Processo Eternit: il miliardario Schmidheiny se la cava con 9 anni per 89 omicidi colposi
Almeno per ora, è calato il sipario sul processo Eternit bis: Stephan Schmidheiny, miliardario svizzero e unico imputato, ha visto confermata la sua responsabilità per 89 morti da amianto a Casale Monferrato, in provincia di Alessandria. La Corte d’Assise d’Appello di Torino, presieduta da Cristina Domaneschi, ha ridotto la pena iniziale da 12 a 9 […] The post Processo Eternit: il miliardario Schmidheiny se la cava con 9 anni per 89 omicidi colposi appeared first on L'INDIPENDENTE.

Almeno per ora, è calato il sipario sul processo Eternit bis: Stephan Schmidheiny, miliardario svizzero e unico imputato, ha visto confermata la sua responsabilità per 89 morti da amianto a Casale Monferrato, in provincia di Alessandria. La Corte d’Assise d’Appello di Torino, presieduta da Cristina Domaneschi, ha ridotto la pena iniziale da 12 a 9 anni e 6 mesi, riconoscendo il reato di omicidio colposo anziché il dolo eventuale. È la sentenza attesa da un’intera comunità falcidiata da decenni di mesotelioma, quella che ha sfilato con nomi e volti delle vittime in aula: un elenco di dolore, rabbia e lacerazioni familiari. Eppure, tra applausi soffocati e proteste, in molti hanno parlato di una “giustizia a metà”.
In primo grado, Schmidheiny era stato ritenuto responsabile di 147 decessi per mesotelioma, assolto in 46 casi e con 199 archiviazioni per prescrizione. La nuova sentenza ha ulteriormente ridotto il campo: in 29 casi assoluzione “perché il fatto non sussiste”, mentre 29 sono finiti nuovamente prescritti. Resta, comunque, la condanna per quasi novanta omicidi colposi: numeri che raccontano la portata di una tragedia che continua a fare vittime a decenni di distanza. La Procura generale aveva puntato in alto, chiedendo l’ergastolo per omicidio con dolo eventuale: un’accusa che avrebbe comportato prescrizioni molto più lunghe e una più netta affermazione della responsabilità penale del magnate. Ma, come già in primo grado, i giudici hanno derubricato il reato a omicidio colposo. Il risarcimento civile è stato ridimensionato: da oltre 100 milioni previsti in primo grado, il Comune di Casale Monferrato riceverà 5 milioni e la Presidenza del Consiglio 500mila euro.
Il verdetto, per molti, non restituisce la piena dignità alle centinaia di morti che a Casale, operai e cittadini, hanno respirato inconsapevolmente la fibra killer. Bruno Pesce, cofondatore dell’Associazione dei familiari delle vittime dell’amianto (AFeVA), ha definito «relativo» il conteggio degli anni di pena, auspicando che la conferma avvenga in Cassazione e che «non scatti un’ulteriore prescrizione». Dalla requisitoria dei pm fino alla lettura del dispositivo, il clima in aula è rimasto carico di tensione. «I trionfalismi non appartengono all’ufficio del pubblico ministero», ha osservato Lucia Musti, procuratore generale del Piemonte, evidenziando l’attendibilità delle prove raccolte. Sul fronte opposto, la difesa – con gli avvocati Astolfo Di Amato e Guido Carlo Alleva – ha rivendicato «l’insufficienza del nesso causale» e preannunciato ricorso in Cassazione.
Questa sentenza arriva in un contesto segnato da precedenti amari. Nel 2014, la Cassazione aveva dichiarato prescritto il reato di disastro ambientale nel maxi-processo Eternit. Schmidheiny, in quel caso, era stato condannato in primo grado a 16 anni, poi 18 in appello, ma tutto era crollato con la prescrizione. Da lì, la procura di Torino aveva “spacchettato” l’inchiesta in diversi filoni. Quello di Casale è il più vasto, ma non l’unico: a Napoli, nel 2024, è stata confermata la condanna a 3 anni e 6 mesi per l’omicidio colposo di un operaio Eternit di Bagnoli. L’amianto lavorato nello stabilimento di Casale, chiuso nel 1986, ha lasciato una scia devastante. Dei 392 casi trattati nel processo, 62 erano ex lavoratori, gli altri 330 semplici cittadini del territorio: molti colpiti dal cosiddetto “polverino”, scarto di produzione usato per livellare cortili e strade, inconsapevoli del rischio mortale. «A Casale si continua a morire – ha ricordato Bruno Pesce – solo dal 2017 si contano altri 414 decessi per mesotelioma, esclusi dal processo».
L’emergenza amianto, infatti, non è finita. Secondo uno studio dell’OMS, Ancora oggi nel continente europeo muoiono almeno 80mila persone ogni anno a causa dell’amianto (oltre la metà delle morti di tutto il mondo). I dati italiani diramati dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS), riferiti al periodo compreso tra il 2010 e il 2016, parlano di 10.607 decessi avvenuti nel nostro Paese per patologie causate dall’esposizione alla cosiddetta “fibra killer”. Usato prevalentemente in edilizia e nell’industria, l’amianto si può trovare in moltissime strutture comuni e frequentate come abitazioni, scuole, ospedali, luoghi di lavoro. I rischi maggiori sono legati alla presenza nell’aria delle sue fibre che, una volta inalate, si possono depositare all’interno delle vie aeree e sulle cellule polmonari. Queste fibre, mille volte più sottili di un capello, dopo essersi sedimentate nelle parti più profonde dei polmoni, possono rimanerci per diversi anni, anche per tutta la vita.
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