L’intelligenza artificiale nelle città: 6 ambiti di applicazione in attesa di una vera rivoluzione
Nelle città del futuro l'intelligenza artificiale verrà ampiamente applicata in diversi ambiti, dalla mobilità alla sanità alla formazione. Ecco come L'articolo L’intelligenza artificiale nelle città: 6 ambiti di applicazione in attesa di una vera rivoluzione proviene da Economyup.

TECNOLOGIE & TERRITORI
L’intelligenza artificiale nelle città: 6 ambiti di applicazione in attesa di una vera rivoluzione
Nelle città del futuro l’intelligenza artificiale verrà ampiamente applicata in diversi ambiti, dalla mobilità alla sanità alla formazione. Ecco come
Direttore del Dipartimento di Architettura dell’Università G. d’Annunzio di Chieti-Pescara

Quando si parla di intelligenza artificiale ci si proietta inconsciamente in una dimensione temporale al futuro senza quasi rendersi conto che già oggi ne siamo pervasi.
L’IA sta silenziosamente diventando il tessuto connettivo delle nostre città moderne, un motore invisibile che plasma servizi, abitudini e modalità di fruizione. Non si tratta di un esperimento futuribile, ma di una realtà già integrata nel nostro quotidiano attraverso applicazioni di uso comune: dalle auto che imparano a evitare gli ostacoli agli ospedali dove i robot assistono i chirurghi, dai negozi online che anticipano i desideri dei clienti alle case che regolano la temperatura prima ancora che lo chiediamo.
Vediamo più da vicino alcune di queste applicazioni.
Intelligenza artificiale nelle città – Automotive
Quello che solo che una decina di anni fa poteva sembrare fantascienza (veicoli in grado di frenare autonomamente, mantenere la corsia o posteggiare da soli) oggi è tecnologia consolidata. Eppure, la vera frontiera rimane ancora sfuggente: la guida autonoma.
L’auto senza conducente è stato l’obiettivo ambizioso di tutte le case costruttrici che a partire dalla prima decade degli anni Duemila hanno concentrato gli sforzi dei loro centri di ricerca per utilizzare i dati provenienti da sensori, telecamere e altri dispositivi di bordo, elaborare le informazioni per mezzo di algoritmi di apprendimento automatico, ai fini di consentire ai veicoli di percepire l’ambiente circostante e di prendere decisioni autonome di guida in tempo reale, con l’obiettivo di ridurre il rischio di incidenti e fluidificare i flussi del traffico.
Va però detto che dopo un periodo iniziale di entusiasmo verso la guida autonoma nel senso più completo del termine, di recente sembra esserci stato un raffreddamento di aspettative. Un primo motivo riguarda la presa di coscienza da parte dei costruttori dell’impegno economico necessario per la realizzazione della guida autonoma dei livelli 4 e 5 secondo la classificazione SAE, nei quali l’intervento umano è richiesto soltanto in particolari circostanze o, addirittura, mai (con conseguente assenza del volante dagli abitacoli).
I costruttori scontano la complessità di far navigare un’auto nel multiforme reticolo di un centro storico europeo o nel caos di una megalopoli asiatica, dove pedoni, ciclisti, motociclisti e automobilisti condividono gli stessi spazi in modo disordinato e imprevedibile. Servono sensori più precisi, algoritmi più raffinati, insomma… investimenti colossali.
E tutto ciò in un momento in cui i costruttori devono confrontarsi con un’altra sfida decisiva, quella del passaggio all’auto elettrica, in un contesto di mercato nel quale, tra l’altro, l’interesse dei consumatori verso veicoli totalmente autonomi appare meno vigoroso rispetto alle ottimistiche previsioni di qualche tempo fa.
È comunque ragionevole pensare che l’IA continuerà a svolgere un ruolo centrale nello sviluppo di veicoli sempre più autonomi e che il connubio tra intelligenza artificiale e sistemi di comunicazione avanzati possa generare un incremento dei servizi di trasporto su richiesta e di mobilità condivisa, trasformando sensibilmente il modo in cui ci muoveremo all’interno delle nostre città e il concetto stesso di proprietà del veicolo a favore di servizi di sharing. Solo con tempi probabilmente più dilatati rispetto a quelli preventivati.
Nel frattempo, l’IA continua a lavorare in silenzio: riduce gli ingorghi ottimizzando i semafori, consiglia percorsi alternativi analizzando i dati di migliaia di veicoli, trasforma la manutenzione da intervento d’emergenza a pratica programmata, etc.
Intelligenza artificiale nelle città – Sanità
La disponibilità di dati in ambito medico è cresciuta enormemente negli ultimi anni, così come le fonti da cui essi provengono. Accanto ai dati strutturati tradizionali come cartelle cliniche, database biomolecolari, etc., sono sempre più disponibili dati non strutturati provenienti, ad esempio, da dispositivi mobili: ECG Holter, braccialetti dotati di sensori, orologi intelligenti, etc.
Ciò ha consentito una duplice applicazione. Da un lato, gli algoritmi elaborano montagne di dati (persino il tono di voce registrato durante una visita) per scovare pattern invisibili all’occhio umano. Dall’altro, bracci robotici guidati da IA compiono interventi chirurgici complessi con maggiore precisione e minore invasività di quanto potrebbe fare un essere umano, mentre sensori monitorano costantemente i parametri vitali del paziente, suggerendo aggiustamenti in tempo reale. Il risultato? Incisioni con tolleranze micrometriche, diagnosi più precoci, terapie personalizzate, recuperi accelerati.
Negli Usa le applicazioni di intelligenza artificiale in campo medico ad oggi approvate dalla Food and Drug Administration, l’ente governativo che si occupa della regolamentazione dei prodotti alimentari e farmaceutici, sono oltre 500.
Intelligenza artificiale nelle città – eCommerce
Nel commercio elettronico l’IA agisce come un mind-reader digitale, trasformando lo shopping in una mappatura delle emozioni del consumatore. Ogni click, ogni esitazione, ogni prodotto visualizzato senza essere acquistato diventa materia prima per modelli predittivi sempre più sofisticati. Le chatbot non rispondono più con fredde risposte preimpostate, ma imitano l’empatia di un venditore esperto, adattando tono e contenuti alla personalità del cliente.
La qualità dell’esperienza utente diventa il fulcro intorno al quale ruotano le attuali strategie di marketing. L’IA non solo sta trasformando il modo in cui le aziende interagiscono con i loro clienti, ma sta ridefinendo anche le aspettative degli stessi consumatori, elevando lo standard verso un servizio clienti maggiormente attento e personalizzato. Ciò significa non solo aumentare la soddisfazione del cliente, ma sapere in anticipo ciò che i clienti cercano, perfino prima che lo esprimano, trasformando l’assistenza clienti da un semplice servizio di supporto a un potente strumento di engagement e fidelizzazione.
E mentre i sistemi di prezzo dinamico gestiti dall’IA rincorrono l’equilibrio perfetto tra domanda e offerta (come nel “balletto” dei biglietti aerei che cambiano costo in base alla stagione, all’ora del giorno, alle interazioni) è facile rendersi conto che l’adozione dell’IA non è da considerarsi come un valore aggiunto per le aziende, ma diventa una vera e propria necessità per rimanere competitivi in un mercato sempre più esigente e complesso.
Intelligenza artificiale nelle città – Istruzione
Il mondo della formazione, tradizionalmente refrattario al cambiamento (lo dico da professore universitario), sta scoprendo grazie all’IA nuove possibilità per migliorare l’accessibilità, l’efficacia e la personalizzazione dell’apprendimento.
Chatbot e sistemi di tutoraggio virtuale basati sull’IA offrono supporto agli studenti rispondendo a domande, fornendo spiegazioni personalizzate e valutando i progressi in tempo reale: il feedback diventa immediato, favorendo l’apprendimento autonomo. I materiali didattici e i percorsi di apprendimento possono essere adattati alle esigenze e alle abilità individuali di ciascun studente. La valutazione automatica dopo ogni modulo di insegnamento costituisce un metodo importante non solo per il docente che riesce a misurare in progress le prestazioni degli studenti, ma soprattutto per gli studenti che riescono a individuare immediatamente punti di forza e di debolezza del loro apprendimento, con l’indicazione dei passaggi da ripetere per migliorare le prestazioni.
L’IA mette a disposizione dei processi di formazione il cosiddetto “apprendimento basato sull’esperienza” (learning by doing) che consiste nel creare ambienti di apprendimento immersivi e interattivi, come realtà virtuale e aumentata. Piattaforme adattive creano percorsi di apprendimento diversificati e personalizzati, mentre la realtà virtuale può trasformare, ad esempio, una noiosa lezione di anatomia in un affascinante viaggio tridimensionale attraverso il corpo umano.
L’IA sta cominciando ad irrompere nel percorso educativo (dai banchi di scuola alle aule universitarie) non come semplice strumento didattico, ma come vera e propria provocazione culturale. Come valutare uno studente quando può chiedere all’intelligenza artificiale di elaborare un saggio? Come ridefinire il ruolo degli insegnanti in un’era in cui le macchine sanno spiegare equazioni complesse in venti lingue? Il punto non è vietare l’accesso alle IA durante gli esami, tentativo tanto inutile quanto proibire ai nostri figli di utilizzare lo smartphone, ma ripensare radicalmente il processo formativo.
La sfida è duplice: da un lato, avvicinare i docenti all’IA rendendoli consapevoli delle potenzialità didattiche e quindi capaci di guidare gli studenti a distillare senso critico dalla potenza degli algoritmi generativi. Dall’altro, formare intere generazioni di insegnanti, soprattutto chi guarda alla tecnologia con diffidenza, attraverso l’estensione del concetto di formazione continua (lifelong learing).
Intrattenimento multimediale
L’intelligenza artificiale è entrata prepotentemente anche nel mondo dell’intrattenimento, offrendo una vasta gamma di soluzioni per migliorare la produzione, la distribuzione e l’esperienza degli utenti in una varietà di forme che vanno dai film, alle serie televisive, ai videogiochi, alla musica e altro ancora. D’altronde l’evoluzione tecnologica ha accompagnato l’industria dell’intrattenimento fin dai suoi albori, con effetti speciali che ne hanno ampliato gli orizzonti creativi. Negli anni Settanta le prime produzioni cinematografiche interamente digitali realizzate con la computer graphic, oggi l’introduzione dell’IA non solo in fase di post-produzione, ma anche nella fase di pre-produzione, per valutare attraverso le reti neurali il potenziale successo dello storyboard, delle location, del casting, etc.
Ma il contributo dell’IA non si ferma qui ed invade anche il campo della creazione dei contenuti, come dimostra il cortometraggio Sunspring, la cui sceneggiatura è stata interamente scritta da un software addestrato con decine di pellicole e serie fantascientifiche.
Domotica
L’idea di una casa intelligente è uscita da tempo dai romanzi di fantascienza per diventare realtà quotidiana. Grazie all’IA, le nostre abitazioni si stanno trasformando in entità quasi viventi, capaci di ascoltare, imparare e adattarsi. Al centro di questa metamorfosi ci sono gli assistenti vocali (Alexa, Google Assistant, Siri) che hanno reso naturale ciò che un tempo sembrava magia: dialogare con le pareti. Un semplice “accendi le luci” o “aumenta il riscaldamento” basta oggi per comandare non solo l’illuminazione, ma interi ecosistemi domestici.
Eppure, il vero salto evolutivo sta altrove: non nell’obbedire agli ordini, ma nell’anticiparli. Termostati gestiti dall’IA che regolano la temperatura studiando i nostri orari, spegnendosi quando usciamo e riaccendendosi mezz’ora prima del nostro rientro. Oppure frigoriferi che, come “maggiordomi discreti” (come non farci venire in mente il film del 1980 “Io e Caterina” con Alberto Sordi), ordinano il latte prima che ci accorgiamo di averlo finito. Persino un oggetto umile come l’aspirapolvere è diventato un cartografo domestico: mappa le stanze, memorizza gli ostacoli e impara a pulire quando siamo fuori casa. Questi non sono semplici gadget, ma indicatori di un cambiamento profondo: l’IA sta trasformando gli elettrodomestici in compagni silenziosi che studiano le nostre abitudini per servirci al meglio.
La sicurezza diventa un gioco di anticipazione. Telecamere intelligenti non si limitano a registrare, ma riconoscono i volti dei familiari, distinguendo un ospite atteso da un intruso. Sensori sparsi come sentinelle digitali fiutano pericoli invisibili: una perdita di gas dietro il fornello, un principio di cortocircuito nella presa del salotto. Quando rilevano anomalie, non suonano semplicemente un allarme, ma inviano avvisi sullo smartphone, chiamano i soccorsi, addirittura chiudono automaticamente le valvole del gas.
E ancora: luci che si attenuano al calar del sole seguendo il nostro ritmo circadiano, playlist che partono quando riconoscono il nostro umore dalla postura, diffusori che rilasciano essenze di lavanda prima di dormire. La casa smette di essere un contenitore di oggetti per diventare un’estensione sensibile dei suoi abitanti, un luogo che non si limita a ospitarci, ma ci comprende e in un certo qual modo ci coccola.
Il paradosso? Più la tecnologia avanza, più si fa discreta. I cavi e i pulsanti scompaiono, sostituiti da un’intelligenza che trasforma la complessità tecnologica in semplicità quotidiana. E mentre discutiamo se questo sia progresso o invasione della privacy, le nostre case hanno già scelto da che parte stare: nella sottile alchimia tra comodità e autonomia, tra controllo e abbandono fiducioso.
Quali orizzonti?
Quello che abbiamo descritto per spot, con alcuni dei molti esempi che si sarebbero potuti fare, è solo il primo atto di una evoluzione non solo tecnologica, destinata a ridefinire il concetto stesso di Smart City verso quello di Hypercity, la città del futuro in cui l’intelligenza artificiale, integrata nei sistemi urbani, ne diventa un elemento fondante capace di apprendere e adattarsi dinamicamente alle esigenze mutevoli della città e dei suoi abitanti. Un vero e proprio cambio di paradigma, in cui l’IA non è solo un supporto tecnologico, ma una forza catalizzatrice capace di influenzare le dinamiche sociali, economiche ed etiche.
Se le applicazioni attuali dell’IA ci lasciano già a bocca aperta, il vero salto evolutivo è ancora da venire. Immaginate robot che non si limitano a sostituire l’uomo, ma diventano suoi alleati: colleghi in silicio che affiancano operai nelle fabbriche, esoscheletri che trasformano un magazziniere in un atleta sollevando carichi proibitivi, chip neurali che traducono un pensiero in comandi per protesi bioniche. Non sono visioni fantascientifiche, ma prototipi già esistenti nei laboratori di ricerca delle start up di Boston piuttosto che di Tokyo o di Shenzen.
Il confine tra biologico e artificiale si fa sempre più labile. C’è chi parla di un futuro in cui l’IA non sarà più uno strumento esterno, ma parte integrante del nostro corpo: impianti cerebrali per potenziare la memoria, reti neurali sintetiche che compensano danni neurologici, sensori cutanei che trasmettono dati ambientali direttamente al sistema nervoso. I film di fantascienza, da Avatar (2009, 2022) a Edge of Tomorrow (2014), avevano già da tempo anticipato questi scenari.
Ma ogni rivoluzione epocale porta con sé delle ombre. Come impedire che l’IA diventi un moltiplicatore di disuguaglianze? Come difendersi da deepfake così perfette da far crollare la fiducia in qualsiasi informazione? E soprattutto: chi controllerà gli algoritmi che controlleranno noi? Il rischio più sottile non è che le macchine si ribellino, come paventato da alcuni, ma che assorbano e amplifichino pregiudizi sepolti nei dati con cui le addestriamo.
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