“Francesco Grande Aracri uno ‘ndranghetista moderno che penetrò il territorio emiliano con modalità più morbide e insidiose”

Nel 2024 la Corte d’Appello di Bologna ha inasprito la pena a 24 anni per il fratello anziano del boss Nicolino: le motivazioni dei giudici, depositate in queste giorni, spiegano il ruolo di comando. Intanto si attende il nuovo appello per gli omicidi del 1992 e l’avvio del procedimento a carico dei due ex sindaci di Brescello L'articolo “Francesco Grande Aracri uno ‘ndranghetista moderno che penetrò il territorio emiliano con modalità più morbide e insidiose” proviene da Il Fatto Quotidiano.

Feb 19, 2025 - 08:53
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“Francesco Grande Aracri uno ‘ndranghetista moderno che penetrò il territorio emiliano con modalità più morbide e insidiose”

Francesco Grande Aracri, fratello anziano del boss Nicolino, era stato condannato a 19 anni e 6 mesi nel processo Grimilde per appartenenza alla cosca di ‘ndrangheta operante in Emilia-Romagna. Nel 2024 la Corte d’Appello di Bologna aveva inasprito la pena a 24 anni e il perché si apprende dalle motivazioni depositate in questi giorni. Le diverse valutazioni ruotano attorno al carisma criminale di Francesco Grande Aracri, residente dal 1988 nel comune di Brescello in provincia di Reggio Emilia. Per i giudici di primo grado si tratta semplicemente di un membro della cosca; per la Corte d’Appello aveva invece un ruolo di comando, sufficientemente provato da configurare l’aggravante dell’art. 416bis che punisce più severamente chi “promuove, dirige o organizza” l’associazione mafiosa.

In sostanza era un capo, come sostenuto nel ricorso in Appello dalla Direzione Investigativa Antimafia di Bologna. Riecheggiano nelle motivazioni le parole pronunciate dalla pm Beatrice Ronchi, durante la requisitoria finale nel primo grado del processo: Francesco Grande Aracri “è la ‘ndrangheta in Emilia. Non è mai stata fatta una graduatoria tra i nomi di spicco della cosca cutrese nel distretto emiliano romagnolo” aggiungeva, “ma se si facesse emergerebbe che è il vertice massimo e da decenni tesse le fila e detta le strategie della ‘ndrangheta”.

Giudizio che la Corte d’Appello sembra condividere, elencando i fatti a sostegno e giudicando coerenti le affermazioni dei collaboratori di giustizia. Angelo Salvatore Cortese lo dipinge come un capo che dopo la condanna nel 2003 al processo Edilpiovra sta nella penombra e manda avanti figli e nipoti: “Cosa che fanno tutti gli ‘ndranghetisti di un certo spessore”. Massimo Colosimo e Paolo Signifredi non hanno dubbi: “Francesco Grande Aracri comanda anche gli altri capi”, dice il primo, “era lui che decideva e comandava nel territorio emiliano” aggiunge il secondo. Giuseppe Giglio, la mente economica della cosca diventato collaboratore nel processo Aemilia, avrebbe fatto patti col diavolo pur di non chiudere un contratto in perdita. Eppure, quando nasce un contenzioso per una permuta immobiliare, è disposto a pagare con soldi contanti anche se non dovuti, perché “lo chiedeva Grande Aracri Francesco, quindi…”. Dello stesso tenore le dichiarazioni degli altri collaboratori Salvatore Muto e Antonio Valerio.

Con astuzia, tenendo comportamenti di basso profilo, Francesco Grande Aracri dal 2004 in poi “ha continuato a penetrare con le sue società di costruzioni il tessuto socio-politico-economico del territorio emiliano” e in particolare di Brescello, sciolto per mafia nel 2015 quando era guidato dal sindaco Marcello Coffrini, “da sempre vicino a Grande Aracri Francesco assieme al padre Ermes Coffrini” aggiunge la sentenza. Il fratello anziano di Nicolino è dunque “uno ndranghetista moderno, teso a operare con modalità più morbide, sofisticate e insidiose… come la falsa fatturazione. Cauto e prudente nelle frequentazioni, attento a non sovraesporsi”. Assieme alla faccia buona sapeva però mostrare anche quella cattiva, come quando si infuriò durante la seconda guerra di mafia nel 2004 con Salvatore Liperoti, reo di avere abbandonato la Calabria nel periodo cruciale in cui si stava organizzando l’omicidio del boss rivale Antonio Dragone.

Altro elemento importante per la Corte d’Appello: Francesco Grande Aracri ha allevato, in senso mafioso, i figli e in particolare Salvatore, che spesso agiva in rappresentanza del padre. “Ma nella gerarchia mafiosa” dice la Corte, “il rappresentato” non può stare sotto a chi lo rappresenta. Quando Salvatore racconta al padre che l’accordo con i committenti albanesi, per otto muratori mandati a lavorare in Belgio, prevede una paga di 14 euro l’ora (in nero) di cui 4 resteranno ai Grande Aracri, Francesco dice al figlio che il guadagno è troppo basso. Salvatore si adegua e a rimetterci sono i lavoratori: “Pagheremo gli operai soltanto 8 euro l’ora”. Con il “caporale” Davide Gaspari, che gestisce queste persone, Francesco sbotta: “Ohi, Dà! Ma tu pensi che ‘sto gioco lo facciamo per fare mangiare gli operai?” Una cultura dello sfruttamento criminale del lavoro che non è nuova in Emilia-Romagna, perché le testimonianze sull’utilizzo di giovani carpentieri “in nero” da parte dei “mammasantissima” originari di Cutro risalgono almeno al 1970.

Il comune di Brescello tiene banco in questi giorni presso il tribunale di Bologna anche per altre due vicende processuali di grande rilevanza: il nuovo appello per gli omicidi del 1992 e l’avvio del procedimento a carico dei due ex sindaci Marcello Coffrini e Giuseppe Vezzani. Il processo sugli omicidi è una telenovela senza fine. Riguarda la guerra di ‘ndrangheta che insanguinò la Pianura Padana e la Calabria alla fine del secolo scorso. A Reggio Emilia furono uccisi i capi delle due famiglie “scissioniste”, come le chiama il collaboratore Antonio Valerio, dei Vasapollo e dei Ruggiero. In primo grado nel 2020 furono assolti tre dei nuovi accusati: Antonio Ciampà, Antonio Le Rose e Angelo Greco. Condannato all’ergastolo il solo Nicolino Grande Aracri come mandante. L’appello dell’anno successivo ribaltò la sentenza: ergastolo per tutti e quattro. Ma la Corte di Cassazione annullò quella decisione ravvisando la necessità di una rinnovazione istruttoria e dispose il nuovo Appello ora in corso. Un vizio processuale, in sostanza, frutto anche della confusione interpretativa generata dalle nuove norme di procedura penale. In questi giorni è iniziata la deposizione del collaboratore di giustizia Antonio Valerio, che arrivò a notte fonda a Brescello travestito come gli altri membri del commando da Carabiniere. Suonarono intimando alla moglie di far scendere Ruggiero per un controllo, poi lo uccisero con le pistole sulla porta di casa.

I due ex sindaci del Comune Coffrini e Vezzani, assieme ad altri dieci indagati, stanno invece affrontando l’udienza preliminare davanti al giudice Roberta Malavasi, che dovrà decidere se rinviarli a giudizio, come chiesto sempre dalla pm Beatrice Ronchi, o proscioglierli. Sono accusati di avere aiutato la consorteria mafiosa insediata a Brescello, tutelandone gli interessi, aiutandola a rafforzarsi, consentendone l’affermazione e l’espansione. Tutte cose che un sindaco non dovrebbe fare.

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