Pulse: il medical drama di Netflix è senza battito

Dieci episodi creati da Zoe Robyn e Carlton Cuse per la prima serie tv in lingua inglese della piattaforma ambientata in un ospedale

Apr 4, 2025 - 11:09
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Pulse: il medical drama di Netflix è senza battito

Roma, 4 aprile 2025 – Il camice azzurro, lo stetoscopio al collo, le scelte da prendere in pochi secondi, i turni massacranti e la vita privata che s'intreccia a quella lavorativa. Sono gli ingredienti alla base di ogni medical drama che si rispetti. Compresa 'Pulse', la prima serie tv in lingua inglese targata Netflix ambientata tra le corsie di un ospedale. Creato da Zoe Robyn di cui è showrunner insieme a Carlton Cuse (una delle menti e delle penne dietro 'Lost'), il titolo si inserisce nel solco di 'Grey's Anatomy', la creatura di Shonda Rhimes che da vent'anni racconta le storie dei tirocinanti e medici del Seattle Grace Hospital superando in longevità addirittura 'E.R. - Medici in prima linea' andata in onda per “soli” quattordici anni a cavallo tra gli anni Novanta e Duemila. In 'Pulse' l'azione di svolge al Maguire Hospital, un centro traumatologico di primo livello di Miami.

Protagonista la specializzanda del terzo anno, la dottoressa Danny Simms (Willa Fitzgerald) che, dopo aver denunciato per molestie sessuali il suo superiore, il capo specializzando dottor Xander Phillips (Colin Woodell), si ritrova tra le mani una promozione inaspettata. Il tutto mentre fuori dall'edificio infuria l'uragano Andy che costringe i due a lavorare a stretto contatto per un ultimo turno di 24 ore, nonostante la sospensione dell'uomo arrivata dai piani alti. Sulla carta una serie di nodi narrativi potenzialmente esplosivi, nella realtà un risultato abbastanza piatto. Il battito a cui fa riferimento il titolo della serie è assente. O se c'è è flebilissimo. Come gli altri titoli appartenenti al genere medical, anche 'Pulse' alterna il racconto più strettamente legato alla professione dei protagonisti – fatto di innumerevoli casi – a quello legato alle loro vicende private. La tensione costante, l'ambizione di avanzare di ruolo, il confronto con la morte e il fallimento, la competizione tra colleghi e le relazioni sentimentali. Alternando il presente al passato grazie a una serie di frequenti flashback dai toni caldi, la serie Netflix porta avanti un discorso legato al #MeToo, ma lo fa avanzando con ambiguità e rischiando, addirittura, di screditare inizialmente la protagonista.

Per una serie che si basa sull'emotività relativa ai pazienti e sulle relazioni personali tra specializzandi e chirurghi, l'empatia latita. E neanche la minaccia dell'uragano che copre ben tre episodi riesce a creare la giusta atmosfera, tra tensione e adrenalina. Il problema è da imputare a una scrittura che non brilla in originalità e profondità e che fatica a dare il giusto risalto anche alle tematiche interessanti a cui accenna. Come Harper Simms (Jessy Yates), specializzanda sulla sedia a rotelle e sorella minore di Danny. Nonostante nel quinto episodio le si dia maggiore spazio, mostrando le difficoltà e l'ostracismo che medici con disabilità devono affrontare, il suo ruolo finisce per ridursi a quello di mero supporto della protagonista. C'è un battuta in 'Pulse' pronunciata da Danny e indirizzata a una nuova arrivata che sembra idealizzare un po' troppo la vita in corsia. “Hai guardato Grey's Anatomy da piccola? Beh, cerca di dimenticarla”. Al netto di tutti i difetti e le esagerazioni che la serie con Ellen Pompeo ha collezionato nel corso degli anni, c'è un merito al quale avrebbe dovuto prestare maggiore attenzione anche la serie Netflix: restituirci personaggi e dinamiche ai quali tenere. È così che s'innesca un battito nel cuore degli spettatori.