IFO e inflazione dell’Europa in uscita oggi
Indice IFO di febbraio in uscita oggi alle 10:00 (stima 85.8 punti contro 85.1 di gennaio), lettura finale dell’inflazione dell’Europa YoY di gennaio che non dovrebbe riservare sorprese rispetto al +2.5% (da +2.4% di dicembre) della lettura flash.A cura di Antonio Tognoli, Responsabile Macro Analisi e Comunicazione presso Corporate Family Office SIM

Indici PMI dell’Europa di febbraio misti: Manifatturiero, pari a 47.3 punti, è risultato maggiore delle attese (46.9 punti) e di quello di gennaio (46.6); Servizi, pari a 50.7 punti è invece risultato più basso delle attese (51.5) e in flessione rispetto a gennaio (51.3); Composito, pari a 50.2 punti, è risultato più basso delle attese (50.5) ma in linea con quello di gennaio. Migliora dunque la manifattura (che necessita di ulteriori conferme), che rimane tuttavia in territorio di recessione e si raffreddano i servizi a vantaggio della disinflazione.
Situazione parzialmente diversa negli Stati Uniti, dove in febbraio la manifattura conferma la ripresa già evidenziata lo scorso mese: il PMI è infatti cresciuto a 51.6 punti da 51.2 di gennaio. Sotto 50 punti invece il PMI servizi (49.7 punti contro 52.9 di gennaio). Più bassa delle attese e in flessione rispetto al mese scorso la fiducia dei consumatori dell’Università del Michigan di febbraio (64.7 punti contro 67.8 attesa e 71.1 di gennaio). Entrambe i dati riteniamo che possano contribuire a raffreddare l’inflazione e supportare la Fed nel calo dei tassi.
Diversamente dal passato dall’inizio dell’ano ad oggi, gli indici non statunitensi stanno sovraperformando i principali indici statunitensi, riaccendendo l'interesse degli investitori per gli altri mercati mondiali (è la diversificazione che più volta abbiamo invocato). Questo interesse non è privo di fondamento, sebbene l'anno sia ancora giovane. Valutazioni più convenienti, il sovraffollamento delle posizioni negli Stati Uniti e la prospettiva di tassi di interesse più bassi in alcune economie hanno sostenuto le performance.
Diversi analisti mantengono una posizione neutrale sui Mercati Emergenti e tendono invece a sottopesare i Mercati Sviluppati Internazionali, continuando a monitorare l'attrattiva assoluta e relativa dei titoli non americani. Spesso ci si aspetterebbe che gli indici nazionali americani riflettano la loro economia interne. La realtà, però, è più complicata, come mostrano i seguenti esempi.
Nonostante il nome, i ricavi delle società dell'Indice Euro Stoxx 600 arrivano per circa il 22% dagli Stati Unit, più che dal Regno Unito, Germania e Francia messi insieme. Lo stesso vale per altri indici nazionali: il DAX tedesco e il CAC 40 francese dipendono dagli Stati Uniti per il 20-25% dei rispettivi ricavi, simile al Regno Unito (27%), Belgio (29%), Paesi Bassi (22%) e Svizzera (33%). Meno influenzati dagli Stati Uniti sono la Spagna (11%) e l'Italia (9%).
Al di fuori dell'Europa, i mercati sviluppati internazionali come il Giappone e l'Australia traggono rispettivamente il 55% e il 50% dei ricavi dai mercati internazionali (anche se hanno i loro punti di forza nell'industria automobilistica il primo e nel settore finanziario e minerario per il secondo).
I colossi dei mercati emergenti come Cina e India rimangono invece prevalentemente orientati al mercato domestico, mentre le multinazionali in Corea del Sud (pensa a elettronica e automobili) e Taiwan (semiconduttori) dipendono dalle vendite nei due maggiori mercati economici del mondo.
Che cosa significa tutto questo? Significa che gli indici tendono più al globale che al domestico. Di conseguenza, economie in difficoltà potrebbero non tradursi necessariamente in difficoltà per le azioni. Prendiamo la Germania, la cui economia post-pandemica ha avuto difficoltà, con il PIL reale del Paese in contrazione per il secondo anno consecutivo nel 2024. Tuttavia l'esposizione alla crescita globale e il forte consumatore statunitense hanno permesso al DAX di salire di quasi l'85% dai minimi di settembre 2022.
La concentrazione non è affatto un fenomeno specifico degli Stati Uniti, anche se quella sulla tecnologia rimane comunque una realtà del mercato azionario statunitense. La tecnologia, sebbene sia un settore in ritardo quest'anno ed essenzialmente stabile da ottobre, rappresenta ancora più del 30% dell'S&P 500 e quasi il 55% del Russell 1000 Growth Index. I primi 10 titoli dell'S&P 500 continuano a rappresentare il 37% dell'indice, nonostante i numerosi rischi emersi di recente, come la realizzazione di DeepSeek, i rapidi cambiamenti negli annunci dei dazi e il controllo sulle grandi aziende tecnologiche da parte della Cina.
Eppure, la concentrazione non è un fenomeno esclusivo degli Stati Uniti. Infatti l'S&P 500 è tecnicamente tra gli indici azionari meno concentrati rispetto a molti principali indici azionari di altri paesi. I primi 10 titoli rappresentano poco più del 60% del DAX e del CAC 40, ad esempio, seguiti da Taiwan (54%) e Brasile (52%). L'indice MSCI EM, pur apparendo più diversificato in superficie, concentra quasi l'11% delle sue risorse in un'unica azienda, la Taiwan Semiconductor Manufacturing Company. Pertanto, mentre la concentrazione negli Stati Uniti nei Magnificent 7 merita certamente attenzione, lo stesso vale per la composizione fortemente sbilanciata degli indici di altri paesi. In altre parole, è importante sapere cosa si possiede.
Occorre inoltre avere la consapevolezza che i mercati non sono del tutto esenti dal crescente protezionismo globale. Con l'aumento dell'importanza dei dazi negli Stati Uniti, le multinazionali di vari settori si trovano nel mirino, tra cui semiconduttori, apparecchiature elettroniche, automobili e industria mineraria, che sono tra le industrie maggiormente esposte. L'aumento della pressione su un già forte dollaro statunitense potrebbe ulteriormente danneggiare i margini di profitto, poiché oltre il 40% dei ricavi dell'S&P 500 proviene dall'estero. I settori più esposti includono Tecnologia, Materiali e Servizi di Comunicazione. Già il 44% delle aziende dell'S&P 500 ha discusso dei dazi nel commentare gli utili del quarto trimestre 2024, superando il picco del 2018.
Tuttavia, i dazi degli Stati Uniti sono solo una parte dell'equazione, con le ritorsioni che assumono varie forme. Per gli investitori azionari statunitensi, l'obiettivo di Cina su NVIDIA, Google, Apple e altre aziende non dovrebbe essere sottovalutato. Né dovrebbe passare inosservata la discussione dell'Unione Europea sull'uso del suo strumento di anti-coercizione, soprannominato il "bazooka" della regione, che può limitare il commercio di servizi e i diritti di proprietà intellettuale. Vediamo in che modo. Le aziende tecnologiche statunitensi di punta dipendono in modo sproporzionato da economie estere come Cina e Germania. Le misure di ritorsione da parte di alcune delle maggiori fonti di ricavi per le Big Tech potrebbero influire negativamente sugli utili aziendali e sulle prestazioni complessive del mercato.
Che si investa all'estero o in patria, invitiamo gli investitori a prendere coscienza di ciò che possiedono, soprattutto con l'aumento delle tensioni sui dazi (Investi solo in quello che conosci, dice Buffett). Sebbene la nostra visione è quella di mantenere una posizione sovrappesata sulle azioni statunitensi, in considerazione dei rischi affrontati da nazioni più esposte al commercio, riteniamo che le multinazionali potrebbero subire conseguenze man mano che le tensioni aumentano. Investire in Paesi o regioni (o aziende o settori) è una questione più complessa di quanto la maggior parte delle persone immagini.