La guerra d’Ucraina, la fine dell’Occidente e l’illusione europea. Parla Éric Denécé

Nel panorama occidentale saturato da retoriche moralistiche, analisi di comodo e propaganda mascherata da informazione, la voce di Éric Denécé emerge come una nota stonata. Ma è proprio questa dissonanza […]

Apr 19, 2025 - 10:00
 0
La guerra d’Ucraina, la fine dell’Occidente e l’illusione europea. Parla Éric Denécé

Nel panorama occidentale saturato da retoriche moralistiche, analisi di comodo e propaganda mascherata da informazione, la voce di Éric Denécé emerge come una nota stonata. Ma è proprio questa dissonanza a renderla preziosa. Ex analista dei servizi francesi, dottore in Scienze Politiche e direttore del CF2R (Centre Français de Recherche sur le Renseignement), Denécé è uno degli ultimi interpreti coerenti della Realpolitik, oggi considerata quasi un tabù nei salotti euroatlantici. La sua terza opera collettiva sulla guerra in Ucraina, pubblicata dal CF2R, si intitola Les conséquences géopolitiques de la guerre d’Ukraine ed è, a tutti gli effetti, un manifesto contro la cecità strategica dell’Europa. https://lediplomate.media/2025/04/entretien-eric-denece-consequences-geopolitiques-guerre-ukraine/roland-lombardi/editos/

Una guerra senza via d’uscita per Kiev, e senza strategia per l’Europa

Denécé parte da una constatazione che, nella maggior parte dei media occidentali, è ancora considerata un’eresia: la guerra in Ucraina ha ormai un esito scontato. L’Ucraina non può vincere e la Russia non può essere sconfitta. Eppure, il conflitto continua. Perché? Perché esistono forze — interne ed esterne — che da questo conflitto traggono benefici: in termini di potere, influenza, guadagni industriali e proiezione internazionale.

Il libro non si limita a registrare i fatti: cerca di capire chi ha interesse a prolungare la guerra e perché una soluzione negoziata non viene nemmeno contemplata come opzione reale. Denécé osserva che l’Occidente, invece di interrogarsi sulle cause della sconfitta strategica e sui limiti delle proprie scelte, continua a rincorrere un’illusione: quella di un’egemonia politica, militare e morale che non esiste più.

Multipolarismo, crisi dell’egemonia e l’inevitabile declino occidentale

Secondo Denécé, il conflitto ha accelerato un processo storico: la fine della centralità occidentale. Il mondo si dirige — che piaccia o meno a Bruxelles e Washington — verso un ordine multipolare. La contestazione dell’Occidente da parte del Sud globale è ormai strutturale. Gli Stati Uniti, anche sotto la guida di Trump, lo hanno capito: per conservare un minimo di influenza devono reindustrializzarsi, rafforzare la propria economia reale, conquistare nuove fonti di risorse (Groenlandia, Panama, Canada) e ridurre gli impegni geopolitici dispersivi. Il ritorno di Trump segna proprio questo: la fine del delirio espansionista democratico e l’ingresso in una fase di contenimento e riorganizzazione, non certo di rilancio egemonico.

Denécé è netto: assisteremo a un sursaut americano, uno scatto d’orgoglio. Ma servirà solo a ritardare l’inevitabile declino. Dopo tre secoli di dominio, l’Occidente è entrato in una fase discendente, e nessuna narrativa sulla “difesa dei valori” potrà invertire il corso della storia.

La Realpolitik come unica grammatica del mondo

Uno dei passaggi più densi dell’intervista è quello in cui Denécé richiama il concetto di Realpolitik come chiave interpretativa universale. A Mosca, a Pechino, a Washington — ma non a Parigi o Berlino — si ragiona in termini di rapporti di forza, non di dichiarazioni di principio. Gli Stati Uniti, sotto la guida repubblicana, sanno che non possono affrontare contemporaneamente Russia e Cina. Per questo stanno negoziando con Mosca per liberarsi il fianco europeo e concentrarsi sul “problema cinese”, che non è una minaccia alla sicurezza americana, ma alla sua supremazia globale. Gli europei, al contrario, si illudono di avere ancora voce in capitolo. Ma, come ricorda Denécé, chi ha delegato la propria difesa a un protettore esterno dal 1945 in poi, ha perso anche il diritto alla sovranità e alla parola.

Intelligence e guerra invisibile: il nuovo volto del conflitto

Il conflitto ha anche rivoluzionato il mondo dell’intelligence. Sul piano militare, spiega Denécé, la vera novità è la fine della sorpresa tattica: il campo di battaglia è trasparente, sorvegliato da satelliti, droni, radar, strumenti elettronici, fonti OSINT. La concentrazione di truppe è diventata rischiosa, la mobilità è ridotta, e la sola possibilità per ottenere vantaggio è… scavare. Ecco perché sia in Ucraina sia a Gaza si combatte sottoterra.

Il ruolo dell’intelligence umana si riduce, quello dei droni cresce, e le operazioni clandestine — sabotaggi, assassinii mirati — sono ormai all’ordine del giorno, praticate da entrambi i fronti. In ambito civile e controspionistico, invece, le informazioni sono ancora parziali. Ma si sa già che i servizi occidentali e russi hanno intensificato le penetrazioni nei centri decisionali avversari. La vera guerra, quella invisibile, non è mai finita.

La battaglia dell’informazione: il trionfo della manipolazione cognitiva

Secondo Denécé, non sono le opinioni pubbliche a orientare le politiche, ma i governi a manipolare le opinioni con tecniche sofisticate, affidate a spin doctors e amplificate da media e social. La guerra psicologica — oggi detta “cognitiva” — ha raggiunto un livello mai visto. Non conta la verità, ma la narrazione dominante. E l’adesione a essa è garantita dalla regressione educativa, dall’analfabetismo funzionale di massa, dalla dipendenza dallo schermo. Un contesto perfetto per il trionfo della disinformazione.

L’Occidente, in questa guerra simbolica, non solo non è esente da colpe, ma è anche più attrezzato (e più aggressivo) della Russia. Le analisi indipendenti vengono censurate, le fonti alternative silenziate, il dibattito ridotto a caricatura. Il pluralismo non è più un valore, ma un fastidio.

Francia e Europa: l’epicentro del disastro strategico

Sulla Francia, Denécé è durissimo. Emmanuel Macron, oggi il più intransigente tra i leader europei, ha scelto il suicidio politico e strategico. Dopo aver rotto con Mosca, si propone come oppositore principale di Trump. Il risultato? Isolamento internazionale, perdita di credibilità, marginalizzazione diplomatica. Le sue iniziative pro-Ucraina vengono puntualmente smentite dagli stessi alleati europei che ne temono gli eccessi e ne rifiutano la guida.

Anche l’Europa nel suo complesso esce a pezzi. Ha sostenuto Biden e i democratici, ora paga l’ostilità dell’amministrazione Trump. Vuole proseguire la guerra mentre USA e Russia trattano la pace. E sogna una difesa comune che si scontrerà con due ostacoli: il dominio industriale americano e le rivalità interne al mercato europeo della difesa. I sogni di integrazione si trasformeranno in nuovi motivi di conflitto.

Conclusione: un mondo che cambia, e un’Europa che rifiuta di cambiare

Per Denécé, la guerra in Ucraina è già una lezione storica. Ma l’Europa non l’ha capita. Si ostina a difendere posizioni indifendibili, a inseguire leadership che non ha, a voler contare laddove è irrilevante. I popoli sono ignorati, le élite procedono a tappe forzate verso un progetto federale non richiesto, e i costi economici, politici, strategici aumentano.

La Russia, dal canto suo, ha capito. Dopo il tradimento dell’Occidente, non farà più affidamento sulle promesse di Bruxelles o Washington. E anche se le trattative di pace con gli Stati Uniti andassero a buon fine, Mosca saprà che tutto può cambiare di nuovo, al prossimo ciclo elettorale.

Alla fine, l’unico perdente reale sarà l’Europa. Non l’Ucraina, che combatte per sopravvivere. Non gli Stati Uniti, che pensano già al Pacifico. E nemmeno la Russia, che ha consolidato la propria influenza. Ma l’Europa — disarmata, dipendente, divisa — destinata a pagare il prezzo dell’illusione strategica che l’ha accompagnata fin dall’inizio.