La Tesla-gate di Fratoianni e signora e la corsa al discredito della politica tutta

La tragicomica vicenda della Tesla Modello Y, proprietà dei coniugi Fratoianni, offre svariati punti di riflessione. Già a partire dalla mutevolezza dei criteri di valutazione indotti dal politicamente corretto: l’apprezzabilità ambientalista di una vettura elettrica rovesciata nel discredito proiettato sull’oggetto dalla collocazione politica del produttore (“l’abbiamo presa prima che Musk diventasse nazista”). Cui aggiunge alla […] L'articolo La Tesla-gate di Fratoianni e signora e la corsa al discredito della politica tutta proviene da Il Fatto Quotidiano.

Mar 13, 2025 - 14:28
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La Tesla-gate di Fratoianni e signora e la corsa al discredito della politica tutta

La tragicomica vicenda della Tesla Modello Y, proprietà dei coniugi Fratoianni, offre svariati punti di riflessione. Già a partire dalla mutevolezza dei criteri di valutazione indotti dal politicamente corretto: l’apprezzabilità ambientalista di una vettura elettrica rovesciata nel discredito proiettato sull’oggetto dalla collocazione politica del produttore (“l’abbiamo presa prima che Musk diventasse nazista”). Cui aggiunge alla gag, già di per sé ridanciana, lo spunto irresistibile del marito, in una sorta di remake del Claudio Scajola e del suo “all’insaputa” per un appartamento vista Colosseo pagatogli da un benefattore misterioso: “l’auto non è mia. È di mia moglie”. Ma non scherza neppure la consorte, quando proclama il proprio intento di rimediare goffamente al pasticcetto applicando al suo Suv di media dimensione un adesivo proveniente dalla California: “L’ho comprato prima di sapere che Elon fosse pazzo”.

Del resto, già l’ultima stagione della commedia all’italiana ha portato sullo schermo il buffo naturale di un ceto tendente alla macchietta: dal Michele Placido di Viva L’Italia (2012), in cui un politico corrotto in preda a una strana malattia inizia a dire la verità, al Claudio Bisio che, in Benvenuto Presidente (2013), interpreta la parte di un Presidente della Repubblica eletto per sbaglio, il quale con le sue ingenuità svela e scompagina giochi inconfessabili.

Ora la vicenda dell’automezzo ripudiato offre un tocco in più all’ormai consolidato plot irridente: i due protagonisti dell’incauto acquisto non propriamente “proletario” (qualcosa come 47mila euro in leasing), che ora consente alla destra di sbizzarrirsi in denunce strumentali e prese per i fondelli, sono Nicola Fratoianni ed Elisabetta Piccolotti; entrambi parlamentari della formazione più anti-capitalista dello schieramento politico italiano: l’Alleanza Verdi Sinistra. Anche in questo caso remake di una tradizione nazionale della coppia nella vita riunificata elettoralmente in Parlamento dalla comune conquista di un seggio; che potremmo far risalire al sodalizio sinergico tra Palmiro Togliatti e Nilde Jotti.

Ciò detto, si può andare oltre lo scherzo per qualche considerazione un po’ più seria (e preoccupata): cosa sta succedendo a una politica che procede nella sua corsa al discredito, confermata dal fatto che metà degli italiani in fuga nel non-voto dimostrano di non volerci avere più nulla a che fare? Cosa sta a simboleggiare per la politica in generale questa vicenda; in cui esponenti di un’opposizione – che altri tempi avrebbero definita “di classe” – subiscono l’irresistibile attrazione da parte di un palese simbolo “di status borghese”, quale un veicolo alla moda tendente al lusso.

In una celebre conferenza del 1919 – “La politica come professione” – Max Weber diceva che “vi sono due modi di rendere la politica una professione. Si vive per la politica, oppure di politica. […] Di politica come professione vive chi tende a farne una duratura fonte di guadagno”. Una distinzione tra vocazione e scelta di mestiere da tenere sempre presente. Cui aggiungo un’ulteriore considerazione. Per i nostri progenitori greci e latini, che ignoravano il concetto di innovazione, politica era sinonimo di amministrazione, da Aristotele a Plutarco; per i moderni diventa centrale il concetto di conflitto sociale, per cui il ruolo politico diventa quello di riprodurne simbolicamente e in maniera incruenta le dinamiche (l’alternanza di governo introdotta dal “modello Westminster”).

In età postmoderna stiamo assistendo a un ulteriore passaggio: la politica come intrattenimento diversivo nella migrazione degli schieramenti contrapposti in un’unica corporazione del potere; nel reciproco puntellarsi attraverso forme di teatralizzazione. Difatti da tempo c’è chi parla di post-democrazia e “le elezioni diventano gare attorno ai marchi” (Colin Crouch).

Insomma, la trasmigrazione dell’intero ceto politico nell’élite dominante. Operazione mimetica che si nutre di narrazioni ingannevoli. Vedi la recentissima adunata promossa da Michele Serra a favore dell’Unione europea di Ursula von der Leyen (e di altre ausiliarie come Giorgia Meloni ed Elly Schlein) che accreditano l’urgenza del riarmo con il terrorismo verbale di oscure minacce incombenti. Magari lasciando intendere scenari da 1948, con i cosacchi prefigurati ad abbeverare i loro cavalli in piazza San Pietro. In realtà il regalo di 800 miliardi alla lobby delle armi con cui il ceto politico intrattiene rapporti non sempre limpidi.

Concludendo, dopo un grande sociologo di inizio Novecento, dovremmo tenere in giusto conto anche le parole di un altro grande – Pierre Bourdieu – “la rivoluzione contro il clero politico resta ancora tutta da fare”.

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