La geopolitica degli antichi e dei moderni e i riflessi sugli investimenti
Al tempo in cui Giulio Cesare viene pugnalato ci sono nel mondo tre superpotenze. La prima è Roma, la seconda è l’impero iranico dei Parti e la terza sono i Sinae, i cinesi. Questi ultimi, visti da Roma, è come se vivessero su un altro pianeta (abitano alla fine del mondo, nella Terra incognita orientale,... Leggi tutto

Al tempo in cui Giulio Cesare viene pugnalato ci sono nel mondo tre superpotenze. La prima è Roma, la seconda è l’impero iranico dei Parti e la terza sono i Sinae, i cinesi. Questi ultimi, visti da Roma, è come se vivessero su un altro pianeta (abitano alla fine del mondo, nella Terra incognita orientale, come scrive Marciano di Eraclea). I Parti, invece, sono ben noti a Cesare, che sta preparando una spedizione contro di loro quando cade vittima dell’attentato, e ai suoi successori, che per tre secoli combatteranno guerre ininterrotte sull’Eufrate, senza mai riuscire a dominarli e venendone spesso sconfitti. Più tardi saranno i successori dei Parti, i Sasanidi, a essere per qualche decennio la superpotenza egemone dell’Eurasia occidentale.
Se a scuola studiamo poco i Parti è anche perché le fonti romane sono scarse sull’argomento. In compenso sono molto abbondanti sulle guerre civili che devastano la res publica negli stessi anni in cui inizia in grande stile il conflitto secolare contro i Parti. Una ragione è che, dopo la drammatica sconfitta di Carre, in cui in un giorno del 53 a.C. Roma perde 20mila uomini, c’è ben poco da celebrare. L’altra, più generale e, potremmo dire, antropologica, è che le guerre civili infiammano gli animi molto più di quelle contro il nemico esterno, contro il quale si crea invece una rete di solidarietà. Il nemico esterno, in tutte le culture, è un alieno incomprensibile, che conserva comunque qualche diritto al rispetto. Il nemico interno è invece un’entità perfettamente leggibile e anche per questo non è degno di rispetto.
La ferocia delle guerre civili ha infiniti esempi. Basta ricordare le guerre di religione del Cinque-Seicento, la guerra civile americana o quella spagnola, nonché le due guerre mondiali, che molti storici leggono come guerre civili europee estese al mondo.
Si stanno facendo molte ipotesi nel tentativo di capire Trump. Alcuni ne fanno una questione di carattere e sostengono che sia forte con i miti e arrendevole con gli autocrati. Altri pensano che si stia muovendo confusamente creando situazioni caotiche in cambio di modeste concessioni da esibire come trofei. Spiegarlo come un nazionalista isolazionista è d’altra parte incompleto e fuorviante.
Forse si va più lontano se si fa attenzione agli occhiali con i quali Trump legge il mondo, che sono quelli del conflitto civile americano. C’è l’America globalista, il cui simbolo è la California, e l’America MAGA. Il Canada liberal è una seconda California. L’Europa di Bruxelles è una terza California. Il Regno Unito di Starmer è la quarta. Cina e Russia sono sullo sfondo di questo conflitto civile americano che si allarga all’Occidente. Perseguono i loro interessi e sono degli alieni con cui confrontarsi da pari a pari. A differenza del nemico interno sono degni di qualche rispetto.
In una logica imperiale (stiamo sempre provando, weberianamente, a entrare nella logica di Trump) ha senso che l’America tenti di allontanare la Russia dalla Cina. La Russia si ritira dal Medio Oriente, indebolendo oggettivamene l’Iran (pur senza rinnegarlo) e lasciando il campo libero all’asse America-Israele. Torna a produrre più petrolio, insieme ai Sauditi, e contiene l’inflazione globale. In cambio le si lascia un’Ucraina neutrale in cui l’Europa, se vorrà, potrà mandare soldi ma non armi. L’Ucraina di Zelensky è del resto una creatura dei neo-con e dei liberal, quindi del nemico interno. Anche in campagna elettorale Trump non ha mai promesso che avrebbe sostenuto l’Ucraina, ha solo detto che le avrebbe tolto i soldi. Con la Cina, il vero concorrente strategico, trattativa dura, minaccia di dazi molto alti, richieste aggressive di comprare Treasuries e di rivalutare ma niente toni sopra le righe. Niente guerra, qualche disponibilità, lontana nel tempo, su Taiwan.
L’Europa, per Trump, non va comunque abbandonata, come non va abbandonata o espulsa la California e non va abbandonato il Canada, che sarebbe semmai da ricondurre sotto pieno controllo. L’Europa è atlantista e lo resterà, manterrà la copertura atomica americana ma dovrà pagare fior di soldi per quella di terra, che verrà comunque ridotta. L’Europa è però divisa in atlantisti filo-dem, e quindi nemico interno, e atlantisti MAGA, per ora minoritari. Merz è più atlantista della Merkel e anche di Scholz, ma la logica interna tedesca, che gli impone di delegittimare AfD per legittimare la futura Grande Coalizione, lo porta a schierarsi contro l’atlantismo MAGA. I legami tra Europa e Russia sono comunque rescissi per un lungo periodo e se l’Europa vorrà petrolio e gas dovrà comprarli a caro prezzo dall’America.
Con Merz tra gli anti-MAGA, la Grande Coalizione andrà indebolita in tutti i modi, dalle sollecitazioni incessanti di Musk a votare AfD, ai dazi contro le auto tedesche, al blocco (insieme alla Russia) di qualsiasi velleità di avere influenza in Ucraina (se non donando soldi). L’obiettivo finale è la sostituzione della Grande Coalizione con la soluzione austriaca, che accoglie la destra nella coalizione di Governo. Indebolendo Merz, l’America MAGA indebolirà anche Bruxelles, il cui tentativo di accelerare sull’Europa federale non verrà certo favorito da Oltreatlantico, che tratterà comunque solo con i singoli paesi e mai con l’Unione. Il tutto in attesa della Le Pen, che è prudentissima su Trump per conquistare il centro (e anche perché le internazionali dei nazionalisti hanno sempre un livello di complessità particolare) ma che comunque sarà meno federalista di Macron.
Fin qui la nostra ricostruzione del programma di Trump. Come tutti i programmi riuscirà solo in parte o magari fallirà completamente, ma non si può negare che abbia una logica e una coerenza interna.
La risposta dell’Europa mainstream è già visibile. Lo spazio sull’Ucraina è poco. Anche la possibilità di diventare antiamericani tout court è negata dalla storia e dalla copertura atomica Nato alla quale non si intende rinunciare. La riconciliazione con la Russia è impossibile per un lungo periodo sia per l’ostilità di Mosca sia per il capitale politico speso nella narrazione antirussa in questi anni.
Rimangono tre strade. La prima è l’abbandono della virtù fiscale con la spesa per il riarmo, per due terzi con armi europee e per un terzo comprando dall’America in cambio di qualche dazio in meno. La seconda è l’adozione di qualche forma di deregulation e la creazione di un fondo per lo sviluppo sulle tecnologie di frontiera, i 700 miliardi all’anno del piano Draghi.
La terza strada, più avventurosa, è il riavvicinamento alla Cina, che farà comodo anche a Pechino. Qualcuno, nell’emozione post-Monaco, ha ammonito l’America che sulla Cina non potrà contare sull’appoggio europeo e certamente le vicende recenti sortiranno questo effetto. L’Europa, tuttavia, non potrà creare una zona di libero scambio con la Cina sia perché l’America in questo caso le metterà dazi ancora più alti, sia perché sarebbe la Cina a invaderci con i suoi prodotti molto più del contrario. La Cina è però così competitiva che accetterebbe anche dazi europei piuttosto alti a condizione che il nostro mercato non si chiudesse.
L’alleanza tra Cina e Russia sopravvivrà, anche perché il costo strategico di una rottura sarebbe troppo alto. Trump inoltre non sarà eterno e un fronte comune che tenga testa all’America sarà sempre molto utile. La Russia si aprirà però agli investimenti americani e cederà risorse in cambio di tecnologia nell’Artico e nel Pacifico.
Un’ultima considerazione sulla nuova era che si dischiude. Abbiamo tutti in mente i magnati di Silicon Valley che presenziano con aria ossequiosa e compita all’Inauguration di Trump. Fanno il paio con i loro colleghi cinesi dei giorni scorsi che, come scolaretti di una volta, prendono diligentemente appunti, chini tutti insieme sui loro fogli, mentre Xi Jinping detta la linea. Putin, dal canto suo, è già ampiamente emerso come dominus rispetto agli oligarchi. È dagli anni Trenta del Novecento che non si vedevano le élites della finanza e dell’industria di tutto il mondo così allineate al nuovo cesarismo.
E a proposito di cesarismo, è efficace l’immagine di Alex Younger, fino al 2020 capo dell’MI6, che parla della nuova Yalta. Dal mondo unipolare delle regole (americane) e del multilateralismo, passiamo ufficialmente al mondo regolato dai tre grandi, che si spartiscono le sfere d’influenza e decidono le sorti dei Paesi piccoli. Sono i nuovi triumviri.
Come muoversi in termini di investimenti in questo scenario
Venendo ai mercati finanziari, ci vorrà qualche tempo perché si adattino a questo nuovo quadro. Siamo comunque di fronte, sul piano macro, a una serie di stimoli sia sul lato della domanda sia su quello dell’offerta che dovrebbero più che bilanciare gli effetti dei dazi. Nello specifico, i nuovi accordi favoriranno la Russia (che rimarrà però per qualche tempo non investibile per gli europei) e costeranno qualcosa alla Cina, che si sta però preparando da tempo ai nuovi assetti con politiche monetarie e fiscali espansive.
Per l’Europa i programmi di spesa sono ovviamente molto favorevoli all’azionario. Ci sarà più inflazione, ma la Bce cercherà in tutti i modi di comprimere i tassi. L’ottimismo delle Borse europee è giustificato, l’euforia meno. Non va dimenticato che l’America ci metterà dazi più alti di quelli che il mercato sta scontando e che ci imporrà di rivalutare.
L’America affiancherà alla sua cura dimagrante geopolitica una cura dimagrante sulla spesa pubblica. È un bagno di realismo su tutta la linea. Diciamo tutti da anni che la situazione fiscale americana è insostenibile e non ci dovremo lamentare troppo se, per renderla più sostenibile, si dovrà pagare qualche prezzo in termini di crescita e di consumi. Saranno comunque prezzi accettabili.
A cura di Alessandro Fugnoli, strategist di Kairos (rubrica Il Rosso e il Nero)