IA, il risparmio gestito triplica gli investimenti

Il 60% delle società finanziarie in Italia indica l'IA generativa come una priorità per il prossimo biennio. Tutti i dati dalla ricerca Bain & Company e le voci dagli esperti al SdR25. L'articolo IA, il risparmio gestito triplica gli investimenti proviene da FundsPeople Italia.

Apr 18, 2025 - 09:27
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IA, il risparmio gestito triplica gli investimenti

Il 60% delle aziende italiane attive nel settore dei servizi finanziari pone l’IA generativa fra le prime tre priorità da sviluppare e potenziare nel corso del prossimo biennio: una percentuale quasi raddoppiata rispetto al 35% del 2024. Il 100% degli asset manager ha già implementato casi d’uso legati a questa tecnologia, e il 90% si è mosso anche sul fronte dell’IA generativa. Gli investimenti annui sono in rapida crescita e sembrano destinati a triplicare nell'arco di pochi anni: dai 20-25 milioni di euro del 2023 ai 26-32 milioni di euro del 2024, sino a quota 60-70 milioni nel 2027. Sono alcuni dei dati principali che emergono dall’indagine Bain & Company, presentata in anteprima al Salone del Risparmio 2025.

Investimenti annui triplicati entro il 2027

Lo studio ha coinvolto le principali società di asset management in Italia, risultando rappresentativo del 70% del mercato in termini di masse totali in gestione. Il sondaggio mostra un’adozione onnipervasiva dell’IA nel risparmio gestito. “I servizi finanziari sono al momento il settore più interessato dall’intelligenza artificiale, e quello in cui si è sviluppato il maggior numero di soluzioni di IA generativa”, commenta Jacopo Mancini, partner Bain & Company. Stando ai risultati del sondaggio, l’80% di tali soluzioni ha soddisfatto o superato le aspettative delle aziende. “Non è più un tema di promessa di valore. Il valore dell’IA c’è già. La questione, oggi, è portarlo a scala”, prosegue Mancini.

Le applicazioni dell’IA nell’asset management

Il 68% delle società di gestione rilevano già un miglioramento dell'efficienza operativa proprio grazie all’IA. L’ambito principale su cui si concentrano i casi d’uso è quello dell’analisi e degli investimenti, con il 43% delle applicazioni (come ad esempio la generazione automatica di report di mercato). Segue la parte operativa e infrastrutturale, con chatbot interni e sistemi di recupero di informazioni, pari al 29% dei casi d'uso. L’esposizione ai clienti finali riguarda il 17% degli impieghi dell’IA, anche qui con assistenti virtuali e motori di ottimizzazione dell’asset allocation. Infine, l’11% delle applicazioni dell’IA nell’asset management siede nelle funzioni risk & compliance, per individuare anomalie nei dati, frodi, e supportare i processi di riconciliazione.

In questo percorso di crescita ed efficientamento tramite IA, gli ostacoli principali individuati dagli asset manager sono tre: la disponibilità di competenze qualificate, l’accesso ad architetture tecnologiche adeguate, e il costo dell’implementazione. Sul primo fronte, gli operatori si stanno già muovendo. Due terzi dei gestori, infatti, hanno creato team interni dedicati all’intelligenza artificiale, con professionalità ben identificate: ingegneri, esperti di data quality e protection, e sempre più spesso figure in grado di guidare ed educare i modelli di IA. I team hanno una dimensione che varia da 2-5 professionisti nelle realtà più piccole sino a superare i 15 addetti nelle società più grandi.

L’indagine ESMA: IA presente ma silenziosa

Il mercato, dunque, è in grande fermento, con un’evoluzione sempre più rapida. Eppure, meno dello 0,1% dei fondi di investimento attivi sui mercati europei dichiarano esplicitamente di utilizzare l’intelligenza artificiale nelle strategie di investimento. Claudia Guagliano, head of Unit, consumer sustainability and innovation Analysis, ESMA, ha commentato la più recente ricerca dedicata all’IA, condotta su un ampio campione di 44 mila fondi europei tramite più di 825 mila documenti relativi tra prospetti, KIID e brochure di marketing. Tra questi, quindi, solo 145 strategie pubblicizzano l’impiego dell’intelligenza artificiale: un esito che può sembrare sorprendente, considerando quanto l’innovazione tecnologica sia invece presente nelle notizie e nelle discussioni del risparmio gestito.

“In realtà, non vi è alcuna contraddizione”, afferma Guagliano. Molto semplicemente, spiega l’esperta, l’IA è già impiegata da molto tempo dalle società finanziarie, sotto forma di algoritmi e altri sistemi automatizzati di raccolta e analisi dei dati. L’evoluzione e l’accelerazione della tecnologia negli ultimi anni hanno permesso di rendere più efficienti tali sistemi. I fondi, quindi, fanno leva sull’IA per migliorare i processi, ma le società di gestione non lo pubblicizzano espressamente. “L’IA non è ancora uno strumento di marketing. Se guardiamo ai fondi più espliciti nel dichiararne l’uso, non troviamo alcuna differenza in termini di flussi o performance”, aggiunge Guagliano.

Aumenta l’esposizione nei portafogli

Una seconda componente dell’indagine ESMA si concentra sull’esposizione dei portafogli dei fondi alle cosiddette AI companies, le società protagoniste dell’innovazione. Definire quali siano, però, è meno semplice di quanto sembri. “Abbiamo identificato sette indici con un focus specifico sull’intelligenza artificiale, ma anche tra questi abbiamo riscontrato molta eterogeneità dei titoli rappresentati”, spiega ancora Guagliano. Tra le 198 società che compongono tali indici, infatti, solamente tre sono presenti in tutti e sette: nVidia, Alphabet e Microsoft. Pertanto, ESMA ha deciso di concentrarsi su 83 titoli rappresentati almeno in due benchmark dedicati all’IA. Di questi, il 73% sono localizzati negli USA, il 12% in Asia, e solo il 7% in Europa.

Partendo da questo campione, ESMA ha analizzato l’evoluzione dei portafogli di oltre 10 mila fondi azionari europei per valutarne l’esposizione al tema dell’intelligenza artificiale. La quota di portafoglio è effettivamente aumentata dal 9% nel 2023 al 13% nel 2024. Forse più rilevante il fatto che solo un quarto delle strategie, il 25%, non investono affatto in società IA; mentre un altro 25% ha un investimento superiore al 15% del portafoglio. I fondi più esposti, con una quota superiore al 27,5%, sono il 10%.

L’AI Act e la piramide del rischio

In questo contesto si inserisce la regolamentazione europea, a cui spetta l’arduo compito di guidare uno sviluppo sostenibile dell’IA senza sovrapporsi alle altre normative di settore. Il nuovo caposaldo dell’UE è l’AI Act, entrato in vigore nell'agosto 2024: un insieme di disposizioni ampie che mira a fissare dei paletti e delle linee guida per gestire la rapida evoluzione della tecnologia, in maniera trasversale a tutti i settori.

Mattias Levin, head of the Digital finance unit for the directorate-feneral for financial stability, financial services and capital markets union (DG FISMA) della Commissione Europea, rappresenta l’approccio europeo come una piramide al cui vertice risiedono, per l’appunto, le attività a più alto rischio, come ad esempio il social scoring, una pratica diffusa in Cina che in Europa viene così formalmente proibita. Scendendo verso la base della piramide si trovano altri impieghi solo leggermente meno rischiosi dell’IA, inclusi due legati proprio al mondo della finanza: lo scoring per l’erogazione del credito, e quello per l’accesso agli strumenti assicurativi. Analizzando dati sensibili per la privacy, l’IA può stabilire se un cliente possa avere dirtto a un prestito o determinare il prezzo della sua assicurazione. “Si tratta di attività ad alto rischio che sono pertanto soggette a ulteriori requisiti”, spiega Levin.

L’IA Act si inserisce nel quadro normativo in cui rientrano anche la Mifid 2, l’AIFMD e altre regolamentazioni europee, focalizzandosi proprio casi specifici come i due menzionati dall'esperto. “Il monitoraggio dei nuovi requisiti sarà integrato nei sistemi di supervisione esistenti. In altre parole, spetta agli Stati membri il dovere di esercitare tale monitoraggio”, aggiunge Levin. “L’IA offre benefici significativi. Continueremo a lavorare con gli stakeholder per aiutarli a utilizzare al meglio questa tecnologia, e per capire insieme come superare questi rischi, anche nel settore della finanza”, conclude.

L'UE tra oneri e vantaggi della regolamentazione

Numerosi gli spunti offerti dagli altri esperti intervenuti alla conferenza. Michele Lanotte, vicecapo del servizio strumenti e servizi al dettaglio, Banca d’Italia, ricorda come il 7 aprile l’istituto centrale, con il supporto della Commissione Europea e dell’Ocse, abbia inviato un sondaggio a molti operatori della finanza italiana per raccogliere informazioni su come l’IA venga usata nel settore. L’obiettivo è quello di sviluppare soluzioni e linee guida che possano aiutare nell’applicazioni quotidiane dell’AI Act. La normativa europea, infatti, segna “il primo caso di regolamentazione orizzontale, che si applica a tutti. La grande difficoltà per noi regolatori è farla parlare con le normative di settore, per evitare sovrapposizioni e duplicazioni degli oneri di compliance”, afferma Lanotte, rinnovando così a tutti gli operatori finanziari l'invito a rispondere al sondaggio.

Luca Filippa, direttore generale, Consob, sottolinea come l’ente di vigilanza stia implementando soluzioni IA per supportare le proprie attività di monitoraggio e controllo. Senza dimenticare, però, che il settore stesso è soggetto a nuovi rischi come le truffe sempre più sofisticate rese possibili proprio dall’intelligenza artificiale. “Ci stiamo muovendo in un territorio inedito”, afferma Filippa. “Ma sono convinto che, con qualche smussatura burocratica in meno, l’attenzione alla regolamentazione propria dell’UE offrirà vantaggi importanti nel medio e lungo periodo”.

Di simile avviso Giovanni Sandri, vicepresidente Assogestioni, responsabile per il Sud Europa di Blackrock. A livello internazionale, la partita sull’IA non può basarsi sulla forza bruta, sulla potenza di calcolo dei grandi data center: l’Europa non potrebbe competere con gli USA. La chiave di volta per l’UE, conclude Sandri, consiste piuttosto nello “sviluppare un’IA di alta qualità e soprattutto sostenibile. La sostenibilità crea fiducia, che permette un utilizzo molto più profondo di questa tecnologia”.

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