Il discorso di Monaco e l’ipocrisia made in USA

Nel weekend della Conferenza sulla Sicurezza di Monaco, l’ospite d’onore americano J.D. Vance ha deciso di indossare metaforicamente stella e cinturone. «A Washington c’è un nuovo sceriffo», ha esordito tronfio […]

Feb 18, 2025 - 09:10
 0
Il discorso di Monaco e l’ipocrisia made in USA

Nel weekend della Conferenza sulla Sicurezza di Monaco, l’ospite d’onore americano J.D. Vance ha deciso di indossare metaforicamente stella e cinturone. «A Washington c’è un nuovo sceriffo», ha esordito tronfio il vice di Trump, piombato in Baviera per dare lezioni all’Europa. Peccato che il suo show abbia ricordato più un cowboy fuori tempo massimo che un autorevole statista: invece di rassicurare gli alleati sulla guerra in Ucraina, Vance ha sparato a zero contro l’Unione Europea, tra uno slogan da campagna elettorale e un sorriso compiaciuto. La platea si aspettava forse un discorso sulla minaccia russa ancora in corso, ma il nuovo sceriffo aveva altri bersagli nel mirino – principalmente i suoi stessi alleati occidentali.

Il nemico interno (non) abita a Mosca

Secondo Vance, l’Europa dovrebbe smetterla di preoccuparsi di Putin o Xi Jinping. “La più grande minaccia all’Europa oggi non è la Russia… è la minaccia dall’interno”, ha dichiarato solennemente dal podio. In altre parole, per l’amministrazione Trump 2.0 il vero pericolo per il Vecchio Continente sarebbero i governi e le società europee stesse, colpevoli – a suo dire – di allontanarsi dai valori fondamentali condivisi con gli USA. Una tesi quantomeno originale: mentre in Ucraina cadono ancora bombe russe e in giro per il mondo le autocrazie fanno proseliti, Vance assolve Mosca e Pechino e punta il dito contro Bruxelles e Berlino. Vladimir Putin ringrazia sentitamente per questa assoluzione a buon mercato: dev’essere confortante per il Cremlino sentirsi definire un non-problema dal vice di un presidente americano. D’altro canto, non è una sorpresa che chi fino a ieri definiva la NATO “obsoleta” e l’UE un nemico commerciale torni ora a minimizzare le minacce esterne – è il copione già visto dell’America First trumpiana, nuova edizione riveduta e (peggiorata).

Ma se il nemico è “interno”, chi sarebbe esattamente? Vance lo spiega attaccando l’Europa per la sua presunta deriva illiberale: governi e media europei colpevoli di censurare le opinioni scomode, élite che ignorano la volontà del popolo e perfino fantomatici “cordoni sanitari” anti-opposizione. “La democrazia si basa sul sacro principio che la voce del popolo conta. Non c’è spazio per cordoni sanitari” ha proclamato, inveendo contro l’isolamento dei partiti di estrema destra come l’AfD tedesca. In pratica, Vance bacchetta i tedeschi perché osano emarginare i nazionalisti xenofobi di Alternative für Deutschland, secondi nei sondaggi. A suo avviso, escludere l’ultradestra dal potere sarebbe antidemocratico: chiudere fuori chi vorrebbe chiudere frontiere e riscrivere la storia pare un affronto intollerabile per il vice-presidente USA. Curioso senso della democrazia: negli Stati Uniti, quando un suprematista bianco si candida, in genere i partiti tradizionali lo ostracizzano (o almeno così accadeva un tempo); ma Vance ora pretende che in Europa si portino al governo gli epigoni locali di Steve Bannon e compagnia. Forse confonde la Germania del 2025 con un episodio di The Apprentice: “AfD, you’re hired”.

Non stupisce che Olaf Scholz sia saltato sulla sedia. Il cancelliere ha definito “inappropriate” e “fermamente respinte” queste ingerenze nella campagna elettorale tedesca da parte di un alleato oltreoceano. Anche il ministro della Difesa Boris Pistorius ha gelato Vance: *“sta paragonando parti d’Europa a regimi autoritari e questo non è accettabile”*. Di solito sono gli Stati Uniti a lamentarsi (giustamente) delle ingerenze straniere nelle democrazie occidentali – vedi le denunce sull’influenza russa o cinese. Ora invece è un alto esponente americano a ingerirsi pubblicamente nella politica interna europea, per di più a favore degli estremisti. Immaginate se un ministro cinese venisse a Washington a predicare di includere i neo-confederati nel governo USA: verrebbe rispedito a casa su due piedi. Ma evidentemente l’ipocrisia è sovrana: “non fate agli altri ciò che noi facciamo a voi” sembra essere il nuovo motto a stelle e strisce.

Lezioni di democrazia (a rovescio)

Vance si erge a professore di democrazia e accusa l’Europa di tradire i valori liberali, ignorando i suoi elettori e persino “impedendo ai cittadini di vedere riconosciuto il loro voto”. Parole sue. Pronunciate, vale la pena ricordarlo, dal rappresentante di un’amministrazione il cui capo supremo – Donald Trump – ancora non riconosce la propria sconfitta elettorale del 2020. Fa un certo effetto farsi fare la morale sul rispetto del voto popolare da chi appartiene a un partito che, quattro anni fa, rifiutò di accettare l’esito delle urne. Fu proprio il presidente di cui Vance è vice a negare il passaggio di consegne al successore democraticamente eletto, gridando “Stop the Steal” e istigando un assalto al Campidoglio. E mentre Vance a Monaco condannava la “diga” eretta contro l’estrema destra in Germania, oltreoceano il suo partito erigeva ben altri tipi di barriere: leggi per rendere più difficile votare a minoranze e giovani, manipolazioni dei collegi elettorali, e una montagna di cause legali infondate per ribaltare i risultati sgraditi. Altro che “voce del popolo”: il mantra di Trump e seguaci – quando perdono – è semmai che la voce del popolo vale solo se li premia, altrimenti è da imbavagliare.

Vance ha citato come prova di “derive illiberali” europee il caso della Romania, dove una corte ha sospeso il primo turno di un’elezione per presunti brogli. Forse sperava di far dimenticare che negli USA la deriva è stata ben più grave: in Romania la vicenda si è risolta per via legale e pacifica, mentre a Washington nel gennaio 2021 si contavano morti e feriti tra gli assalitori del Parlamento. Un dettaglio che il nostro paladino della democrazia sorvola volentieri. D’altronde, per Vance & co. la memoria è corta: nel loro libro di storia, la pagina del 6 gennaio dev’essere stata strappata – magari per infilarla nell’ennesima indagine fasulla sulle elezioni “rubate”.

Libertà di espressione (a senso unico)

Un capitolo surreale del discorso di Vance è la sua accusa all’Europa di praticare la censura degna dell’URSS. Il vice-presidente americano ha tuonato contro i governi europei che **“minacciano e intimidiscono i social media per censurare la cosiddetta disinformazione”, una “brutta parola dell’era sovietica”**. Forte, detto da uno che ha Elon Musk come megafono preferito (Musk che censura giornalisti su X un giorno sì e l’altro pure, ma questa Vance deve essersela persa). Secondo lui, la colpa dei leader UE sarebbe non tollerare “punti di vista alternativi” e voler zittire chi esprime opinioni sgradite. In pratica Vance dipinge i governi europei come novelli Stalin col bavaglio sempre in tasca. Eppure, vien da ridere amaramente: proprio chi lancia queste accuse guida un’amministrazione che in patria sta facendo a pezzi ogni parvenza di libertà accademica e di stampa non allineata.

Facciamo un ripasso rapido, che forse al sovietologo Vance sfugge: la sua amministrazione ha appena proibito la diffusione di migliaia di studi scientifici e sanitari perché contenevano termini tabù come “transgender”, “LGBT” o persino “pregnant person”. Ha promosso e celebrato la rimozione di migliaia di libri dalle scuole pubbliche e dalle biblioteche militari perché non graditi ai crociati del moralismo made in GOP. Nei singoli Stati “rossi” gli alleati di Vance bandiscono dalle scuole qualsiasi testo che osi menzionare razzismo, diritti civili o identità di genere in modo non edulcorato. Altro che cancel culture della sinistra: qui siamo alla cancellazione della cultura tout court, ma in salsa reazionaria. E costoro osano accusare l’Europa di censura?

Vance si straccia le vesti perché in Inghilterra un attivista anti-aborto è stato multato per aver violato una zona vietata davanti a una clinica, presentando la vicenda come un fedele punito solo per una preghiera di tre minuti. Peccato che i fatti siano un po’ diversi: il signor Smith-Conner in realtà ha invaso più volte un’area proibita importunando donne già provate, ignorando per 100 minuti gli inviti ad andarsene, finché la polizia – con santa pazienza britannica – l’ha accompagnato fuori. Ma per Vance questo è tirannia illiberale. Strano, perché negli USA lui e i suoi trovano invece “urgente e necessario” deportare in massa chi entra illegalmente, senza tanti complimenti. E sono gli stessi che, in patria, vietano alle persone transgender o non-binarie perfino di definirsi tali in pubblico, perché “offende” qualcuno. Insomma, la libertà d’espressione versione MAGA funziona così: libera per le preghiere ostentate davanti alle cliniche altrui o per bruciare il Corano, molto meno libera se qualcuno vuole semplicemente esistere fuori dagli schemi che loro disapprovano. C’è da chiedersi: se domani in Texas un attivista bruciasse ripetutamente la Bibbia in piazza, il fervente Vance difenderebbe il suo diritto a esprimersi? O lo farebbe arrestare in 3 minuti, altro che preghiera?

Come ai tempi di Trump, ma peggio

In definitiva, il sermone bavarese di J.D. Vance sembra un collage delle peggiori ipocrisie trumpiane, riproposte con faccia tosta ancora più dura. L’ex presidente Trump, dall’esilio dorato di Mar-a-Lago, può ritenersi soddisfatto: il suo vice gli sta superando a destra nel contestare alleati e flirtare con i nemici. Sì, perché mentre Vance pontificava sulla purezza democratica, il suo capo a Washington faceva l’ennesima telefonata amichevole a Vladimir Putin per proporre un bel cessate il fuoco “tra gentiluomini”. Traduzione: lasciare alla Russia i territori presi con la forza, e tanti saluti alla sovranità ucraina. Un remake grottesco della politica dell’appeasement: d’altronde, proprio a Monaco nel 1938 altri autorevoli leader occidentali decisero di chiudere un occhio – anzi due – davanti all’aggressione di Adolf Hitler, con i risultati storici che conosciamo. Oggi per fortuna nessuno sta consegnando pezzi di Europa a Vance o a Trump, ma il tono è sinistramente quello. Invece di condannare chi minaccia i confini altrui, l’inviato americano condanna chi cerca di tenere a bada intolleranza e autoritarismo interni. Prima gli elettori (nostri), sembra dire: anche quando votano partiti che piacciono a Putin.

Sullo sfondo si staglia il ritorno della dottrina America First: da Vance sono arrivate minacce di nuovi dazi punitivi contro l’Europa e un disprezzo aperto per qualsiasi approccio cooperativo. Il giornale Il Sole 24 Ore notava che le relazioni transatlantiche paiono già talmente tese da far rimpiangere il primo mandato Trump. Un piccolo miracolo, visto quanto fossero pessimi già i rapporti sotto Trump senior. Adesso Trump junior (politicamente parlando) riesce a fare ancora peggio, scontentando europei di ogni colore politico: ha unito liberal e conservatori europei… nel dargli contro. Complimenti! Del resto, perfino Parigi – dopo aver udito Vance dire che gli USA sono “profondamente preoccupati” per l’Europa – ha risposto piccata che “nessuno può imporre il proprio modello all’Europa” e che ce la caviamo benissimo da soli nel custodire la nostra democrazia.

Marco Travaglio una volta descrisse l’amministrazione Trump come un circo di acrobati della verità e tiratori scelti di balle. Ecco, il numero messo in scena da J.D. Vance a Monaco rientra perfettamente nel solco: predica agli altri ciò che negli Stati Uniti viene quotidianamente calpestato. Vuole dare lezioni di moralità democratica? Prima le prenda lui, magari studiando un po’ di storia (americana e non). Per ora l’unica sicurezza emersa dalla Conferenza è l’assoluta sicurezza di Vance nel poter dire qualsiasi cosa senza vergogna. La voce del popolo conta, sì – a patto che dica ciò che piace a lui e al suo capo. La libertà di parola è sacra – a patto di poter silenziare chiunque non rientri nei loro canoni. E la minaccia interna esiste eccome – ma è quella che arriva da Washington con accento hillbilly e ricette populiste spacciate per consigli da amico. La prossima volta che lo sceriffo Vance volerà in Europa a farci la morale, prepariamogli pure una tazza di cioccolata calda e un applauso di cortesia, ma teniamo bene a mente la sostanza: il pulpito da cui proviene la predica è marcio e traballante almeno quanto i bersagli delle sue invettive. E ormai l’ipocrisia, a differenza di certi predicatori, non conosce frontiere.