Riuscirà l’Europa a sopravvivere a Trump?

Riuscirà l’umanità, e l’Europa in particolare, a sopravvivere a Donald Trump? Saremo in grado di tirar fuori quell’orgoglio, quella passione politica e civile, quella dignità e quel senso di appartenenza che soli potrebbero consentirci di far fronte a un personaggio del genere? Stando alle prime mosse della nuova commissione von der Leyen, si direbbe di no.  […]

Feb 21, 2025 - 16:19
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Riuscirà l’Europa a sopravvivere a Trump?

Riuscirà l’umanità, e l’Europa in particolare, a sopravvivere a Donald Trump? Saremo in grado di tirar fuori quell’orgoglio, quella passione politica e civile, quella dignità e quel senso di appartenenza che soli potrebbero consentirci di far fronte a un personaggio del genere? Stando alle prime mosse della nuova commissione von der Leyen, si direbbe di no. 

Germania
Non che ci aspettassimo granché, ma vien da piangere nel momento in cui il presidente degli Stati Uniti e Putin trattano sulla fine della guerra in Ucraina e l’Alta rappresentante della Politica estera dell’Unione Europea, l’estone Kaja Kallas, manifesta il proprio disappunto in nome di un bellicismo dai contorni grotteschi. Così come vien da piangere quando sentiamo i proclami guerreschi di una Nato, ora guidata dell’olandese Rutte, che da alleanza difensiva sembra essersi trasformata nel parco giochi di tutti i guerrafondai del pianeta. Germania. E così, dopo tre anni di conflitto nel cuore del Vecchio Continente, una miriade di auto-sanzioni insulse e nocive, il sabotaggio dei gasdotti North Stream e l’esplosione dei prezzi che ha messo in ginocchio i ceti sociali più deboli, ecco che domenica si vota in Germania, con il serio pericolo che i neo-nazisti di Alternative für Deutschland, anche sulla scia dei recenti attentati, dilaghino, accampando poi legittime pretese di formare o, comunque, far parte del governo. 

Al che, tornano in mente le parole del giornalista statunitense Hubert Renfro Knickerbocker, affidate nel 1932 a un libro intitolato “I due volti della Germania”: «In Russia sono bastati cinquantamila bolscevichi per fare la rivoluzione; in Germania gli elettori del Partito comunista sono circa sei milioni. In Italia Mussolini ha dato la scalata al potere con l’aiuto di duecentomila fascisti. Il partito nazionalsocialista di Adolf Hitler può contare su una base di circa dodici milioni di elettori. Per quanto tempo ancora si può sperare di mantenere in piedi la Repubblica tedesca?». Il 5 marzo dell’anno successivo avremmo avuto la risposta, il che ci consente di replicare anche a coloro che minimizzano, o accettano acriticamente, questa deriva autoritaria in nome del rispetto della volontà popolare. 

Il rispetto degli elettori non può né deve mai venire meno, ma constatare che anche Mussolini e Hitler sono stati legittimati dal voto della cittadinanza dovrebbe metterci ulteriormente in allarme sui rischi che stiamo correndo. AfD, infatti, proprio come lo Nsdap hitleriano, non nasce dal nulla: è figlio della rabbia, del risentimento, della miseria e del vedersi scivolare nel baratro, magari dopo una vita di sacrifici. E anche la consonanza con un certo mondo di sinistra, convenzionalmente definito “rossobruno”, dovrebbe indurci a riflettere su quanto determinate idee possano rivelarsi drammaticamente pervasive. 

L’avversione per i migranti, per dire, accomuna Sahra Wagenkecht ad Alice Weidel: due donne, una a capo di un partito nato da una costola della Linke e l’altra alla guida di una formazione che non rinnega nemmeno l’eredita del nazionalsocialismo; due figure alquanto controverse, dunque, ma al tempo stesso protagoniste della saldatura di un fronte regressivo, che invoca la chiusura delle frontiere, ormai non più confinabile nel perimetro dell’estremismo.

Domenica in Germania si vota, ribadiamo, e la nostra sensazione è che sarà dura per il cristianodemocrarico Merz dar vita a una grande coalizione, anche perché si spera che socialdemocratici e verdi abbiano imparato qualcosa dagli errori del passato. Difficilmente, difatti, potranno accettare di governare insieme a un soggetto che non ha nulla a che spartire con Merkel, allieva di Kohl e sostenitrice di un’idea inclusiva del governo, meno che mai in seguito alla trasformazione della Cdu-Csu in un partito che occhieggia all’estrema destra, costringendo l’ex cancelliera a schierarsi pubblicamente contro una deriva che distrugge la politica dell’accoglienza e dell’integrazione che era stata la sua bandiera ai tempi del piccolo Aylan.

Cosa accadrà, pertanto? A nostro giudizio, si potrebbe persino tornare a votare in autunno, con il concreto rischio che AfD passi dal 20 per cento circa di cui è accreditata al momento a una percentuale che le consentirebbe di essere se non la formazione egemone, comunque una compagine imprescindibile per ogni futuro assetto di governo. A quel punto, il “brandmauer”, il muro di contenimento nei confronti degli eredi delle idee di Hitler, verrebbe meno, proprio come accadde ai tempi della Repubblica di Weimar, travolta dalla sua endemica fragilità, dall’impossibilità di far fronte al malessere sociale dilagante e dall’avanzata di un nemico che sembrava avere una ricetta per tutto, basata sull’odio, sul razzismo, sulla discriminazione e sulla ferocia, ossia su disvalori che vengono considerati tali in tempo di pace mentre assumono, agli occhi dell’opinione pubblica, una valenza positiva quando si ha l’impressione che tutto sia andato ormai perduto. 

Europa
Poi c’è l’Europa, la principale sconfitta, come dicevamo, del conflitto russo-ucraino. Ha sostenuto una linea insensata, ha difeso interessi che non erano i suoi, ha ignorato il malcontento della popolazione, ha tacciato di «putinismo» chiunque facesse notare che stessimo andando incontro a un disastro di proporzioni mai viste e, infine, è stata scavalcata e messa fuorigioco dal già menzionato accordo fra due oligarchi come Trump e Putin, i quali non hanno deciso né una trattativa né una pace ma una spartizione del mondo, lasciando presagire una nuova Jalta, magari in Arabia Saudita, per stabilire le rispettive zone d’influenza. Che all’Ucraina provvedano gli europei, per quanto concerne la sicurezza, perché a noi interessano unicamente le terre rare, abbondanti sul suolo di quel Paese, per poter sfidare la Cina nella corsa al dominio tecnologico del pianeta: questo è stato il messaggio di Trump. 

Quanto a Putin, si “accontenterà” di conservare le regioni conquistate militarmente e di ricostituire, di fatto, il proprio impero, meno affascinante rispetto ai tempi degli zar, di Stalin e dei suoi successori ma ugualmente in grado di sedersi al tavolo dei grandi a livello mondiale.  In previsione, il prossimo Paese che cadrà sarà la Francia. 

America
L’America dell’Onu, di Bretton Woods e del “soft power” non esiste più da tempo. La globalizzazione ha fallito e con essa tutti i suoi cantori. Nella terra dei Trump e dei Musk, o sei con loro o sei un nemico. E il «Maga», questo mostro sorto a causa dell’insipienza altrui più che della sua malvagità, si è ben radicato nel tessuto profondo del Paese. 

Indietro non si tornerà, almeno per qualche decennio. Ciò che bisogna capire, quindi, è se l’ex culla della libertà sarà in grado di sopravvivere a se stessa. Quanto a noi europei, ancora sotto shock per una disfatta epocale, o diventiamo adulti o implodiamo. E la tragedia è che pare l’abbiano capito soprattutto i sovranisti, mentre i democratici restano afoni, come un secolo fa, sconvolti dallo sparo di Sarajevo e dal suo abisso.