Miti sul nucleare: così si continua a spararla grossa (e si aggirano gli esiti dei referendum)

Mentre dagli Stati Uniti vengono scagliate affermazioni rodomontesche che disorientano un’opinione pubblica già provata, non sembra venir meno anche da noi la propensione a spararle grosse. E’ da qualche settimana che l’intera compagine al governo si cimenta nel sostegno dell’uranio più o meno arricchito (se non addirittura, nascondendolo con dovuta reticenza, del plutonio di interesse […] L'articolo Miti sul nucleare: così si continua a spararla grossa (e si aggirano gli esiti dei referendum) proviene da Il Fatto Quotidiano.

Mar 19, 2025 - 10:15
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Miti sul nucleare: così si continua a spararla grossa (e si aggirano gli esiti dei referendum)

Mentre dagli Stati Uniti vengono scagliate affermazioni rodomontesche che disorientano un’opinione pubblica già provata, non sembra venir meno anche da noi la propensione a spararle grosse. E’ da qualche settimana che l’intera compagine al governo si cimenta nel sostegno dell’uranio più o meno arricchito (se non addirittura, nascondendolo con dovuta reticenza, del plutonio di interesse militare) come combustibile in reattori piccoli o grandi (ancora non si distingue bene…).

Sia il Ministro dell’Ambiente che il seguito di stampa e di presunti esperti che lo assecondano si cimentano incautamente sulla strada del ciclo radioattivo e, con dati alquanto opinabili, si prodigano per accantonare l’esito dei referendum del 1997 e del 2011. Sicurezza, remuneratività degli investimenti, sostenibilità, energia infinita e a buon mercato costellano i mantra che ci vengono via via ammanniti. Vediamo un po’ di cosa si nutrono i miti sul nucleare incautamente dispensati. Attingendo dati dalle fonti internazionali meglio accreditate (in particolare il Bulletin of Atomic Scientists).

Si fa notare che alla Cop28 i rappresentanti di 25 paesi, guidati dagli Stati Uniti, hanno assunto l’impegno di triplicare al 2050 la disponibilità di energia nucleare. Parrebbe automatico accodare anche l’Italia a tanta impresa. Peccato che ci siano oggi 100 reattori in funzione in Europa, la maggior parte dei quali sono vecchi e che 90 di questi dovranno essere chiusi entro il 2050. Quindi, avremmo bisogno nel solo vecchio continente di 90 nuovi reattori solo per mantenere l’energia nucleare al suo livello attuale e, per triplicarlo, di 300 nuovi reattori, con la connessione di 15 nuovi grandi reattori in Europa ogni anno dal 2030 al 2050.

C’è posto per l’Italia in tanta impresa? Tanto più se si osserva che l’aumento di potenza di tutte le centrali nucleari nel mondo negli ultimi vent’anni, dal 2004 al 2023, è stato pari a un totale di 7 GW e che nello stesso periodo, la capacità delle centrali solari nel mondo è cresciuta di 1643 GW, passando da 7 GW a 1650 GW.

La spiegazione è chiara: le rinnovabili meglio e più velocemente del nucleare competono per tenere a freno la catastrofe climatica: basta confrontare i tempi di realizzazione e la curva di apprendimento delle due tecnologie a totale vantaggio della prima.

L’uranio non è una risorsa abbondante, anzi, e in Italia sarebbe tutta d’importazione. In Europa attualmente non esiste più una miniera di uranio operativa e la capacità di arricchimento del combustibile dovrebbe essere acquisita fuori dai nostri confini. Ma si è valutato chi vorrebbe investire in Occidente in una tecnologia non più sulla cresta dell’onda?

E’ pur vero che la tassonomia Ue purtroppo classifica l’energia nucleare come una risorsa “ecologicamente sostenibile”, ma per rientrare in questa categoria il Paese che ospitasse gli impianti dovrebbe attivare un fondo per la gestione dei rifiuti radioattivi e del combustibile nucleare esaurito e un fondo per lo smantellamento delle centrali nucleari, oltre ad assicurare un deposito già operativo per i rifiuti di bassa e media attività (LILW) e un deposito funzionante entro il 2050 per i rifiuti di alta attività e il combustibile nucleare esaurito. E come si ottempera a questi vincoli in Italia?

Le centrali nucleari si costruiscono in un lasso di tempo non compatibile con l’urgenza climatica e con l’assorbimento di risorse finanziarie così ingenti da avere un costo corrente elevato e pesare sul debito di molte generazioni future. Il reattore EPR della società francese Areva in Finlandia, Olkiluoto 3, è in costruzione da 18 anni; lo stesso reattore a Flamanville in Francia è arrivato all’avvio dopo 17 anni, mentre per Hinkley Point C nel Regno Unito è previsto il completamento della costruzione nel 2031: il che significa 21 anni dalla decisione del governo e 14 anni dall’inizio della costruzione.

Per il reattore francese il prezzo del contratto era di 3 miliardi di euro, mentre la stima del completamento è sui 30 miliardi di euro; gli impianti di Hinkley Point C costeranno 36 miliardi di sterline (43,4 miliardi di euro) ai prezzi del 2015, o 57,7 miliardi di euro ai prezzi odierni. Si capisce perché il ddl del governo sul “nucleare sostenibile” lasci trapelare aiuti pubblici e taccia sullo scarico sulle bollette.

Ma – si dirà – l’Italia punta agli Smr, i piccoli reattori nucleari: ebbene, il prezzo del nuovo Smr BWRX-300 da soli 300 MWe di GE-Hitachi, raggiungerà i 5,4 miliardi di dollari più interessi quando sarà forse costruito nel 2033. Quanto costeranno allora i moduli per sostenere i data center sparsi in tutta Italia che il governo fa trapelare interessati all’atomo?

In quanto ai costi d’esercizio (e al pagamento delle bollette!) va ricordato che è vero che per la centrale nucleare di Krško, vecchia di 43 anni, il prezzo interno dell’impianto era di 34 euro/MWh nel 2022 più 12 euro/MWh per il fondo di smantellamento, i rifiuti LIL e il combustibile nucleare esaurito, per un totale di 55 euro/MWh. Ma si tratta di un impianto largamente ammortizzato, mentre il prezzo dell’elettricità pubblicato per la nuova centrale nucleare di Hinkley Point C è di £ 92,5/MWh ai prezzi del 2012. Ai prezzi odierni, questo stesso prezzo è di £ 136,9/MWh o 159,55 Eur/MWh. Questo prezzo sarà molto più alto entro il 2030.

Secondo il rapporto di Draghi “Il futuro della competitività europea” del settembre 2024, l’elettricità dalle nuove centrali nucleari è aumentata di prezzo del 46% da 123 $/MWh nel 2009 a 180 $/MWh nel 2023. Confrontiamolo allora con il costo livellato dell’energia (Lcoe) nel 2019 di 53 $/MWh per l’elettricità prodotta dall’energia eolica terrestre e di 68 $/MWh per quella fotovoltaica! Per gli Smr tuttora non esistenti la previsione di costo si aggira attorno a 180-260 euro a MWh.

Il nucleare richiederà sostanziali riduzioni dei costi prima che valga la pena di investire, indipendentemente dal fatto che il suo beneficio in termini di energia pulita venga considerato o meno, dato il vantaggio delle rinnovabili rese continue dagli storage avanzati.

In questo post, peraltro, si è trascurato l’aspetto più inquietante: l’assoluta mancanza di progressi decisivi nella tecnologia nucleare che la possano definire di nuova generazione (IV generazione?!). Dove sta allora il superamento dei referendum, per lanciarsi in una avventura fallimentare anche sul piano dei costi e delle prospettive a breve e lungo termine?

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