Dimissioni e potere, da Bergoglio a Delmastro
Il corsivo di Battista Falconi.

Il corsivo di Battista Falconi
Si parla delle possibili dimissioni di Papa Bergoglio con una preoccupazione molto inferiore allo sgomento che fu causato dalla scelta del suo predecessore di cedere il soglio pontificio. Ormai, dopo Ratzinger, l’ipotesi che il Pontefice lasci il posto quando non si sente più in grado di occuparlo appare tutto sommato plausibile. Se Francesco, malauguratamente, non dovesse rimettersi prontamente e pienamente, potrebbe ritirarsi nel ruolo di emerito e far condurre la barca petrina a un successore più in forma.
Potremmo ipotizzare persino, in un futuro non troppo remoto, che nelle pieghe del diritto d’Oltretevere si apra qualche spiraglio per stabilire incarichi a termine, se non l’elezione di un laico o addirittura di una donna? Chissà… La lentezza plurisecolare con cui la Chiesa ha sempre metabolizzato le proprie innovazioni e gli aggiornamenti, consapevole dell’insegnamento evangelico di essere “nel mondo” ma non “del mondo”, vacilla in un mondo nel quale paci e guerre, destini dei popoli e degli Stati, sono soggette alla tempesta perfetta di dichiarazioni e decisioni sempre più roboanti, sparate a raffica con la velocità delle mitragliate social. Ci pare di essere sottoposti a un elettroshock, per usare un termine efficace, a un tilt, un corto circuito permanente.
La clamorosa scelta di Benedetto da un lato e le sparate di Trump dall’altro stanno però mettendo in grave crisi, come già ci è capitato di avvertire, la nozione stessa di potere. Un tempo l’accezione metafisica e materiale di questo termine coincidevano, credevamo nella taumaturgia regale dei re (tema su cui si sono appassionati i “nuovi storici” francesi), la deferenza verso le cariche pubbliche era assoluta perché si credeva nel potere e in chi lo incarnava con un misto di timore, invidia, piaggeria. Oggi, in un battibecco surreale che sublima una situazione drammatica, il “popolo” chiede al capo della Protezione civile cosa accadrebbe con un terremoto di alta magnitudo, per ricevere in risposta dallo “Stato” la mera constatazione: “Ci sarebbero crolli e morti”.
Oggi uomini e donne delle istituzioni e della politica sono e sembrano sempre meno potenti (l’equiparazione tra i generi ha avuto un ruolo rilevante nel processo, per quanto possa essere scorretto dirlo). Stretti da un lato tra finanza e tecnologia, che sono impersonali ma fortissimi (potremmo porre la questione proprio in termini di “forza contro potere”), dall’altro svuotati del proprio fascino a causa della laicità dei costumi e dalla prevalenza della rappresentazione sulla realtà, istituzioni e politica sono e sembrano sempre più fragili, come noi. La scelta del diretto interessato e della premier di rigettare la richiesta di dimissioni per il sottosegretario Delmastro, condannato in primo grado, appare in tal senso un residuale segnale di resistenza conservativa. Che, beninteso, si contrappone a quello che la magistratura cerca ostinatamente di lanciare contro l’esecutivo per difendere la propria intoccabilità.