Ligabue si racconta ad Andrea Scanzi: “Scrivere canzoni non è un mestiere”

A trent’anni dall’uscita di Buon compleanno Elvis, Luciano Ligabue torna a parlare di uno degli album più importanti della sua carriera e, in un’intervista intensa con Andrea Scanzi, riflette sul senso della musica, sulla sua evoluzione e sull’urgenza – oggi più che mai – di rimanere fedeli alla propria voce. Il 18 aprile, per celebrare […] L'articolo Ligabue si racconta ad Andrea Scanzi: “Scrivere canzoni non è un mestiere” proviene da imusicfun.

Apr 13, 2025 - 10:13
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Ligabue si racconta ad Andrea Scanzi: “Scrivere canzoni non è un mestiere”

A trent’anni dall’uscita di Buon compleanno Elvis, Luciano Ligabue torna a parlare di uno degli album più importanti della sua carriera e, in un’intervista intensa con Andrea Scanzi, riflette sul senso della musica, sulla sua evoluzione e sull’urgenza – oggi più che mai – di rimanere fedeli alla propria voce. Il 18 aprile, per celebrare l’anniversario del disco, usciranno una serie di cofanetti speciali, tra cui una nuova versione acustica che restituisce in modo ancora più profondo l’essenza del progetto. Qui il link per l’acquisto.

Ho bisogno di romanticizzare le cose, e continuo a pensare che in quel disco ci sia finita della luce che non veniva solo da noi”, racconta Ligabue ricordando le registrazioni fatte tra Budrio e Rubiera. “Era tutto luce. E noi, che avevamo appena iniziato a lavorare insieme, eravamo evidentemente predisposti a quella luce. Le ombre rimasero fuori”.

Un’atmosfera magica e sospesa che avvolge anche i brani più iconici, come Certe notti, nata “in un pomeriggio, celebrando le mie notti solitarie con la mia vecchia Opel Kadett sgangherata”. Un brano che, paradossalmente, ha cambiato per sempre quelle stesse notti: “Dopo quel brano lì non ho più potuto viverle liberamente”.

Il successo di Buon compleanno Elvis fu talmente travolgente da destabilizzarlo. “Mi cambiò la vita e ne soffrii. Non avevo più privacy. Così pensai di mollare la musica. Ne uscii quattro anni dopo con Miss mondo, che andava volutamente nella direzione opposta a quella che molti si aspettavano”.

Anche la scrittura, con il tempo, è diventata una sfida. “Le canzoni più difficili da scrivere sono quelle d’amore, perché le scrivono tutti. Il rischio di essere banale e retorico è altissimo. Ho superato fino in fondo la vergogna di scriverle proprio con Viva, una delle tracce ancora oggi più amate di quel disco”.

Quando Jovanotti lo ha definito un maestro del “mestiere”, Ligabue ha sorriso, ma con una puntualizzazione: “La parola ‘mestiere’ non la userei mai per quello che faccio. Ho fatto il ragioniere, ho fatto l’operaio, ho lavorato in campagna. Scrivere canzoni e andare sul palco non posso e non voglio considerarli mestieri”.

Una convinzione che non lo ha mai lasciato, nemmeno nei momenti più difficili. “La mia carriera è sempre stata un po’ Correggio contro Milano discografica. Non facile come agone. Ma ho dovuto imparare in fretta, e il mio essere reggiano mi ha aiutato”.

Nella lunga intervista ad Andrea Scanzi, Ligabue riflette anche sul ruolo della musica in un mondo cambiato, dove l’informazione viaggia in modo diverso. “È sempre più difficile entrare nell’ambito politico. Dylan ha detto che non è più possibile scrivere canzoni politiche sui temi di oggi. Forse esagera, ma il problema c’è”.

Un esempio lampante è Made in Italy, disco e film nati da due anni di scrittura: “Parlava di un operaio licenziato, che per garantire un futuro ai figli andava a fare il cameriere a Francoforte, dopo aver tentato il suicidio. È stato l’album che è arrivato meno tra i miei, e con la realtà devi fare i conti”.

Luciano si interroga spesso sul suo ruolo: “Nel mio piccolo spero che la mia arte contagi qualche coscienza, ma è tutto sempre più difficile. Le canzoni escono in mezzo a milioni di altri stimoli. È tutto aggrovigliato e la musica non ha più l’incidenza che aveva prima. È dura, ma cerco di tenere pulito lo strumento”.

Una consapevolezza che non ha cancellato il suo spirito da eterno ragazzo: “Non ho mica 65 anni dentro di me! Ho un’anima molto ragazzina, anche se purtroppo non più incosciente e spavalda come vorrei”.

E forse è proprio questa anima, mai davvero adulta, che lo tiene ancora legato al rock. “Nel mio genere, diciamo il ‘pop rock’, la sfacciataggine serve per forza. E io ne ho molta, molta meno di prima. Ma resta lì, in quell’incipit che scrissi per la mia prima canzone: Balliamo sul mondo. C’era subito tutto. Il linguaggio, la sincerità, l’urgenza. Due cose molto chiare: non adeguo mai la grammatica alla melodia, e dico al mio pubblico: anch’io ho problemi come te. Ma invece di fare l’amore… balliamo sul mondo”.

Una filosofia che resiste, anche oggi. Come resiste la sua voce, che tra vinili celebrativi e appuntamenti speciali – come l’incontro del 27 aprile a Roma per gli 80 anni della Resistenza – continua a raccontare l’Italia, le sue notti, i suoi sogni. Sempre con “una luce che non viene solo da noi”.

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