Gli Usa primo mercato extra europeo per l’export italiano. Chi rischia di più con i dazi di Trump: dai vini a farmaceutica, auto e macchinari
Le vendite oltreoceano sono salite in dieci anni da meno di 30 a 65 miliardi. Tariffe del 25% come quelle annunciate dal presidente avrebbero pesanti conseguenze per i settori che dipendono dagli affari con Washington L'articolo Gli Usa primo mercato extra europeo per l’export italiano. Chi rischia di più con i dazi di Trump: dai vini a farmaceutica, auto e macchinari proviene da Il Fatto Quotidiano.

Quasi 65 miliardi di esportazioni, stando ai dati Istat sul 2024. Gli Usa sono il primo mercato di sbocco extra europeo per le merci italiane. Lo scorso anno si è registrato un calo del 3,7%, ma Roma continua a vantare un surplus – la differenza rispetto alle importazioni – di oltre 38 miliardi. I comparti del made in Italy che vanno forte oltreoceano? Macchinari industriali (12,8 miliardi), farmaceutica e chimica (10 miliardi), mezzi di trasporto (7,9). Seguiti da alimentari e bevande (7,8 miliardi) e dalla moda (5,5 miliardi tra abbigliamento e accessori). Settori che i dazi in arrivo dal 2 aprile, come confermato dal segretario al commercio Howard Lutnick, potrebbero mettere a dura prova.
Per stimare nel dettaglio i potenziali danni è ancora presto, visto che non è ancora sicura l’aliquota che verrà applicata alle merci europee. Donald Trump ha parlato di un preoccupante 25%, che però potrebbe essere una media: il suo Fair and Reciprocal Tariff Plan ipotizza tariffe “personalizzate” per ogni Paese partner calcolate sulla base delle sue tariffe sulle merci Usa ma anche di Iva, costi amministrativi e regolatori, web tax sulle multinazionali. Non solo: l’effettivo calo dell’export dipenderà dalla reazione delle imprese, che di solito si accollano una parte dei maggiori costi e scaricano il resto sui prezzi, e dei consumatori americani: con un‘inflazione che ha ricominciato a crescere saranno disposti a spendere di più per i prodotti italiani?
Quanto pesano gli Usa per l’export italiano – La portata dei rischi è comunque evidente guardando le serie storiche sull’export e le quote percentuali di export verso gli Usa sul totale che finisce fuori dalla Ue. Le prime mostrano nell’ultimo decennio un poderoso aumento delle vendite di prodotti italiani negli Stati: dai 29,8 miliardi del 2014 si è saliti a quasi 37 nel 2016, 42 nel 2018 (nonostante i dazi settoriali della prima amministrazione Trump), 49 nel 2021, 67 nel 2023. Lo scorso anno tensioni geopolitiche e calo della produzione industriale, a partire da quella dell’automotive, hanno contribuito a una flessione che non sposta il peso di quel mercato: 10% sul totale dell’export, primo nella classifica dei Paesi nei cui confronti l’Italia vanta i maggiori saldi commerciali, primo per contributo alla crescita dell’export italiano dal 2019.
Alta esposizione – Ne deriva, come mostra un’analisi del centro studi di Confindustria, che l’export italiano è più esposto rispetto media Ue: gli Usa valgono il 22,2% delle vendite italiane extra-Ue (dati 2023), rispetto al 19,7% di quelle Ue. Negli Usa approda addirittura il 39% dell’export extra-Ue di bevande – sono il principale mercato di destinazione per i vini italiani -, il 30,7% di quello di autoveicoli e farmaceutica, il 23% di quello di alimentari. Significa che quei prodotti dipendono in misura rilevante dall’andamento degli affari con Washington. Considerando anche le connessioni indirette, cioè le vendite di semilavorati ad altri settori i cui prodotti sono poi incorporati nelle merci per il mercato Usa, si conferma l’esposizione del farma e dei mezzi di trasporto: il 17,4% e il 16,5% delle rispettive produzioni complessive vanno oltreoceano.
Farma, chimica e mezzi di trasporto a rischio – Facile capire come corposi dazi possano fare molto male alle imprese italiane. Prendendo in considerazione tre criteri di vulnerabilità – esposizione verso il mercato americano, surplus commerciale “eccessivo” e strategicità per l’amministrazione Usa, che fa rendere desiderabile la rinazionalizzazione produttiva – i ricercatori di viale dell’Astronomia concludono che i settori più a rischio sono chimica e farmaceutica. Seguiti da mezzi di trasporto, macchinari e alimentari e bevande. Quanto alle aree geografiche maggiormente coinvolte, in prima linea per valore assoluto dell’export ci sono Lombardia, Emilia Romagna, Toscana e Veneto, ma sono Liguria (causa presenza della cantieristica) e Molise (con l’automotive e la chimica) a registrare il maggior peso delle esportazioni verso gli Usa rispetto al totale regionale.
Le cifre in ballo – Ipotizzare cifre, come anticipato, è arduo. La società di ricerca Prometeia ha calcolato che, a fronte di dazi per 1,9 miliardi versati lo scorso anno dalle aziende italiane che esportano in Usa, con tariffe generalizzate del 25% il conto salirebbe addirittura a 18,6 miliardi. Gli analisti però non lo ritengono probabile: credono che, dopo le dichiarazioni bellicose, Trump potrebbe accontentarsi di colpire automotive e metalli. In quel caso il conto si fermerebbe a 4 miliardi. Cia-Agricoltori Italiani paventa che possa “saltare l’11% di tutto l’export agroalimentare italiano”. Federmeccanica fa sapere che se le tariffe sull’automotive salissero anche “solo” al 9,8%, l’equivalente di quelle Ue sulle auto Usa, il comparto vedrebbe quintuplicare i costi a 447 milioni.
Effetti a catena – Ma l’impatto della guerra commerciale di Trump sui gruppi italiani ovviamente non finisce qui. Per l’italo-francese Stellantis, reduce da un pessimo 2024 con ricavi e utili crollati, i dazi a Canada e Messico – ora precipitosamente sospesi per un mese sull’automotive – potrebbe comportare un crollo del risultato operativo per ogni singola auto del 40%, secondo Bloomberg Intelligence. Se si allarga lo sguardo, poi, c’è anche da considerare che secondo molti analisti dazi generalizzati potrebbero mandare gli Usa in recessione entro 12 mesi. Con effetti a catena sui consumi e un conseguente ulteriore contraccolpo sull’export dal Vecchio continente.
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