Pirandello: con Dapporto e Troiano il giuoco delle parti diventa pulp
Gli attori in tournée a Firenze mettono in scena il tema della maschera in versione tarantiniana

Firenze, 13 aprile 2025 - «Tra la maschera e il volto c’è una zona buia ed è quella che io voglio
illuminare». Siamo in prova, sul palco, quando il regista Maurizio (Massimo Dapporto, 79 anni)
pronuncia queste parole per far comprendere a Carmine (Fabio Troiano, 50), l’elettricista – o
meglio il «datore luci» come si definisce lui –, il senso dello spettacolo che deve andare in scena.
Il giuoco delle parti di Pirandello è il dramma scelto, con cui Maurizio intende far uscire tutto il suo
«peso specifico» e le sue doti da cineasta.
Comincia così Pirandello Pulp, la commedia di Edoardo Erba, con la regia di Gioele Dix, messa in
scena ieri sera a Firenze, al Teatro della Pergola, ultimo appuntamento di una tournée cominciata
a febbraio a Conversano (BA). Dapporto e Troiano, i due protagonisti e unici attori della
rappresentazione - che non vuole essere una parodia dell’opera pirandelliana, anche se è
possibile cogliere una sottile critica umoristica al teatro del drammaturgo siciliano –, vestono
rispettivamente i panni di un regista colto e di un elettricista poco professionale. Il primo, Maurizio, deve inaspettatamente fare i conti con il secondo, Carmine, che soffre di vertigini ed è quindi terrorizzato dal salire sulla scala a piazzare le luci. Per prendere tempo Carmine si mette a
discutere ogni dettaglio della regia e a fornire idee, all’inizio non richieste, a Maurizio, che poco alla volta passa dall’irritazione all’entusiasmo, concependo la possibilità di una versione pulp del
Giuoco delle parti.
Le proposte di Carmine infatti nascono da una sessualità vissuta pericolosamente e finiscono per
convincere Maurizio, che deciderà di ambientare l’opera in uno squallido parcheggio di periferia,
dove si consumano scambi di coppie. «La volgarità al pubblico piace… ma va resa elegante», si
persuade il regista. «Essia!» esclama con sempre più veemenza ad ogni suggerimento
dell’elettricista, rivolgendosi più che a quest’ultimo al fantasma del suo amato Vittorio (presumibilmente Gassman) che lo accompagna in ogni sua decisione.
È così che i ruoli cominciano a invertirsi: ora è Maurizio a salire e scendere dalla scala per
sistemare le luci, mentre Carmine è diventato la mente pensante, che tenta di riscrivere il racconto a partire da quello che può succedere «magari tra una scena e l’altra, lì dove non c’è scritto». Ma quello che sembra un semplice ribaltamento dei ruoli, piano piano, porta alla luce inquietanti verità, che turbano i già problematici equilibri trovati dai personaggi, fino a far precipitare la commedia verso un finale inaspettato. E mentre questa evolve rapidamente, l’entusiasmo del pubblico che guarda cresce.
Da una leggera, comunque irresistibile comicità, si arriva a un’ironia malinconica che risolve il
dramma, passando prima attraverso tensioni e turbamenti tipici del teatro del “Figlio del Caos”-
così come amava autodefinirsi scherzosamente Luigi Pirandello, alludendo sia al nome del luogo
in cui era nato (un altopiano detto Kaos), sia all’idea onnipresente nelle sue opere che il mondo sia caos, ovvero una trama insolubile in cui ogni uomo indossa molteplici maschere.
Pirandello Pulp è genuinamente brillante. O meglio, per utilizzare le parole di Maurizio, è
«Semplice, diretto, shakesperiano. Sipario».