L’angoscia fa male al Pianeta: secondo il filosofo Byung-Chul Han il risentimento mette a rischio anche le democrazie
Cambiare il mondo e contrastare la crisi climatica è possibile solo a partire da una condizione di speranza. Un messaggio importante per tutti coloro che si occupano di ambiente L'articolo L’angoscia fa male al Pianeta: secondo il filosofo Byung-Chul Han il risentimento mette a rischio anche le democrazie proviene da Il Fatto Quotidiano.

L’angoscia apocalittica della catastrofe climatica non ci aiuta in nessun modo a combattere la crisi dei nostri ecosistemi. Al contrario, come per l’angoscia verso pandemie, guerre, fine del mondo o della civiltà umana, ci rende impotenti, paralizzando sia l’azione individuale e sociale. Anche per questo, la cosiddetta climate fiction, nuovo genere letterario, è dannosa e controproducente. È la tesi del filosofo sudcoereano Byung-Chul Han, contenuta nel libro Contro la società dell’angoscia (Einaudi). “Ci trasciniamo da una difficoltà all’altra, da una catastrofe all’altra, da un problema all’altro. La vita si atrofizza. Vivere si trasforma in sopravvivere”.
L’angoscia e il risentimento hanno altre conseguenze catastrofiche: spingono le persone tra le braccia delle destre populiste e alimentando l’odio, erodendo solidarietà, amicizia ed empatia. L’angoscia e il risentimento fanno regredire la società, mettendo in pericolo la democrazia. L’angoscia è uno strumento di dominio diffuso, rende, afferma l’autore, ubbidienti e ricattabili e timorosi persino di esprimere il proprio pensiero. Anche per questo, angoscia e democrazia sono incompatibili: “La democrazia può progredire in modo sano e forte solo all’interno di un’atmosfera di riconciliazione e dialogo”, scrive il filosofo.
Di fronte a questo, c’è solo una cosa che può farci recuperare un senso pieno del vivere, restituendoci la dimensione del futuro: la speranza. La speranza indica in cammino, dà senso e orientamento. Non è un caso, scrive l’autore, che gli attivisti climatici siano angosciati per il futuro, perché l’angoscia li priva del futuro. Ovviamente, “questa angoscia per il clima è legittima e non può essere messa in discussione. A essere inquietante è il dilagante clima di angoscia. Non è problematica, ad esempio, l’angoscia per la pandemia, ma la pandemia dell’angoscia”. Le azioni hanno bisogno di un orizzonte di senso, devono poter essere narrate. L’angoscia, a differenza della speranza, non sa farsi racconto.
Ma la speranza, puntualizza il filosofo, non è l’ottimismo che nega ogni negatività e dove niente accade. E non è neanche il pensiero positivo o la psicologia positiva, che spinge i singoli a occuparsi unicamente del proprio benessere e che ben si sposa con il regime neoliberale, che isola le persone mettendole in concorrenza ed erodendo ogni senso di comunità e di fiducia: i consumatori, infatti, non sperano nulla, hanno solo desideri e bisogni, vivono in un presente permanente.
La speranza non appartiene invece al vocabolario capitalista. Chi spera non consuma. La speranza invece conferisce forza per agire e vedere, intensifica l’attenzione per ciò che non è ancora, è mite, gentile. La speranza oltrepassa il sé verso l’Altro.
Per questo è necessario, anche per risolvere la crisi climatica, una politica della speranza contro il regime dell’angoscia, sentimento che isola le persone, non produce alcun Noi e dunque non può portare alcuna rivoluzione. Cambiare il mondo e contrastare la crisi climatica è dunque possibile. Ma solo a partire da una condizione di speranza e non di angoscia. Un messaggio importante per tutti coloro che si occupano di ambiente. Per sé stessi e per comunicare il tema del riscaldamento globale, così come dei conflitti e delle pandemie, in modo da spingere le persone ad agire insieme, invece che restare isolate e paralizzate da angoscia e impotenza.
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