Gli strani conti di Trump sui dazi Ue al 39% per gli Usa e il caso delle olive spagnole

Cosa c’è dietro alle percentuali sbandierate dal presidente degli Stati Uniti. Tra tariffe mirate e dumping, per capire la complessa partita commerciale in atto tra le due superpotenze economiche

Apr 3, 2025 - 12:30
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Gli strani conti di Trump sui dazi Ue al 39% per gli Usa e il caso delle olive spagnole

Roma, 3 aprile 2025 – I conti non tornano. O per lo meno, serve una certa dose di creatività per farli quadrare. Della tabella sui dazi (piuttosto analogica) mostrata nella serata italiana da Donald Trump al mondo, non è passato inosservato il dato sulle “reciproche tariffe” della Ue. I dazi europei sui prodotti Usa, secondo il presidente americano, sarebbero al 39%, comprensivi di “manipolazioni valutarie” e “barriere commerciali”. 

Nel calcolo il tycoon inserisce una media ponderata (non si sa bene in base a cosa) delle effettive tariffe doganali europee, poco sopra il 10%, attribuisce qualche punto percentuale alle manovre sull’euro, che a suo dire avvantaggerebbero i prodotti Ue, e aggiunge il valore dell’Iva che, a seconda dei Paesi membri, pesa dal 20 al 25%. Il tutto sommato porta quel 39% stampato in lavagna. Peccato che l’Imposta sul Valore Aggiunto poco abbia a che fare con la questione doganale, dal momento che colpisce anche merci e servizi che vengono erogati internamente all’Europa. Sì, viene applicata su un dato che comprende anche il balzello sulle importazioni, ma non costituisce una barriera discriminatoria per chi arriva da fuori mercato e, soprattutto, non può essere inserita con quella percentuale nell’ipotetico calcolo. Non pesa, insomma, per il 20-25%. 

La mappa dei dazi imposti da Trump: per la Ue tariffe del 20%

Il dumping e i dazi mirati

Ma il discorso non si ferma alla mera percentuale. Per capire la disputa commerciale fra Europa e Stati Uniti bisogna entrare nel merito dei dazi mirati e del dumping.

Prendiamo il settore delle automobili, a esempio. Vero è che fino a ieri sulle auto europee gli americani imponevano tariffe al 2,5%, un quarto del 10% applicato dalla Ue. Ma lo è altrettanto che dal conto erano esclusi i veicoli commerciali leggeri, per cui dal 1964 vige la cosiddetta “Chicken Tax” al 25%.

Questo perché mentre gli Stati Uniti non temono la concorrenza sulle berline, mercato principe in Europa ma marginale Oltreoceano, sono ben più interessati a proteggere il segmento dei pick up. Una strategia di dazi selettivi che si riflette, per citare un altro esempio, anche sui prodotti agricoli.

Donald Trump holds con la tabella dei
TOPSHOT - US President Donald Trump holds a chart as he delivers remarks on reciprocal tariffs during an event in the Rose Garden entitled "Make America Wealthy Again" at the White House in Washington, DC, on April 2, 2025. Trump geared up to unveil sweeping new "Liberation Day" tariffs in a move that threatens to ignite a devastating global trade war. Key US trading partners including the European Union and Britain said they were preparing their responses to Trump's escalation, as nervous markets fell in Europe and America. (Photo by Brendan SMIALOWSKI / AFP)

Perché gravare di balzelli soia e cereali, su cui i prodotti Usa sono decisamente più competitivi in termini di prezzo rispetto a quelli europei? Anzi, ci si guarda bene da irritare il competitor, già sul piede di guerra per la politica del Farm Bill, il piano di sussidi federali (aggiornato ogni sei anni circa) che permette alle aziende agricole americane di vendere a prezzi stracciati i loro prodotti in giro per il mondo. In proposito, Bruxelles accusa di dumping gli Usa, ovvero di concorrenza sleale: a quei prezzi, l’export americano rischia di mandare gambe all’aria un intero settore fra i 27. E non solo, perché gli Stati Uniti invadono anche i mercati dei Paesi in via di sviluppo. La Ue ha più volte denunciato la strategia americana all’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC), sostenendo che i sussidi distorcono il mercato globale e danneggiano gli agricoltori europei.

Se sui cereali gli Usa praticano quindi una politica tariffaria apparentemente liberale, non si può dire lo stesso su altri settori in cui la competizione è più serrata e sofferta.  Nel 2019 è stata proprio l’amministrazione Trump a imporre un dazio del 25% su vini francesi, formaggi italiani e spagnoli, e altri prodotti agroalimentari europei in risposta ai sussidi dell’Ue alla Airbus, considerati da Washington una forma di concorrenza sleale contro Boeing.

Insomma, tra Europa e Usa la partita commerciale è molto complessa e sembra azzardato generalizzare o ridurre il tutto a quel confronto 39%-20% che appare sulla lavagna di Trump. 

Il caso delle olive spagnole

Emblematico per spiegare le tensioni e il ‘pan per focaccia’ che guida la battaglia commerciale Usa-Ue è il caso delle olive spagnole. 

Nel 2018, gli Stati Uniti hanno imposto dazi anti-dumping e compensativi sulle importazioni di olive mature dalla Spagna, sostenendo che i produttori spagnoli beneficiavano di sussidi illegali da parte di Bruxelles. Un po’ la querelle, invertita, che ha sollevato l’Europa sul Farm Bill. 

Ad azione ha corrisposto reazione: la Ue ha contestato questa misura presso l’OMC che nel novembre 2021 le ha dato ragione, stabilendo che le tariffe imposte da Washington violavano le regole del commercio internazionale. Gli Usa hanno quindi modificato le loro misure, seppur solo parzialmente. E Bruxelles nel 2023 ha riaperto il dossier, invocando un adeguamento completo alle norme OMC.

Insomma, quando c’è da ‘proteggere’ gli Stati Uniti non si tirano certo indietro. Ben prima di Trump e delle sue tabelle.