La valutazione dei rischi e le differenze di genere
![CDATA[Assicurare la salute e sicurezza dei lavoratori significa anche riconoscerne le differenze, valutare come queste influenzino la loro esposizione ai pericoli presenti e adattare di conseguenza le misure di prevenzione e di protezione, come sottolinea anche il D. lgs. 81/08. Tuttavia, finora la progettazione delle attrezzature di lavoro, dei luoghi di lavoro stessi e dei DPI si è basata su un individuo “medio” maschile: solo recente abbiamo visto introdurre sul mercato DPI pensati per adattarsi anche ai soggetti di genere femminile. Sia a livello europeo sia a livello nazionale, le organizzazioni che si occupano di salute e sicurezza in ambito lavorativo stanno spingendo da tempo per integrare nelle strategie preventive le considerazioni sulle differenze di genere. Come vedremo, questa attività rimane comunque complessa. Mancano, ad esempio, metodologie standardizzate per la valutazione dei rischi. Nell’approcciare l’analisi dei rischi, gli aspetti da considerare sono molteplici: non solo vi saranno rischi diversi dovuti alle differenze nelle mansioni svolte, ma a seconda del genere cambierà anche la risposta alla stessa esposizione. Infatti, uno degli aspetti più ostici riguarda la prevenzione delle malattie professionali, dato che gli studi statistico-epidemiologici hanno per lo più preso in considerazione la sola popolazione maschile. Anche i limiti di esposizione alle sostanze pericolose non prevedono differenze fra i generi. Vedremo come gli studi abbiano fatto dei primi passi, definendo una serie di rischi per i quali è possibile individuare il diverso grado di esposizione fra uomini e donne. In questo senso, gli studi derivanti dai dati raccolti, divisi per genere, relativi ad infortuni e malattie professionali potranno aiutare a far maggior luce sulle differenze. Prima, però, di analizzare cosa sappiamo sui rischi in ottica di genere e come possiamo approcciarci ad una valutazione dei rischi che ne tenga di conto, dobbiamo chiarire cosa si intende per genere. Spesso, infatti, il concetto di genere viene confuso con la definizione di sesso. Il sesso costituisce un corredo genetico, un insieme di caratteri biologici, fisici e anatomici che identificano la differenza tra maschio e femmina, non modificabile. Come inizialmente definito dal medico psichiatra R. Stoller, fra i primi a teorizzare la differenza con il termine che indica il sesso anatomico o biologico, il concetto di genere o espressione di genere è, invece, culturalmente costruito, influenzato da condizionamenti ambientali e culturali, dalle rappresentazioni dei ruoli affidati dalla società, dai comportamenti e dagli stereotipi. Il genere, inoltre, deve essere distinto da quella che è invece l’identità di genere, che è invece il senso personale del proprio genere e non sempre coincide con sesso e espressione di genere. In questo approfondimento ci dedicheremo quindi a indagare sull’incidenza dei diversi pericoli in base al genere e a come integrare queste informazioni nella valutazione dei rischi.]]

Assicurare la salute e sicurezza dei lavoratori significa anche riconoscerne le differenze, valutare come queste influenzino la loro esposizione ai pericoli presenti e adattare di conseguenza le misure di prevenzione e di protezione, come sottolinea anche il D. lgs. 81/08.
Tuttavia, finora la progettazione delle attrezzature di lavoro, dei luoghi di lavoro stessi e dei DPI si è basata su un individuo “medio” maschile: solo recente abbiamo visto introdurre sul mercato DPI pensati per adattarsi anche ai soggetti di genere femminile.
Sia a livello europeo sia a livello nazionale, le organizzazioni che si occupano di salute e sicurezza in ambito lavorativo stanno spingendo da tempo per integrare nelle strategie preventive le considerazioni sulle differenze di genere.
Come vedremo, questa attività rimane comunque complessa. Mancano, ad esempio, metodologie standardizzate per la valutazione dei rischi.
Nell’approcciare l’analisi dei rischi, gli aspetti da considerare sono molteplici: non solo vi saranno rischi diversi dovuti alle differenze nelle mansioni svolte, ma a seconda del genere cambierà anche la risposta alla stessa esposizione.
Infatti, uno degli aspetti più ostici riguarda la prevenzione delle malattie professionali, dato che gli studi statistico-epidemiologici hanno per lo più preso in considerazione la sola popolazione maschile. Anche i limiti di esposizione alle sostanze pericolose non prevedono differenze fra i generi.
Vedremo come gli studi abbiano fatto dei primi passi, definendo una serie di rischi per i quali è possibile individuare il diverso grado di esposizione fra uomini e donne. In questo senso, gli studi derivanti dai dati raccolti, divisi per genere, relativi ad infortuni e malattie professionali potranno aiutare a far maggior luce sulle differenze.
Prima, però, di analizzare cosa sappiamo sui rischi in ottica di genere e come possiamo approcciarci ad una valutazione dei rischi che ne tenga di conto, dobbiamo chiarire cosa si intende per genere. Spesso, infatti, il concetto di genere viene confuso con la definizione di sesso.
Il sesso costituisce un corredo genetico, un insieme di caratteri biologici, fisici e anatomici che identificano la differenza tra maschio e femmina, non modificabile.
Come inizialmente definito dal medico psichiatra R. Stoller, fra i primi a teorizzare la differenza con il termine che indica il sesso anatomico o biologico, il concetto di genere o espressione di genere è, invece, culturalmente costruito, influenzato da condizionamenti ambientali e culturali, dalle rappresentazioni dei ruoli affidati dalla società, dai comportamenti e dagli stereotipi.
Il genere, inoltre, deve essere distinto da quella che è invece l’identità di genere, che è invece il senso personale del proprio genere e non sempre coincide con sesso e espressione di genere.
In questo approfondimento ci dedicheremo quindi a indagare sull’incidenza dei diversi pericoli in base al genere e a come integrare queste informazioni nella valutazione dei rischi.]]