Il caso Spotlight italiano: cosa emerge dall’inchiesta sugli abusi sessuali nella Chiesa di Bolzano

Anna (nome di fantasia) aveva 7 anni quando fu abusata per la prima volta dal suo insegnante di religione. Il sacerdote lo faceva sia con lei che con altre compagne di classe: se le accomodava sul grembo, le toccava nelle parti intime, le costringeva a sfiorargli il membro. Anna raccontò tutto alla madre, che andò […]

Feb 21, 2025 - 16:19
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Il caso Spotlight italiano: cosa emerge dall’inchiesta sugli abusi sessuali nella Chiesa di Bolzano

Anna (nome di fantasia) aveva 7 anni quando fu abusata per la prima volta dal suo insegnante di religione. Il sacerdote lo faceva sia con lei che con altre compagne di classe: se le accomodava sul grembo, le toccava nelle parti intime, le costringeva a sfiorargli il membro. Anna raccontò tutto alla madre, che andò subito a denunciare il prete alla direzione della scuola. Poi però, stranamente, la signora accettò di firmare una dichiarazione scritta in cui affermava che l’episodio non era grave e che non era stato commesso con cattivi intenti. 

Questi fatti risalgono ai primi anni Settanta. Oggi, mezzo secolo dopo, si viene a sapere che su quella madre, descritta come «una donna buona e credente», erano state esercitate «pressioni della Curia vescovile volte a indurla a relativizzare le molestie e non approfondire ulteriormente la questione».

Il sacerdote, da parte sua, continuò a fare l’insegnante per altri vent’anni. Dopo il suo pensionamento, un’altra ragazza si presentò alla Diocesi accusandolo di aver molestato lei e altre bambine ai tempi delle scuole elementari. Il prete nel frattempo era andato ad abitare in una casa dove vivevano anche famiglie con figli piccoli. L’unico provvedimento che fu preso dalla Chiesa fu trasferirlo in un’altra struttura residenziale.

La vicenda è tra quelle ricostruite nel Rapporto di 613 pagine, pubblicato lo scorso 20 gennaio, sugli abusi sessuali commessi da sacerdoti della Diocesi di Bolzano e Bressanone negli ultimi sessant’anni. Si tratta dell’indagine indipendente più approfondita promossa finora all’interno della Chiesa cattolica italiana. 

Commissionata dalla stessa Diocesi, la ricerca è stata condotta dallo studio legale Westpfahl-Spilker-Wastl di Monaco di Baviera – che dal 2010 si occupa di abusi sessuali interni alla Chiesa – con il contributo dello studio associato Kofler Baumgartner & Partner di Brunico. 

Gli avvocati hanno setacciato gli archivi della Curia, esaminando più di mille fascicoli e interrogando una ventina di testimoni. La Diocesi è stata informata delle risultanze solo al momento della pubblicazione finale. Ebbene, tra il 1964 (anno in cui la diocesi ha assunto il suo assetto attuale) e il 2023 (anno in cui il rapporto è stato commissionato) nel territorio clericale di Bolzano e Bressanone sono stati individuati 67 casi di presunti abusi sessuali commessi da 41 sacerdoti e sono state contate 75 possibili vittime. Ma, avvertono i relatori, questa è solo la punta dell’icerberg: nel sommerso potrebbe nascondersi «un numero ampiamente maggiore, forse addirittura esorbitante» di casi.

Vite distrutte
«Si sapeva, ma si taceva», ammette il vescovo Ivo Muser, in carica dal 2011, in un lungo comunicato di scuse, autocritica e propositi di cambiamento. «Per preservare la propria reputazione e quella della Chiesa – si batte il petto il monsignore – si è rinunciato a compiti e responsabilità. E può accadere di nuovo, se abbassiamo lo sguardo. Chiedo perdono ai soggetti coinvolti, alle comunità parrocchiali, ai sacerdoti accusati e ai fedeli della nostra diocesi per le mie mancanze come vescovo, assumendomene ogni responsabilità».

Il rapporto è un viaggio indietro nel tempo dentro storie oscure. A metà degli anni Novanta, Marco (nome di fantasia) aveva 12 anni e faceva il chierichetto. Era il «coccolo» del parroco, ma presto le attenzioni del prelato nei suoi confronti si trasformarono in qualcosa di indicibile: prima palpeggiamenti nelle parti intime, poi anche rapporti sessuali con penetrazione. Marco si è tenuto tutto il dolore dentro per venti interminabili anni, poi ha trovato la forza di rivolgersi al Centro di ascolto della Diocesi e ha iniziato un percorso di terapia a spese della Curia che l’ha portato a stare meglio.

Non è andata così per Carlo (nome di fantasia), abusato da quello stesso prete quando era già maggiorenne. Anche lui ha dovuto attendere anni prima di riuscire a confidare a qualcuno cosa aveva dovuto subire: a quel punto, la sua famiglia ha preso contatti con il sacerdote-orco per chiedergli un indennizzo, ma per Carlo è stato come rivivere il trauma. Il peso della sofferenza è diventato insopportabile, fino alla decisione estrema di togliersi la vita.

Sono tre i suicidi tra le vittime di abusi documentati nel rapporto commissionato dalla Diocesi altoatesina.

In controtendenza rispetto a quanto è stato scoperto in altre realtà indagate (ad esempio la Germania), nel territorio di Bolzano e Bressanone la maggioranza delle violenze dei preti (68%) si è concentrata su persone di genere femminile. O meglio, bambine: delle 51 femmine abusate, 50 erano minorenni al momento del primo abuso; cinque di loro avevano tra gli 0 e i 7 anni e 26 tra gli 8 e i 14. 

Anche tra i maschi il primo abuso è avvenuto generalmente negli anni dell’infanzia o dell’adolescenza: su 18 casi individuati dal team che ha svolto l’indagine, uno riguardava un bambino di età tra gli 0 e i 7 anni, cinque erano nella fascia tra gli 8 e i 14, due in quella tra i 15 e i 16 e nove erano ragazzini 17enni.

Impuniti
Nel rapporto realizzato su mandato della Diocesi di Bolzano e Bressanone non figurano mai le generalità dei sacerdoti accusati né quelle delle presunte vittime delle loro violenze. Si fanno solo i nomi dei vertici della Curia che nel corso degli anni hanno seguito le singole vicende. Quasi sempre con un approccio gravemente omertoso.

Don Andrea (nome di fantasia) ha abusato di bambine tra i 7 e i 12 anni per mezzo secolo a partire dagli anni Sessanta. Ha svolto il suo sacerdozio presso dieci sedi diverse all’interno della diocesi e in sette di queste si sono levate accuse di molestie nei suoi confronti. Ma ogni volta i vertici della Chiesa locale si limitavano a intervenire trasferendolo in un’altra parrocchia. Negli anni Novanta l’allora vicario generale Josef Michaeler respinse gli addebiti rivolti al prete definendo il suo un «comportamento maldestro». Solo una decina d’anni fa il chierico è stato quantomeno costretto a ritirarsi a vita privata.

L’impunità di cui spesso hanno goduto gli abusatori in abito talare è un altro tema centrale, in questa sconvolgente inchiesta. «Solo pochissimi casi di sospetto abuso – scrivono i relatori – sono stati effettivamente oggetto di interventi ai sensi del diritto canonico. Stando a quanto si evince dagli atti, nella stragrande maggioranza dei casi i dirigenti diocesani non hanno nemmeno fatto considerazioni teoriche su possibili sanzioni o sull’avvio di procedimenti canonici. In singoli casi, si sono meramente limitati ad annunciare conseguenze, nel senso di minacce a vuoto poi mai tradottesi in realtà».

In particolare, sono documentate appena due pene canoniche, tre provvedimenti disciplinari e una formale indagine canonica, mentre in undici casi la Curia non è andata oltre superficiali colloqui col sacerdote accusato o con altre fonti. «Nella maggior parte dei casi – si legge nel report – il chierico in questione veniva semplicemente trasferito o mandato (provvisoriamente) in pensione, senza però escludere la possibilità di una successiva reintegrazione nella cura pastorale».

L’ordinamento giuridico italiano non prevede nessun obbligo di denuncia a carico dei sacerdoti che vengano a conoscenza di abusi sessuali commessi da altri prelati (anche se in certe situazioni potrebbero configurarsi ipotesi di concorso in reato o di favoreggiamento). Le linee guida della Conferenza Episcopale Italiana (Cei) stabiliscono un mero obbligo morale di segnalare questi casi alla competente Procura della Repubblica. Da circa un anno, tuttavia, in Alto Adige vigono regole più stringenti: la Diocesi di Bolzano e Bressanone, infatti, ha concordato con le autorità giudiziarie locali – inclusa la Procura dei minorenni – delle specifiche linee guida che impongono l’obbligo di denuncia.

Italia vs Europa
La Diocesi altoatesina, con il suo pur tardivo attivismo, è una mosca bianca nel panorama clericale italiano. 

Negli ultimi quindici anni la Chiesa cattolica di mezza Europa ha preso atto del problema degli abusi sessuali commessi da prelati. La Conferenza Episcopale Tedesca ha commissionato a un consorzio interdisciplinare di ricerca un rapporto che nel 2018 ha portato alla scoperta di almeno 1.670 sacerdoti abusatori per un totale di 3.677 vittime nell’arco di 68 anni. 

La Chiesa francese nel 2019 ha istituito una commissione indipendente che due anni dopo ha fatto emergere 216mila casi di violenze per mano di preti. A quel punto, si è attivata anche la Conferenza Episcopale Portoghese, che ha fatto svolgere un’indagine analoga da cui è uscita una stima di circa 4.300 vittime. Nel 2023 è stata la volta della Chiesa spagnola, che con uno studio indipendente è arrivata a un bilancio di 2.056 persone abusate da esponenti del clero.

E la Cei? L’assemblea permanente dei vescovi italiani si sta muovendo più a rilento. Negli ultimi anni ha pubblicato due studi, condotti dall’Università Sacro Cuore sulla base dei dati della rete territoriale dei servizi diocesani, che sono relativi però ad archi temporali molto ristretti. Dalle indagini è emerso che tra il 2020 e il 2021 sono stati segnalati 68 sacerdoti che avrebbero abusato di 89 persone, mentre nel 2022 sono stati registrati 32 presunti abusatori e 54 presunte vittime. 

Tre anni fa, durante la conferenza stampa di presentazione del primo di questi due studi, la Cei aveva affermato che tra il 2000 e il 2022 erano giunte alla Chiesa 613 segnalazioni di violenze. La Conferenza Episcopale Italiana ha dato mandato all’Università di Bologna e all’Istituto degli Innocenti di Firenze di indagare sul periodo 2001-2021: i risultati dovrebbero essere pronti per l’inizio del prossimo anno.

Vuoti legislativi
Peraltro, un lavoro di tracciamento degli abusi commessi dai prelati italiani esiste già. Lo ha svolto la Rete l’Abuso, associazione che riunisce le vittime di preti pedofili. Basandosi su atti di procure e tribunali civili, l’associazione ha contato dal 2010 a oggi 332 sacerdoti presunti abusatori, di cui 164 condannati in via definitiva e 168 tra indagati e condannati in primo o secondo grado. Il totale delle vittime censite arriva invece a 1.576. 

Il fondatore della Rete l’Abuso è Francesco Zanardi, 55 anni, che si presenta come un «sopravvissuto» alle violenze sessuali di un prelato. Parlando con TPI, Zanardi definisce «apprezzabile» il lavoro svolto dalla Diocesi di Bolzano e Bressanone: «Ma è una goccia nel mare», osserva. E, comprensibilmente, è assai diffidente rispetto alle iniziativa di supporto prestate dalla Curia alle vittime di molestie: «Chiediamoci – riflette – come non sentiamo mai nessuna vittima ringraziare la Chiesa per il sostegno ricevuto».

Ma il portavoce della Rete l’Abuso punta il dito anche contro lo Stato italiano, che, a suo dire, con le sue leggi non farebbe abbastanza per prevenire e contrastare gli abusi. «L’obbligo di denuncia – fa notare – nel nostro Paese è limitato solo ai pubblici ufficiali. Questo fa sì che il cittadino che denuncia un abuso di cui è a conoscenza, se non è in possesso di una prova certa o dimostrabile, assai difficile da produrre per il cittadino comune, rischia di andare incontro a una contro-querela per calunnia». 

Uno strumento utile per prevenire le violenze sessuali sui minori sarebbe il certificato anti-pedofilia previsto dalla Convenzione di Lanzarote del 2007, ratificata dall’Italia con la legge 172 del 2012, alla quale il Vaticano peraltro non ha aderito: questo documento attesta l’assenza di condanne definitive a proprio carico per reati legati allo sfruttamento sessuale dei minori ed è richiesto a chi lavora a contatto con bambini o adolescenti. Ma, rileva Zanardi, «il legislatore italiano ha sollevato dall’esibizione l’intera categoria del volontariato, oltre al clero», con la conseguenze che, ad esempio, chi presta servizio come istruttore volontario in una società sportiva giovanile può tenere nascosti eventuali precedenti giudiziari per reati come la violenza sessuale su minore.

Come intervenire
Come è evidente, non solo dal rapporto realizzato in Alto Adige ma anche dai fatti di cronaca venuti a galla in tutto il mondo negli ultimi vent’anni, non siamo davanti a casi isolati: quello delle violenze sessuali commesse da esponenti del clero è un fenomeno che riguarda un intero sistema nel suo complesso.

Gli autori dell’indagine svolta nel territorio bolzanino hanno identificato una serie di «carenze sistemiche» che sarebbero alla radice di questi abusi. Viene citata, ad esempio, una diffusa immaturità sessuale tra i prelati, che deriverebbe a sua volta dalla formazione ricevuta in seminario, dove il processo di sviluppo della propria sessualità viene di fatto interrotto tra i 18 e i 20 anni, quando non si è ancora completato. Altri possibili fattori scatenanti sono individuati nell’isolamento dei sacerdoti, nelle strutture di alleanza maschile che si instaurano tra essi e nella carente cultura dell’errore negli ambienti della Chiesa.

«Concordo pienamente con questa analisi», dice a TPI don Gottfried Ugolini, responsabile per la Diocesi di Bolzano e Bressanone del Servizio specialistico per la prevenzione e la tutela dei minori da abusi sessuali e da altre forme di violenza: «Noi sappiamo che solo il 15% delle persone che abusano sono pedofili secondo la classificazione delle patologie internazionali: ciò vuol dire che la stragrande parte di coloro che abusano sono persone immature a livello psico-affettivo sessuale, che non sanno gestire le proprie emozioni». E secondo don Ugolini incidono anche «l’immagine del sacerdote, che viene messo sul piedistallo rispetto ai laici»,«l’uso dell’autorità in modo inappropriato» e il «sistema chiuso della Chiesa, un sistema tra maschi che provoca talvolta atteggiamenti di omertà».

Il Servizio di prevenzione guidato da don Ugolini è stato istituito dalla Diocesi bolzanina nel 2010, un anno spartiacque nella storia recente della Chiesa cattolica, specialmente in quella di lingua tedesca. Tra gennaio e marzo di quell’anno, infatti, esplose lo scandalo degli abusi perpetrati per decenni nel collegio religioso Canisius di Berlino: sull’onda di quelle rivelazioni, le denunce si moltiplicarono in tutta la Germania, in Austria, con un effetto domino poi in tutta Europa.

La Curia di Bolzano e Bressanone decise di intervenire istituendo un centro di ascolto a cui le vittime di violenze sessuali possono rivolgersi via telefono o e-mail. Se queste lo desiderano, viene fissato anche un colloquio di persona. Le vittime vengono informate del loro diritto di segnalare alle autorità civili gli abusi e la Diocesi mette a loro disposizione cento ore di terapia psicologica.

Dal 2010 a oggi oltre 100 persone si sono rivolte al centro. E la presentazione del recente Rapporto curato dagli avvocati di Monaco e Brunico ha spinto in sole due settimane un’altra decina di persone a farsi avanti. 

Alla luce dell’indagine che ha squarciato il velo su una parte degli orrori degli ultimi sessant’anni, il vescovo Muser ha disposto un’intensificazione delle misure di contrasto alle molestie. «Dobbiamo fare tutto il possibile per alleviare la sofferenza delle vittime, riconoscere le ingiustizie avvenute e prevenire nuove sofferenze», ha dichiarato il monsignore.

Saranno istituiti due gruppi di esperti, interni ed esterni alla diocesi, incaricati l’uno di proporre al vescovo quali eventuali provvedimenti adottare nei confronti dei vescovi accusati ancora in vita e l’altro di elaborare nuove linee guida per le procedure interne da seguire in caso di segnalazioni di abusi. Verranno inoltre differenziati i rispettivi compiti del centro di ascolto, del servizio di intervento e del servizio di prevenzione. Infine, c’è il proposito di dare maggior spazio alle donne nelle posizioni dirigenziali della Curia (dove già oggi comunque quattro uffici su nove a guida femminile).

«I bambini e i giovani vittime di abusi sono rimasti invisibili o sono stati resi tali», ammette il vescovo Muser: «I colpevoli sono stati trasferiti, come si dice, “lontano dagli occhi, lontano dal cuore”. Famiglie, parrocchie e comunità coinvolte nel dolore sono state semplicemente trascurate come vittime e lasciate a sé stesse. Anche nelle famiglie e nelle parrocchie ci si rifiutava di guardare». L’indagine sugli abusi, promette il monsignore, «non è un passo intermedio, né un obiettivo parziale che offre l’occasione per fare una pausa, ma un compito che ci impone di continuare a lavorare con tutte le nostre forze. Dobbiamo fare tutto il possibile per alleviare la sofferenza delle vittime, riconoscere le ingiustizie avvenute e prevenire nuove sofferenze».

Dopo la pubblicazione del Rapporto sugli abusi sessuali nella Diocesi di Bolzano e Bressanone, TPI ha rivolto alcune domande alla Conferenza Episcopale Italiana. Risponde Chiara Griffini, presidente del Servizio nazionale per la tutela dei minori della Cei. 

La Cei come commenta i risultati del Rapporto altoatesino, che mette in luce gravi omissioni da parte della Chiesa?
«Anche un solo caso di abuso nella Chiesa sarà sempre troppo, sia che riguardi casi attuali sia che riguardi casi avvenuti nel passato. Vi è dolore, vergogna e consapevolezza delle conseguenze devastanti che gli abusi commessi da sacerdoti hanno sulle vittime, sui loro familiari e su tutta la Chiesa stessa. Ogni azione di chiarificazione deve essere considerata con attenzione per un reale rinnovamento ecclesiale in materia di tutela dei minori e degli adulti vulnerabili, dalla prevenzione al perseguimento deciso degli abusi in tutte le loro forme». 

Ad avviso della Cei, i casi di abusi sessuali ad opera di chierici vanno trattati come singoli episodi isolati o rientrano in un fenomeno di carattere sistemico?
«Alla luce dei dati provenienti dallo studio del fenomeno a livello mondiale non si può parlare di singoli episodi isolati. Attenzione, però, a non creare confusione con tale affermazione: ciò non significa che tutti i chierici sono abusatori. Il singolo caso si inserisce all’interno di un quadro completo da analizzare. La Chiesa sta agendo con solerzia e ponendosi in rete con tutte le altre istituzioni della società civile. Le statistiche aiutano a capire che il problema è sistemico nella società. In questo senso va compresa anche la rete di tutela attivata nella Chiesa italiana: persegue a livello ecclesiale l’attuazione di modelli preventivi situazionali scientificamente riconosciuti che mirano a generare ambienti ecclesiali sicuri, mediante sensibilizzazione culturale, formazione specifica iniziale e permanente, vigilanza, percorsi chiari per la segnalazione presso i centri di ascolto diocesani o interdiocesani. Nel triennio 2020-22, anche in pandemia con il blocco delle attività pastorali, si sono formate quasi 23mila persone, sacerdoti, religiosi/e e laici/laiche. Per quanto attiene i centri di ascolto, chiunque può segnalare ad essi abusi in ambienti ecclesiali, venire accolto e accompagnato nell’individuare i bisogni di cui necessitano ad esempio circa le procedure e le prassi per la denuncia degli abusi e la tutela dei minori e le indicazioni circa i professionisti competenti in maniera (psicologi, medici, operatori del diritto…). A tutti coloro che segnalano un presunto abuso viene sempre ricordato che la segnalazione all’autorità ecclesiastica non si sostituisce né contrappone alla segnalazione alla competente autorità civile, che, anzi viene sempre incoraggiata».

Dopo i due rapporti pubblicati nel 2022 (relativo al biennio 2020-21) e nel 2023 (relativo al 2022), la Cei intende realizzare un più approfondito lavoro di indagine sugli abusi nella Chiesa, andando a “scavare” più indietro nel tempo?
«Anzitutto vorrei precisare che le rilevazioni attuate sulla rete territoriale dei servizi diocesani e regionali e dei centri di ascolto non sono e non saranno mai lo studio storico sugli abusi nella Chiesa italiana. Le rilevazioni sono il monitoraggio della Safeguarding Policy di cui la Chiesa italiana si è dotata con le Linee Guida del 2019 e che trova concretizzazione nelle attività di servizi per la tutela regionali e diocesani e dei Centri di ascolto. Lo studio sul fenomeno degli abusi nella Chiesa italiana sta avvenendo attraverso un altro percorso metodologico e scientificamente rigoroso. È lo studio pilota sui casi di abuso sessuali commessi da chierici e trattati in sede istituzionale ecclesiale nel periodo 2001-2021. È stato affidato a due enti terzi e indipendenti, il Centro per la vittimologia e la sicurezza dell’Università di Bologna e l’Istituto degli Innocenti di Firenze. La scelta dell’anno non è casuale: dal 2001, infatti, la normativa canonica ha avuto importanti innovazioni che hanno reso più organico il trattamento dei casi. Si è appena conclusa la fase sperimentale in cui è stato testato lo strumento di ricerca, si sta aprendo la fase analitica estesa a tutte le diocesi italiane. Si concluderà con la fase sapienziale, di assunzione ecclesiale delle risultanze della fase analitica condotta dagli enti terzi e indipendenti, prevista per la fine del 2025, inizio 2026. È l’inizio di un percorso, studio pilota appunto, che partendo dai dati emersi in sede ecclesiale mira ad affinare criteri per ulteriori ricerche, estese nel tempo e nel metodo, fino ad arrivare ad intercettare il sommerso. Non sarà lasciato nulla di intentato per conoscere la fenomenologia, apprestare strumenti di verità e giustizia e affinare sempre meglio la prevenzione e la promozione di ambienti ecclesiali sicuri».