Ermal Meta: “Dobbiamo prendere consapevolezza del fatto che dentro di noi c’è un cane che dorme”

Ermal Meta sul palco di Roma ha deciso di usare la sua voce per una riflessione lucida e coraggiosa sulla violenza contro le donne L'articolo Ermal Meta: “Dobbiamo prendere consapevolezza del fatto che dentro di noi c’è un cane che dorme” proviene da imusicfun.

Apr 6, 2025 - 18:11
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Ermal Meta: “Dobbiamo prendere consapevolezza del fatto che dentro di noi c’è un cane che dorme”

Un lungo applauso ha avvolto Ermal Meta sul palco dell’Auditorium Parco della Musica di Roma; il cantautore ha deciso di usare la sua voce per una riflessione lucida e coraggiosa sulla violenza contro le donne, che ha scosso il pubblico e acceso un faro su un tema urgente quanto scomodo.

Ermal Meta, da anni tra i membri più attivi della Fondazione Una Nessuna Centomila – presieduta da Fiorella Mannoia – ha scelto di non restare in silenzio. Dal palco, ha condiviso parole profonde e scomode, capaci di mettere a nudo la complessità maschile in un mondo ancora segnato da patriarcato, sopraffazione e ingiustizia.

«In quanto uomo sono spaventato dal mostro che dorme dentro di me. Perché io so che c’è, così come lo sente dentro di sé ogni uomo», ha detto con una sincerità disarmante.

Un’ammissione che non suona come colpa, ma come consapevolezza. Ermal non punta il dito verso gli “altri uomini”, ma si mette in discussione, nel tentativo – autentico – di rompere quel muro di omertà e distanza che troppo spesso accompagna il discorso pubblico sulla violenza di genere.

«Dobbiamo prendere consapevolezza del fatto che dentro di noi c’è un cane che dorme. Il più delle volte è un lupo ed è spaventoso», ha proseguito. «Attraverso l’educazione, l’amore, il dialogo, il più delle volte riusciamo a tenerlo a bada. Ma c’è. Inutile negarlo: c’è».

Con queste parole, Ermal ha offerto una chiave di lettura alternativa e profonda: la violenza non è solo un gesto estremo, ma una possibilità latente, culturale, che può vivere in ogni uomo. Ed è solo riconoscendola che si può evitare di caderne vittima o complice.

L’intervento dell’artista si è fatto ancora più toccante quando ha parlato della figlia Fortuna, nata a luglio 2024:

«Molti di voi conoscono la mia storia. Io ci sono passato, quando ero piccolo. Però adesso non sono più piccolo. Adesso ho una figlia piccola che è la luce dei miei occhi. La mia domanda è: “Ma io cosa posso insegnare a questa bambina? Ed è giusto insegnarle di non avere paura?”».

La riflessione si fa esistenziale. Perché se è vero che l’educazione e il dialogo possono arginare la violenza, è altrettanto vero che viviamo in una società in cui, ancora troppo spesso, la paura è necessaria per sopravvivere. Ermal non dà risposte facili, ma pone domande che interrogano ogni padre, ogni uomo, ogni essere umano.

Il cantante ha poi affrontato un altro nodo centrale del dibattito: la colpevolizzazione della vittima.

«Un’altra cosa che mi spaventa è quando la vittima viene vittimizzata due volte. Quando la colpa è sempre sua. In quale percorso della nostra società si è interrotto qualcosa, dove si è spaccato qualcosa per colpevolizzare chi sta soffrendo? Per addossargli anche questo peso?».

È una ferita aperta, quella che Ermal descrive: la società che invece di accogliere e proteggere chi subisce violenza, finisce per isolarlo ulteriormente. Un meccanismo di difesa tossico, figlio di secoli di dominio patriarcale, che scarica il peso del reato su chi lo subisce, mentre chi lo commette resta spesso impunito o giustificato.

Ma il momento forse più potente del suo discorso è quello in cui l’artista riflette sul potere delle parole:

«Le cose che più mi ricordo con dolore della mia vita non sono schiaffi, non mi hanno mai lasciato tanti lividi, ma sono le parole che più mi hanno accoltellato, che più mi hanno fatto sanguinare. Partiamo da quelle».

Un appello a riconoscere che la violenza non è solo fisica. Le parole possono ferire in modo permanente, soprattutto quando veicolano disprezzo, umiliazione, giudizio. E sono proprio quelle, troppo spesso, a preparare il terreno per gesti irrimediabili.

Infine, Ermal ha voluto parlare direttamente agli uomini.

«Tenete gli occhi aperti, un occhio verso di voi e un occhio verso quella donna lì, quella ragazza, quella bambina lì. Perché tutti insieme possiamo fare rete. E la rete è il simbolo del salvataggio».

Non un’accusa, ma una chiamata all’ascolto e alla responsabilità. Un invito a guardarsi dentro, a non abbassare mai la guardia, a proteggere e proteggersi, nel rispetto e nella consapevolezza di ciò che si è e si può diventare.

Con questo discorso, Ermal Meta ha dato un esempio concreto di cosa può significare essere uomini oggi. Non invincibili, non dominanti, non infallibili. Ma presenti, vulnerabili, disposti a fare i conti con le proprie ombre. Solo così, forse, sarà possibile costruire un mondo in cui la violenza contro le donne non sia più una tragedia quotidiana.

E in questo mondo, l’arte, le parole, la musica e la verità di chi non ha paura di mostrarsi fragile, possono diventare la rete che salva.

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