto potrebbe avere?
Nel nostro studio evidenziamo come i paesi europei abbiano un interesse strategico nell’intervenire in Ucraina o quantomeno nel garantire pace e sicurezza al paese, poiché in caso contrario si troverebbero di fronte a una Russia più forte psicologicamente e militarmente, rappresentando così una minaccia.
Tuttavia, riteniamo che le capacità militari dei paesi europei siano limitate e che le opzioni disponibili siano relativamente poche.
La soluzione più fattibile, secondo noi, è una missione di peace enforcement simile a quella attualmente presente in Libano, mirata a garantire la sicurezza lungo il confine.
Parallelamente suggeriamo però ai paesi europei di sviluppare le capacità per una missione di supporto non combattente, pronta ad aiutare l’Ucraina nel caso in cui la pace o la tregua venissero violate e riprendessero i combattimenti.
Questo approccio consentirebbe di aiutare concretamente l’Ucraina nel peggiore degli scenari e avrebbe soprattutto una funzione deterrente, inviando un messaggio chiaro alla Russia circa la presenza di una resistenza più robusta rispetto a quanto potrebbe altrimenti prevedere.
Qualunque intervento europeo in Ucraina avrebbe principalmente lo scopo di deterrenza, cioè di scoraggiare Putin dal riprendere la violenza. Tuttavia, esiste anche il rischio di escalation, ossia di indurre la Russia a reazioni ancora più aggressive, potenzialmente dirette contro Paesi NATO. Come si bilanciano questi due aspetti?
Qualunque intervento europeo in Ucraina avrebbe principalmente uno scopo di deterrenza, cioè scoraggiare Putin dal riprendere la violenza.
Tuttavia, ogni dispiegamento militare con finalità deterrenti porta inevitabilmente un rischio di escalation, perché l’avversario cercherà sempre di evitare di sentirsi messo “all’angolo”.
È impossibile per i paesi europei eliminare completamente questo rischio, ma possono e devono gestirlo con attenzione.
Per prima cosa è fondamentale considerare il rischio che la Russia utilizzi le minacce militari per aumentare le tensioni interne nei paesi europei, indebolendo così il consenso politico necessario per l’intervento. In secondo luogo, occorre progettare un contingente militare flessibile e chiaramente comunicabile, evitando ambiguità interpretative.
Da questo punto di vista sarebbe ideale includere anche paesi non europei, preferibilmente provenienti dal Sud globale, come India e Brasile, anche se coinvolgerli rappresenta una sfida complessa e non garantita.