Intervista a Tredici Pietro: “Ho capito che dovevo ritrovare me stesso”

Intervista a Tredici Pietro, che ha pubblicato il nuovo album Non guardare giù, coprodotto da Sedd e Fudasca. L'articolo Intervista a Tredici Pietro: “Ho capito che dovevo ritrovare me stesso” proviene da imusicfun.

Apr 6, 2025 - 20:50
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Intervista a Tredici Pietro: “Ho capito che dovevo ritrovare me stesso”

Intervista a Tredici Pietro, che ha pubblicato il nuovo album Non guardare giù, coprodotto da Sedd e Fudasca.

“NON GUARDARE GIÙ” segna una tappa fondamentale nel percorso di Tredici Pietro, che con questo album mostra una nuova consapevolezza artistica e una forte voglia di sperimentare. Il disco è un viaggio musicale e personale che attraversa vari generi – dalla trap al rap old school, dall’acustico al drum&bass, fino al soul e al rock italiano – con testi profondi che intrecciano riflessioni intime e temi universali.

Realizzato durante sessioni di scrittura in Umbria, il progetto mette in luce le fragilità e le sfide interiori dell’artista, rivelando un lato più autentico e maturo. Arriva dopo i singoli “HIGH” e “BIG PANORAMA”, dal sapore hip hop anni Duemila, e dopo il joint-album “LOVESICK” con Lil Busso, un esperimento sonoro che ha unito vari stili e giovani nomi della scena urban come Diss Gacha e VillaBanks.

Intervista a Tredici Pietro, il nuovo album “Non guardare giù”

Tredici Pietro, il tuo nuovo album Non guardare giù segna un cambio di rotta nel tuo percorso artistico. Cosa rappresenta per te?
Sì, un cambio di rotta c’è stato. In questi anni di poche pubblicazioni ho lavorato molto sul mio suono e su ciò che voglio dire. Sono cresciuto, ho acquisito più consapevolezza e ho cercato di potenziare quello che era già mio, rendendolo ancora più personale.

Nella tua carriera hai sempre sperimentato, contaminando vari generi. Qual è l’aspetto del sound di questo album che ti rende più orgoglioso?
Più che un singolo elemento, sono fiero di come ho costruito il disco nel suo insieme. Se lo si ascolta dall’inizio alla fine, le tracce si connettono bene tra loro, senza stravolgimenti, ma con una continuità che ti accompagna dentro il progetto.

Dal punto di vista testuale, sembra che tu ti sia messo ancora più a nudo. Quando hai capito che avevi questa esigenza?
È stato un periodo in cui mi sono un po’ staccato dagli schemi della scena musicale attuale. A Milano mi sentivo sballottato, venendo da Bologna, e per un po’ mi sono lasciato trascinare. Poi ho capito che dovevo ritrovare me stesso, tornare a Bologna, stare con i miei amici. Questo mi ha aiutato a rimanere fedele a me stesso e a trovare ispirazione.

Hai scelto di isolarti in Umbria per lavorare al disco. Come mai questa decisione?
Sì, siamo stati lì dieci giorni con i produttori principali per riarrangiare tutto insieme. Anche se il disco ha influenze diverse e vari stili, volevo che avesse un’identità comune. Eravamo io, Fudasca, Sed, Galeffi e Matteo Cantagalli, tutti romani tranne me!

Hai presentato il disco con “Serve Amore” e “Verità”, due brani molto diversi tra loro. Come mai questa scelta?
Serve Amore è più vicino al mio stile rap e hip hop, quindi è stato recepito facilmente. Verità, invece, ha un approccio più cantautorale, richiede più tempo per essere compreso. Ma il riscontro è stato positivo, anche se serve il disco per capirlo davvero.

Uno dei brani più intensi è “Morire”, con Nere Sima Serpe. Cosa rappresenta per te?
È un brano di rinascita, di energia. Il titolo dell’album, Non guardare giù, richiama il non lasciarsi schiacciare dai pensieri. In Morire mi chiedo: “Perché darci così tanta importanza se dobbiamo morire? Perché ammazzarci prima di morire? Perché non vivere?” Bisognerebbe prendersi meno sul serio.

In questo disco hai trovato una libertà compositiva ancora più forte. Quanto è stato importante il periodo di pausa tra i tuoi ultimi singoli e questo album?
Fondamentale. Mi sono dovuto allontanare da me stesso per osservarmi da fuori. Quando hai un successo repentino, rischi di sentirti un impostore, specie se sei “figlio di”. Per molto tempo ho pensato che il mio nome fosse l’unico motivo per cui la gente mi ascoltava. Mi serviva prendere le distanze per capire il mio valore e trovare la mia direzione senza seguire le regole di altri.

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