Milano sotto inchiesta
Il terremoto scatenato dalla Procura (con arresti e dimissioni) per le concessioni urbanistiche del Comune. E poi la sgangherata vicenda di Davide Lacerenza e del suo locale, tra prostituzione, droga e champagne. Così si compie la parabola dell’ex città-vetrina. Come del suo sindaco «smart»...Com’è austera via Napo Torriani di sera. Alberghi anonimi, ristoranti a buon mercato, negozi di cianfrusaglie cinesi, centri benessere. La Milano più caricaturale, dunque autentica, si trovava ogni notte nel mezzo del cammin di questa via, che parte dalla Stazione centrale e arriva in piazza Cincinnato, il console romano che scelse una vita onesta e disinteressata. Davidone Lacerenza, il «king» delle notti meneghine, optò invece per un’esistenza mascalzonesca e profittevole. La Gintoneria era il suo regno: champagne da sciabolare, Ferrari rossa a vista, i vitelloni che «fanno ballare la fresca». L’hanno arrestato per una sfilza di reati, riassumibili nel grido di battaglia: coca e mignotte, tutta la notte. Assieme a lui, è finita ai domiciliari pure Stefania Nobile, figliola dell’indimenticata teleimbonitrice Wanna, già compagna di vita e poi d’affari del real Davidone, ex venditore di frutta diventato sovrano dei social e del divertimento.Due giorni dopo, viene arrestato Giovanni Oggioni, un ex dirigente del Comune di Milano. Non si fa certo ritrarre con il frustino tra i denti, per riecheggiare le escort chiamate cavalli, come l’autoproclamato re. Tutt’altro. È un distinto 73enne: loden scuro, cravatte severe, modi garbati. Avrebbe agevolato pratiche urbanistiche per costruire palazzoni senza autorizzazione. Sarebbe arrivato, accusano i magistrati, persino a scrivere la «Salva Milano», legge che doveva anestetizzare le inchieste sugli abusi edilizi. Storiaccia. Ha convinto il sindaco, Beppe Sala, a far dimettere l’assessore all’Urbanistica, Guido Bardelli, scelto appena qualche mese fa. Certo: i pregiati champagne, usati anche per lavare i cerchioni del «Ferro», non hanno nulla a che vedere con le disinvolte Scia, abusate certificazioni edilizie. Eppure, le due inchieste rivelerebbero la stessa ossessione: i soldi, i danè, la fresca. A Milano si contano in «kappa». È l’unità di misura nella defunta capitale morale. Chi non la maneggia, è perduto. La città che tutti incantava fa ormai notizia solo per le sue brutture: roboanti arresti, sconsiderati grattacieli, costi esorbitanti, violenze seriali, degrado diffuso, ronde anti maranza. La nuova Mani pulite, trent’anni dopo, riparte da quei palazzoni tirati su con una semplice comunicazione di inizio lavori, al posto della concessione edilizia. Si può innalzare una torre di 27 metri dentro un cortile: come in piazza Aspromonte. O un grattacielo di 82 metri al posto di un palazzotto di tre piani: vedi via Stresa. E torri al posto di due capannoni: via Crescenzago insegna. Fioccano quindi gli indagati: costruttori, architetti, funzionari comunali. Tutti indispettiti dagli zelanti ecomanettari. Impediscono lo sviluppo. Armeggiano norme desuete. Giù le mani dai samaritani che vogliono riqualificare Milano. Le case sono le più care d’Italia? Cinquemila euro al metro quadro in periferia? È il prezzo del progresso. I miserabili emigrino pure nell’hinterland. Ma non s’azzardino a prendere l’auto, per raggiungere il capoluogo lombardo. Altrimenti, si preparino a pagare le gabelle turboecologiste volute da Sala. Per abbattere l’inquinamento, invece, cosa c’è di meglio che cementificare? Le intercettazioni sull’urbanistica alla meneghina, dopo un anno passato a ripetere che quelle dei pm erano solo ubbie investigative, sono eloquentissime: «Che cazzo, è una roba che grida vendetta! Obiettivamente, cioè, com’è possibile?» si sfoga al telefono l’architetto Marco Engel, che guida la sezione lombarda dell’Istituto nazionale di urbanistica. Due casette trasformate in grattacieli, con vista sul parco. «Abbiamo distorto la norma in maniera che un intervento di questa dimensione possa essere di ristrutturazione con scia» dice all’ex presidente della commissione Paesaggio del comune, Marco Prusicki. «Abbiamo sbagliato. È chiaro che se un magistrato vede una roba così dice: “Ma non è possibile”. Come fai a spiegarglielo? O meglio: come fai a convincerlo?». Impossibile, appunto. Engel aggiunge: «È successo solo a Milano. Io ho provato a chiedere in giro a quelli che conosco... Nessuno si sarebbe fidato, neanche con il permesso di costruire, a lasciar fare le torri di Crescenzago». Insomma, imperava il «chi se ne fotte». Eppure, Sala e compagni hanno fatto credere a tutti che la legge «Salva Milano» fosse buona e giusta. Un baluardo che avrebbe fermato gli antistorici pm. Non ci sono solo i palazzoni tirati su in deroga alle leggi. Due mesi fa, la procura ha chiesto gli arresti domiciliari anche per la più venerata delle archistar: Stefano Boeri, padre del Bosco Verticale, simbolo della nuova Milano. È accusato, assieme al collega Cino Zucchi, di turbativa d’asta e falso nell’inchiesta sul con


Il terremoto scatenato dalla Procura (con arresti e dimissioni) per le concessioni urbanistiche del Comune. E poi la sgangherata vicenda di Davide Lacerenza e del suo locale, tra prostituzione, droga e champagne. Così si compie la parabola dell’ex città-vetrina. Come del suo sindaco «smart»...
Com’è austera via Napo Torriani di sera. Alberghi anonimi, ristoranti a buon mercato, negozi di cianfrusaglie cinesi, centri benessere. La Milano più caricaturale, dunque autentica, si trovava ogni notte nel mezzo del cammin di questa via, che parte dalla Stazione centrale e arriva in piazza Cincinnato, il console romano che scelse una vita onesta e disinteressata. Davidone Lacerenza, il «king» delle notti meneghine, optò invece per un’esistenza mascalzonesca e profittevole. La Gintoneria era il suo regno: champagne da sciabolare, Ferrari rossa a vista, i vitelloni che «fanno ballare la fresca». L’hanno arrestato per una sfilza di reati, riassumibili nel grido di battaglia: coca e mignotte, tutta la notte. Assieme a lui, è finita ai domiciliari pure Stefania Nobile, figliola dell’indimenticata teleimbonitrice Wanna, già compagna di vita e poi d’affari del real Davidone, ex venditore di frutta diventato sovrano dei social e del divertimento.
Due giorni dopo, viene arrestato Giovanni Oggioni, un ex dirigente del Comune di Milano. Non si fa certo ritrarre con il frustino tra i denti, per riecheggiare le escort chiamate cavalli, come l’autoproclamato re. Tutt’altro. È un distinto 73enne: loden scuro, cravatte severe, modi garbati. Avrebbe agevolato pratiche urbanistiche per costruire palazzoni senza autorizzazione. Sarebbe arrivato, accusano i magistrati, persino a scrivere la «Salva Milano», legge che doveva anestetizzare le inchieste sugli abusi edilizi. Storiaccia. Ha convinto il sindaco, Beppe Sala, a far dimettere l’assessore all’Urbanistica, Guido Bardelli, scelto appena qualche mese fa.
Certo: i pregiati champagne, usati anche per lavare i cerchioni del «Ferro», non hanno nulla a che vedere con le disinvolte Scia, abusate certificazioni edilizie. Eppure, le due inchieste rivelerebbero la stessa ossessione: i soldi, i danè, la fresca. A Milano si contano in «kappa». È l’unità di misura nella defunta capitale morale. Chi non la maneggia, è perduto. La città che tutti incantava fa ormai notizia solo per le sue brutture: roboanti arresti, sconsiderati grattacieli, costi esorbitanti, violenze seriali, degrado diffuso, ronde anti maranza.
La nuova Mani pulite, trent’anni dopo, riparte da quei palazzoni tirati su con una semplice comunicazione di inizio lavori, al posto della concessione edilizia. Si può innalzare una torre di 27 metri dentro un cortile: come in piazza Aspromonte. O un grattacielo di 82 metri al posto di un palazzotto di tre piani: vedi via Stresa. E torri al posto di due capannoni: via Crescenzago insegna. Fioccano quindi gli indagati: costruttori, architetti, funzionari comunali. Tutti indispettiti dagli zelanti ecomanettari. Impediscono lo sviluppo. Armeggiano norme desuete. Giù le mani dai samaritani che vogliono riqualificare Milano. Le case sono le più care d’Italia? Cinquemila euro al metro quadro in periferia? È il prezzo del progresso. I miserabili emigrino pure nell’hinterland. Ma non s’azzardino a prendere l’auto, per raggiungere il capoluogo lombardo. Altrimenti, si preparino a pagare le gabelle turboecologiste volute da Sala. Per abbattere l’inquinamento, invece, cosa c’è di meglio che cementificare?
Le intercettazioni sull’urbanistica alla meneghina, dopo un anno passato a ripetere che quelle dei pm erano solo ubbie investigative, sono eloquentissime: «Che cazzo, è una roba che grida vendetta! Obiettivamente, cioè, com’è possibile?» si sfoga al telefono l’architetto Marco Engel, che guida la sezione lombarda dell’Istituto nazionale di urbanistica. Due casette trasformate in grattacieli, con vista sul parco. «Abbiamo distorto la norma in maniera che un intervento di questa dimensione possa essere di ristrutturazione con scia» dice all’ex presidente della commissione Paesaggio del comune, Marco Prusicki. «Abbiamo sbagliato. È chiaro che se un magistrato vede una roba così dice: “Ma non è possibile”. Come fai a spiegarglielo? O meglio: come fai a convincerlo?». Impossibile, appunto. Engel aggiunge: «È successo solo a Milano. Io ho provato a chiedere in giro a quelli che conosco... Nessuno si sarebbe fidato, neanche con il permesso di costruire, a lasciar fare le torri di Crescenzago». Insomma, imperava il «chi se ne fotte». Eppure, Sala e compagni hanno fatto credere a tutti che la legge «Salva Milano» fosse buona e giusta. Un baluardo che avrebbe fermato gli antistorici pm.
Non ci sono solo i palazzoni tirati su in deroga alle leggi. Due mesi fa, la procura ha chiesto gli arresti domiciliari anche per la più venerata delle archistar: Stefano Boeri, padre del Bosco Verticale, simbolo della nuova Milano. È accusato, assieme al collega Cino Zucchi, di turbativa d’asta e falso nell’inchiesta sul concorso per il progetto della Biblioteca europea di informazione e cultura. Insomma, avrebbero favorito gli amici degli amici. Il gip ha negato gli arresti, ma gli ha vietato per un anno di giudicare nei concorsi pubblici, vista la «spregiudicatezza» e l’«indifferenza» per le regole che avrebbero dimostrato.
L’argomento, comunque, non sembra assillare il sindaco. L’unica sua ossessione, piuttosto, è la crociata verde: Area c, ciclabili, divieto di fumo all’aperto. Altro che criminalità. Eppure, gli stremati milanesi l’hanno ormai rinominato «Salah»: lassista bendisposto verso immigrazione e moschee. L’ultimo indice della criminalità, stilato sul numero di denunce, regala ancora una volta l’inarrivabile primato: città meno sicura d’Italia. A partire da furti e rapine. E gli stranieri, rivelano i dati ufficiali, sono responsabili proprio dell’80 per cento di quei reati. «C’è un’evidente campagna politico-mediatica contro Milano» si difende Sala. Colpa dei talk show retequattristi, che fanno vedere unicamente il marcio. Del resto, il sindaco coi calzini arcobaleno non ha mai nascosto la sua audace teoria: è solo «percezione». Persino dopo le aggressioni di capodanno in piazza Duomo, dove alcune donne sono state molestate da stranieri, promette vagamente: «La sicurezza è un diritto». Salvo poi aggiungere: «Non si può attribuire tutto al tema immigrazione, la destra soffia sul fuoco da sempre».
L’opposizione chiede alla giunta di dimettersi per gli arresti sull’urbanistica? Lui, ancora una volta, svelena ideologicamente: «Mi batterò con tutte le mie forze perché Milano non vada in mano a questa destra con connotazioni fasciste». Sala, purtroppo, non potrà ricandidarsi. È già al secondo mandato. Potrebbe però puntare, nel 2028, alla Lombardia. Solo che lo detestano persino i suoi, a partire dalla segretaria del Pd, Elly Schlein. Fa niente. L’autostima resta notevole: «Ho tanti interessi nella vita. Dopo 11 anni di politica, però, ti viene naturale pensare che continui a dare qualcosa di più». Tra le massime aspirazioni hobbistiche, invece, c’è quella di diventare «il mago del gin tonic» casalingo.
Torniamo in via Torriani, allora. La Gintoneria è oscurata da tende nere. Dalle vetrate s’intravede solo qualche calice vuoto. Da qui, sono passati tutti: vippame, giornalisti, politici. Chi sarà il prossimo sputtanato? «Trema la Milano bene» scrivono fiduciosi siti e quotidiani. Con il bene, in quest’universo capovolto, s’intende ormai solo una certa disponibilità economica. Quanto a valori e attitudini, meglio soprassedere. Qualche anno fa, lo scandalo furono le feste a Terrazza Sentimento, il superattico con vista sul Duomo di Alberto Maria Genovese, l’imprenditore milionario poi condannato per violenza sessuale. Anche quella volta: bamba, champagne e festini.
La fidanzata di Lacerenza, imbolsito 59enne, è poco più che maggiorenne. Ha un altisonante doppio cognome da sciuretta: «Davide non è Pablo Escobar» giura. Anche gli amici dissipatori e le pulzelle disinibite lo difendono: «Succede lo stesso in ogni locale». Coca e mignotte, tutta la notte. Così, riemerge dal passato pure Fabrizio Corona. L’ex re dei paparazzi, nonostante i dieci anni in carcere, resta una leggenda cittadina.
Dopo aver infierito sui patemi degli ex Ferragnez, premiati da Sala con la massima onorificenza milanese «nel segno di un autentico spirito ambrosiano», s’è fiondato sulle disgrazie di Davidone, randellato a colpi di esclusive. La più scoppiettante è un blitz ai domiciliari. Fabrizio, da sotto la finestra, gli chiede: «Ma perché facevi quelle robe lì?». E Davidone, lo sventurato, giustamente rispose: «Vieni qui a farmi la morale?».