La Cina conquista i fondali marini con la sua prima stazione spaziale subacquea. Ma a quale prezzo?

Nel cuore del conteso Mar Cinese Meridionale, dove l’avidità per le risorse naturali sfida i confini politici, la Cina ha annunciato una mossa ambiziosa: la costruzione di una “stazione spaziale” sottomarina, che sorgerà entro il 2030 a ben 2.000 metri sotto la superficie oceanica. Progettata per ospitare fino a sei scienziati per missioni della durata...

Feb 18, 2025 - 17:38
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La Cina conquista i fondali marini con la sua prima stazione spaziale subacquea. Ma a quale prezzo?

Nel cuore del conteso Mar Cinese Meridionale, dove l’avidità per le risorse naturali sfida i confini politici, la Cina ha annunciato una mossa ambiziosa: la costruzione di una “stazione spaziale” sottomarina, che sorgerà entro il 2030 a ben 2.000 metri sotto la superficie oceanica. Progettata per ospitare fino a sei scienziati per missioni della durata di un mese, la struttura sarà un laboratorio avanzato per l’esplorazione degli ecosistemi marini, in particolare delle zone di “cold seep” (aree di fondale oceanico in cui si verifica l’infiltrazione di fluidi ricchi di idrogeno solforato, metano e altri idrocarburi), famose per ospitare una biodiversità unica. Ma cosa significa questo progetto per l’ambiente e la geopolitica mondiale?

Un’innovazione tecnologica di confine

La stazione sottomarina cinese, che diventerà una delle installazioni più profonde mai costruite, si concentrerà sull’osservazione dell’attività tettonica e sul monitoraggio delle risorse minerarie e energetiche, tra cui gli idrati di metano, una forma di combustibile che potrebbe rivoluzionare il mercato globale dell’energia. Si stima che il Mar Cinese Meridionale ospiti riserve enormi di metano, potenzialmente fino a 70 miliardi di tonnellate, una quantità che potrebbe aumentare in modo significativo l’approvvigionamento energetico del Paese. Tuttavia, seppure questa tecnologia rappresenti un avanzamento incredibile, solleva anche preoccupazioni sulle sue implicazioni ecologiche e geostrategiche.

La biodiversità marittima sotto minaccia

Le “cold seep” sono ecosistemi particolarmente sensibili che dipendono da un delicato equilibrio di condizioni ambientali. Queste zone si caratterizzano per la risalita di fluidi e metano dal sottosuolo marino, creando ambienti ricchi di microorganismi unici e fauna rara. Sebbene il monitoraggio scientifico in queste aree sia cruciale per comprendere i cambiamenti ecologici, l’intervento umano in un ambiente così fragile potrebbe avere conseguenze devastanti. Le operazioni di estrazione di metano, se non adeguatamente gestite, potrebbero disturbare questi ecosistemi e compromettere la biodiversità, minacciando numerose specie che dipendono dalle infiltrazioni di gas per la loro sopravvivenza.

Gli scienziati sono concordi nell’affermare che un approccio sostenibile all’esplorazione e allo sfruttamento delle risorse sottomarine è essenziale per non compromettere irreparabilmente gli habitat marini. La possibilità che la Cina possa spingere sull’acceleratore dell’estrazione di risorse in un’area già fragile potrebbe aggravare il rischio di danni ecologici irreversibili. La stessa progettazione della stazione, che include un sofisticato sistema di monitoraggio, potrebbe non essere sufficiente a garantire che l’ecosistema sopravviva intatto.

Geopolitica e risorse: un mix esplosivo

Oltre agli impatti ecologici, la costruzione di questa stazione di ricerca solleva una serie di interrogativi geopolitici. Il Mar Cinese Meridionale è da anni al centro di contese territoriali tra più Stati, tra cui Filippine, Vietnam, Malesia e Brunei, tutti con rivendicazioni su parte di questo bacino ricco di risorse naturali. Le ambizioni cinesi non solo vanno a rafforzare il controllo su una regione strategica, ma potrebbero anche intensificare le tensioni internazionali, con il rischio di provocare conflitti aperti o una guerra fredda sul dominio delle risorse.

L’installazione di una stazione di ricerca così avanzata potrebbe essere vista come una mossa per consolidare il predominio marittimo della Cina, non solo in ambito scientifico ma anche economico e politico. La connessione della stazione alla rete di fibra ottica sottomarina della Cina, ad esempio, non è solo una comodità tecnologica, ma un chiaro segnale di come Pechino stia ampliando la sua capacità di monitorare e gestire le risorse marittime.

Uno degli aspetti più discussi di questo progetto è la possibilità che la Cina sfrutti l’energia nucleare per alimentare la stazione. Sebbene non ci siano conferme ufficiali, il ricorso a fonti energetiche ad alta intensità come l’energia nucleare appare una soluzione plausibile, considerando la necessità di un sistema energetico autonomo e potente per una base che opererà a tale profondità. Tuttavia, la scelta di tale fonte energetica potrebbe suscitare preoccupazioni non solo per la sicurezza ambientale, ma anche per i rischi legati alla proliferazione nucleare in una regione così geopoliticamente sensibile.

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