Le micro-insicurezze di TikTok ci stanno rovinando la vita

Ne Il mito della bellezza, il classico della letteratura femminista del 1990, Naomi Wolf scriveva che la bellezza è diventata la nuova religione. Il lessico dell’industria della bellezza sembra uscito dalla summa teologica di un Padre della Chiesa: se si vogliono risultati bisogna fare qualche “sacrificio”; non bisogna cedere ai “peccati di gola”; c’è sempre […] The post Le micro-insicurezze di TikTok ci stanno rovinando la vita appeared first on The Wom.

Apr 30, 2025 - 14:00
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Le micro-insicurezze di TikTok ci stanno rovinando la vita
Faccia da cortisolo, armonia facciale, gambe da leggings, occhi da povera: l’ossessione di TikTok per dettagli sempre più insignificanti del nostro corpo porta il dibattito sugli standard di bellezza a un altro livello

Ne Il mito della bellezza, il classico della letteratura femminista del 1990, Naomi Wolf scriveva che la bellezza è diventata la nuova religione. Il lessico dell’industria della bellezza sembra uscito dalla summa teologica di un Padre della Chiesa: se si vogliono risultati bisogna fare qualche “sacrificio”; non bisogna cedere ai “peccati di gola”; c’è sempre qualche nuova “crema miracolosa” che promette una vera e propria “rinascita”; si parla di “riti” di bellezza e di “purificare” la pelle.

Il problema, faceva notare Wolf, è che tutto questo ciclo di pentimenti e punizioni non avrà mai fine perché anche nella religione della bellezza c’è un peccato originale, che è poi lo stesso della religione cristiana: avere il corpo di una donna

L’inferno delle micro-insicurezze

Il peccato originale non può essere espiato e ogni resistenza sembra inutile. Negli scorsi anni, il movimento della body positivity aveva cercato di invitare le donne a emanciparsi dalla religione della bellezza, che però è tornata a manifestarsi con ancora più insistenza di prima, andando a intaccare dettagli sempre più minuscoli del nostro corpo. Allure l’ha descritto un “inferno di micro-insicurezze” (tanto per proseguire la metafora sacra): oggi milioni di donne e ragazze non sono più tanto preoccupate “semplicemente” di essere brutte o grasse, ma di avere la “faccia da cortisolo”, di possedere una cattiva “armonia facciale”, gli “occhi da povera” o le “braccia a vuvuzela”.

Le millennial ricorderanno l’ossessione collettiva per il thigh gap intorno al 2012-2013. Ad alimentare la moda dello spazio fra le cosce fu una sfilata di Victoria Secret nel 2012, che inizialmente si diffuse su Tumblr nei blog pro-anoressia per poi approdare nel mainstream. La mania per il thigh gap (che tra l’altro è frutto soprattutto di conformazione genetica e non si ottiene con la dieta o l’esercizio fisico) allarmò pediatri, medici e opinione pubblica, che la ricollegarono all’aumento dei casi di disturbi alimentari fra le adolescenti. All’epoca si creò un vero e proprio movimento di opinione contro la moda del thigh gap, arrivando a boicottare le aziende di moda che mostravano o ritoccavano lo spazio fra le cosce delle modelle delle campagne pubblicitarie. Quello che sta accadendo oggi con i trend di TikTok è qualcosa di simile, ma moltiplicato all’ennesima potenza.

Lo specchio deformante dei social

Per gran parte della loro storia, gli esseri umani non sono mai stati abituati a vedere il proprio volto. Potevano specchiarsi in corsi d’acqua o al massimo in specchi rudimentali, che però non erano in grado di restituire un’immagine precisa come quelli moderni. Oggi non solo siamo circondati da specchi, ma possiamo scrutinare il nostro aspetto in modi che una volta erano impensabili, soffermandoci sui dettagli più piccoli del nostro corpo. Secondo le neuroscienze, il nostro cervello non è addestrato per fare questa operazione. Nell’evoluzione, non è previsto che dovessimo preoccuparci delle “gambe da leggings” o dell’allineamento del nostro angolo cantale, tanto che la stragrande maggioranza degli animali non riconosce nemmeno la propria immagine riflessa.

Alla dittatura dello specchio si aggiunge quella dell’autorappresentazione sui social. Postando le nostre immagini, sappiamo che qualcuno le osserverà, zoomerà e magari commenterà facendoci notare qualcosa che ci è sfuggito, o cercando di convincerci che un dettaglio che per noi è assolutamente normale è in realtà una disgrazia di epiche proporzioni che va immediatamente corretta. Si è creato, insomma, un enorme sistema di sorveglianza e auto-sorveglianza da cui sembra impossibile sfuggire, dove ogni centimetro del corpo va analizzato, misurato e catalogato.

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Bellezza o eugenetica?

L’ossessione per la catalogazione del corpo umano ha un importante precedente storico, l’eugenetica, cioè l’idea che sia possibile migliorare la qualità genetica di una popolazione attraverso la selezione di alcuni tratti. Alla base dell’eugenetica ci sono la fisiognomica e la frenologia, teorie pseudoscientifiche che sostengono sia possibile comprendere il carattere o le qualità di una persona attraverso l’analisi del suo aspetto. Possono sembrare teorie ottocentesche, ma in comunità online come quella Incel è stata riscontrata una vera e propria ossessione per le misure di alcune parti specifiche del corpo, come la mandibola o i polsi. I promotori del cosiddetto Looksmaxxing arrivano a rompersi le ossa del volto con un martello con l’intento di assumere un aspetto più mascolino.

Questo modo di pensare non è poi così diverso da quello che sta trascinando l’universo delle micro-insicurezze di TikTok ma, se nel caso degli Incel si riconosce un aspetto patologico in questa ossessione, nel caso delle ragazze è normalizzata se non addirittura incoraggiata. L’aspetto problematico del Looksmaxxing è che non si tratta solo di uno standard di bellezza, ma anche in uno standard esistenziale: solo se si è “belli” si è “degni”. Un pensiero simile emerge anche in alcuni trend femminili di TikTok, come quello delle “Trailer Park Cheekbones” (guance da trailer park, accampamenti informali molto diffusi nelle zone povere degli Stati Uniti) o dei “Low-Income White Girl Eyes” (occhi da ragazza bianca con reddito basso), che collegano in maniera diretta ed esplicita la bruttezza alla povertà.

Come scriveva Wolf, l’industria della bellezza parla il linguaggio delle religioni perché fa leva sulla nostra irrazionalità. Se ci fermiamo un attimo a pensare, ci rendiamo conto quanto sia stupido ossessionarci per la circonferenza delle nostre nocche o pensare che un prodotto beauty o una seduta di medicina estetica ci possa redimere dal peccato originale. Tutte le religioni hanno bisogno di proselitismo, ma noi abbiamo sempre il potere di chiudere la porta in faccia a chi viene a chiederci se abbiamo tempo per conoscere il nuovo, ennesimo, salvatore.  

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