Perché forse oggi servirebbe un Aldo Moro

Ci vorrebbe oggi un Moro pluricentenario, ma destinato forse allo stesso destino di quello morto tragicamente nel 1978, con tutti i pazzi di cui avverto la presenza in giro nel mondo. Il corsivo di Damato pubblicato sul quotidiano Il Dubbio

Mar 18, 2025 - 09:15
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Perché forse oggi servirebbe un Aldo Moro

Ci vorrebbe oggi un Moro pluricentenario, ma destinato forse allo stesso destino di quello morto tragicamente nel 1978, con tutti i pazzi di cui avverto la presenza in giro nel mondo. Il corsivo di Damato pubblicato sul quotidiano Il Dubbio

Ci ho pensato passando e fermandomi, come faccio ogni 16 marzo, davanti alla targa prima e al monumento poi eretto in via Fani, a Roma, dove Aldo Moro fu rapito a poca distanza da casa fra il sangue della scorta dalle brigate rosse. Che avrebbero ucciso pure lui dopo 55 giorni di prigionia, precedendo di poche ore la grazia che Giovanni Leone al Quirinale aveva deciso di concedere, anche senza il consenso del governo, a Paola Besuschio: una terrorista compresa nell’elenco dei tredici detenuti con i quali i brigatisi rossi avevano chiesto di scambiare il loro ostaggio eccellente. Pur di non spaccarsi di nuovo, come era già accaduto una volta dopo il sequestro opponendo fermezza a fermezza,, i macellai di via Fani decisero di eliminare l’ormai troppo ingombrante prigioniero.

Moro, il mio amico e conterraneo Moro, pagò con la vita prima ancora della generosità e solidarietà di Leone, che peraltro si sentiva in debito con lui per averlo preceduto di un soffio al Quirinale alla fine del 1971; pagò con la vita, dicevo, la cosiddetta politica di solidarietà nazionale, variante del berlingueriano compromesso storico, da lui stesso realizzata, come presidente della Dc, dopo le elezioni politiche anticipate del 1976 con l’astensione concessa dai comunisti al governo monocolore democristiano di Giulio Andreotti. Una solidarietà che, per quanto sempre più difficile da sostenere elettoralmente dal Pci, Moro proprio pochi giorni prima del sequestro era riuscito a rafforzare inducendo il Pci a passare dall’astensione al voto di fiducia.

Anche in questi giorni, nel mondo un po’ troppo sottosopra per le aperture di Trump a Putin alle spalle, sostanzialmente, di un’Europa solidale con l’Ucraina di Zelensky, che rischia di pagare un prezzo troppo salato alla pace pur necessaria dopo più di tre anni di guerra mossale dalla Russia, ho sentito e letto della opportunità, necessità e quant’altro di una solidarietà nazionale fra i partiti nazionali, divisi sulla politica estera fa di loro e persino al loro interno. Divisi così paradossalmente che un esperto di politica e di Parlamento italiano come Mauro Zampini, ex segretario generale della Camera, con lo pseudonimo di Montesquieu sulla Stampa ha immaginato realizzabile, con la benedizione del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, scombinando maggioranza e opposizione per mettere insieme soprattutto il Pd della Schlein, con tutti i problemi che ha la stessa Schlein, e il partito della premier Giorgia Meloni. Roba da capogiro, più ancora di 47 anni fa con la convergenza fra i due maggiori partiti che erano allora la Dc e il Pci. Usciti entrambi vincitori dalle urne, nell’analisi di Moro, ma numericamente e politicamente incapaci, l’uno e l’altro, di combinare maggioranze alternative fra di loro.

Ci vorrebbe oggi un Moro pluricentenario, ma destinato forse allo stesso destino di quello morto così tragicamente all’età di soli 62 anni, nel lontano 1978, con tutti i pazzi di cui avverto la presenza in giro nel mondo, ripeto.