Perché non bisogna perdersi "L’arte di James Cameron"

Nel panorama dei registi contemporanei James Cameron, 71 anni, canadese autore del primo, terzo e quarto maggiore incasso della storia del cinema (i due Avatar e Titanic), ma anche di altre pellicole che hanno ampliato l’immaginario del pubblico di ogni età - dai due Terminator a The Abyss ad Aliens - Scontro finale - è uno dei rarissimi esempi di cineasta che assomma tre caratteristiche: magnifico intrattenitore, capace di estasiare le platee di tutto il mondo, rispettabile autore, in grado di esplorare nel profondo la natura umana e la relazione con le macchine, la natura, l’altro da sé, e pioniere in grado di far avanzare la tecnica cinematografica, grazie alle invenzioni necessarie ad ampliare la frontiera del “mai visto prima”. Per comprenderne appieno tutte queste qualità è necessario visitare la mostra L’arte di James Cameron che sarà visibile al Museo Nazionale del Cinema di Torino fino al 15 giugno prossimo e che espone più di 300 oggetti originali tra bozzetti, dipinti, poster, oggetti di scena, costumi, fotografie e varie tecnologie realizzate dallo stesso Cameron. La cosa che lascia immediatamente stupefatti del regista, nell’ascendere la rampa che percorre la Mole Antonelliana, è la precoce fervida immaginazione, alimentata dai primissimi anni di età da fumetti Marvel, romanzi e film di fantascienza (La guerra dei mondi, Arthur C. Clarke), visite con la madre ai musei d’arte, e trasferita immediatamente già da bambino in disegni che risentono del clima della Guerra fredda e della fiducia incondizionata nelle conquiste spaziali e nella tecnologia. Ecco allora così scorrere lungo il percorso una serie di schizzi di altri mondi, di esplosioni atomiche, di automi senzienti già talmente ben realizzati, considerata la tenera età, da far cogliere già i temi che sarebbero fioriti nei suoi film: l’esplorazione spaziale (Aliens - Scontro finale), il rapporto dell’uomo con le macchine (i due Terminator), il rapporto con l’altro (The Abyss) le grandi imprese e la sfida dell’uomo con l’impossibile (Titanic), il rapporto con la natura (Avatar). Tanto precoce talento non poteva non incanalarsi nel medium visivo per eccellenza, il cinema, in cui Cameron iniziò a lavorare come esperto di effetti speciali, disegnatore di poster di B movie, mentre realizzava i suoi cortometraggi che sono stati la palestra per passare poi al grande schermo: è in questa fase che attraverso bozzetti, disegni, scritti e interviste video allo stesso Cameron, si inizia a intravedere lo spirito leonardesco del regista, capace non solo di visualizzare nella sua mente le scene dei propri film, ma anche di disegnare le scenografie e i personaggi, creare il design degli oggetti di scena (ad esempio i fucili dei marine spaziali di Aliens), ma anche e soprattutto di anticipare le soluzioni tecniche per i trucchi visivi, come si vede bene nei bozzetti preparatori in cui Arnold Schwarzenegger-Terminator seduto a un tavolo cura il proprio braccio meccanico per ripararlo (in quel caso una persona rannicchiata prestò la propria mano che, spuntando dal tavolo, sembrava attaccata alla finta protesi del braccio che usciva dalla giacca dell’attore). Da qui in poi attraverso schizzi, oggetti di scena (impressionanti quelli di Terminator, in un capitolo a parte dedicato al genio del creatore di effetti speciali Stan Winston), veri e propri studi preparatori, si coglie l’unicità di questo cineasta, capace di padroneggiare ogni aspetto della macchina-cinema, come si capisce molto bene in una nicchia in cui figurano gli storyboard a colori disegnati da Cameron per la sequenza della guerra tra umani e cyborg nel futuro in Terminator: lì il regista non solo definisce le inquadrature, l’azione dei soldati nel paesaggio apocalittico, ma dà suggerimenti sulla luce al direttore della fotografia, indicazioni ai creatori di effetti speciali per capire cosa deve essere realizzato dal vivo e cosa solamente proiettato alle spalle degli attori, e dove Cameron stesso disegna un mega-robot killer la cui foggia richiama le figure che lui stesso aveva visto nei film di fantascienza di cui si nutriva da bambino. Tra uno studio sulla natura fluida dell’extraterrestre di The Abyss (un’idea ripresa con il T-1000 liquido di Terminator 2), uno sugli interni del Titanic affondato, visti in prima persona da Cameron in un viaggio nelle profondità marine dove si trova il relitto, i modelli dei Na’vi di Avatar e dell’Albero della vita alieno, e l’articolata spiegazione su come realizzare il “montacarichi robot” con cui Sigourney Weaver-Ripley affronta la regina aliena in Aliens, il viaggio nel Museo del Cinema permette di addentrarsi nella mente creativa di un artista-scienziato che definire semplicemente regista appare francamente riduttivo.

Mar 6, 2025 - 19:27
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Perché non bisogna perdersi "L’arte di James Cameron"


Nel panorama dei registi contemporanei James Cameron, 71 anni, canadese autore del primo, terzo e quarto maggiore incasso della storia del cinema (i due Avatar e Titanic), ma anche di altre pellicole che hanno ampliato l’immaginario del pubblico di ogni età - dai due Terminator a The Abyss ad Aliens - Scontro finale - è uno dei rarissimi esempi di cineasta che assomma tre caratteristiche: magnifico intrattenitore, capace di estasiare le platee di tutto il mondo, rispettabile autore, in grado di esplorare nel profondo la natura umana e la relazione con le macchine, la natura, l’altro da sé, e pioniere in grado di far avanzare la tecnica cinematografica, grazie alle invenzioni necessarie ad ampliare la frontiera del “mai visto prima”. Per comprenderne appieno tutte queste qualità è necessario visitare la mostra L’arte di James Cameron che sarà visibile al Museo Nazionale del Cinema di Torino fino al 15 giugno prossimo e che espone più di 300 oggetti originali tra bozzetti, dipinti, poster, oggetti di scena, costumi, fotografie e varie tecnologie realizzate dallo stesso Cameron.








La cosa che lascia immediatamente stupefatti del regista, nell’ascendere la rampa che percorre la Mole Antonelliana, è la precoce fervida immaginazione, alimentata dai primissimi anni di età da fumetti Marvel, romanzi e film di fantascienza (La guerra dei mondi, Arthur C. Clarke), visite con la madre ai musei d’arte, e trasferita immediatamente già da bambino in disegni che risentono del clima della Guerra fredda e della fiducia incondizionata nelle conquiste spaziali e nella tecnologia. Ecco allora così scorrere lungo il percorso una serie di schizzi di altri mondi, di esplosioni atomiche, di automi senzienti già talmente ben realizzati, considerata la tenera età, da far cogliere già i temi che sarebbero fioriti nei suoi film: l’esplorazione spaziale (Aliens - Scontro finale), il rapporto dell’uomo con le macchine (i due Terminator), il rapporto con l’altro (The Abyss) le grandi imprese e la sfida dell’uomo con l’impossibile (Titanic), il rapporto con la natura (Avatar).

Tanto precoce talento non poteva non incanalarsi nel medium visivo per eccellenza, il cinema, in cui Cameron iniziò a lavorare come esperto di effetti speciali, disegnatore di poster di B movie, mentre realizzava i suoi cortometraggi che sono stati la palestra per passare poi al grande schermo: è in questa fase che attraverso bozzetti, disegni, scritti e interviste video allo stesso Cameron, si inizia a intravedere lo spirito leonardesco del regista, capace non solo di visualizzare nella sua mente le scene dei propri film, ma anche di disegnare le scenografie e i personaggi, creare il design degli oggetti di scena (ad esempio i fucili dei marine spaziali di Aliens), ma anche e soprattutto di anticipare le soluzioni tecniche per i trucchi visivi, come si vede bene nei bozzetti preparatori in cui Arnold Schwarzenegger-Terminator seduto a un tavolo cura il proprio braccio meccanico per ripararlo (in quel caso una persona rannicchiata prestò la propria mano che, spuntando dal tavolo, sembrava attaccata alla finta protesi del braccio che usciva dalla giacca dell’attore).

Da qui in poi attraverso schizzi, oggetti di scena (impressionanti quelli di Terminator, in un capitolo a parte dedicato al genio del creatore di effetti speciali Stan Winston), veri e propri studi preparatori, si coglie l’unicità di questo cineasta, capace di padroneggiare ogni aspetto della macchina-cinema, come si capisce molto bene in una nicchia in cui figurano gli storyboard a colori disegnati da Cameron per la sequenza della guerra tra umani e cyborg nel futuro in Terminator: lì il regista non solo definisce le inquadrature, l’azione dei soldati nel paesaggio apocalittico, ma dà suggerimenti sulla luce al direttore della fotografia, indicazioni ai creatori di effetti speciali per capire cosa deve essere realizzato dal vivo e cosa solamente proiettato alle spalle degli attori, e dove Cameron stesso disegna un mega-robot killer la cui foggia richiama le figure che lui stesso aveva visto nei film di fantascienza di cui si nutriva da bambino.

Tra uno studio sulla natura fluida dell’extraterrestre di The Abyss (un’idea ripresa con il T-1000 liquido di Terminator 2), uno sugli interni del Titanic affondato, visti in prima persona da Cameron in un viaggio nelle profondità marine dove si trova il relitto, i modelli dei Na’vi di Avatar e dell’Albero della vita alieno, e l’articolata spiegazione su come realizzare il “montacarichi robot” con cui Sigourney Weaver-Ripley affronta la regina aliena in Aliens, il viaggio nel Museo del Cinema permette di addentrarsi nella mente creativa di un artista-scienziato che definire semplicemente regista appare francamente riduttivo.