Digitale: il grande nemico reale è la complessità non governata
La crescente complessità dei sistemi tecnologici, in particolare quella non gestita, rappresenta una delle principali minacce per la sicurezza digitale e per l'intero ecosistema tecnologico. Un esempio lampante di questa vulnerabilità è rappresentato dal caso Microsoft/Crowdstrike, che dimostra quanto la complessità non controllata possa generare rischi sistemici. In un contesto dove le risorse economiche e le competenze non sono sempre all'altezza della sfida, le aziende tendono a delegare la gestione della sicurezza informatica a terzi, a volte incapaci di fronteggiare anche le problematiche più comuni, come la gestione di un server Windows. Il cuore del problema è che, nel mondo commerciale, la sicurezza e la qualità del software sono spesso considerate investimenti improduttivi, ridotti al minimo per favorire i margini di profitto. Questo approccio porta a sistemi sempre più fragili e complessi, con il rischio di fallimenti catastrofici, che potrebbero non solo danneggiare singole aziende ma interrompere su scala globale operazioni fondamentali come il commercio, la logistica, o persino le reti elettriche. La soluzione a questa spirale rischiosa potrebbe risiedere nell'adozione del principio della minima complessità necessaria, che propone di ridurre ogni sistema e servizio alla complessità minima sufficiente per adempiere alle sue funzioni. In questo modo, si potrebbero migliorare la sicurezza e la sostenibilità dei sistemi, riducendo il rischio di danni catastrofici. Non si tratta di un passo indietro, ma di una progettazione più intelligente che riconosce i limiti strutturali del nostro attuale modello produttivo e risponde con l'equilibrio come strumento di resilienza.

La crescente complessità dei sistemi tecnologici, in particolare quella non gestita, rappresenta una delle principali minacce per la sicurezza digitale e per l'intero ecosistema tecnologico. Un esempio lampante di questa vulnerabilità è rappresentato dal caso Microsoft/Crowdstrike, che dimostra quanto la complessità non controllata possa generare rischi sistemici. In un contesto dove le risorse economiche e le competenze non sono sempre all'altezza della sfida, le aziende tendono a delegare la gestione della sicurezza informatica a terzi, a volte incapaci di fronteggiare anche le problematiche più comuni, come la gestione di un server Windows. Il cuore del problema è che, nel mondo commerciale, la sicurezza e la qualità del software sono spesso considerate investimenti improduttivi, ridotti al minimo per favorire i margini di profitto. Questo approccio porta a sistemi sempre più fragili e complessi, con il rischio di fallimenti catastrofici, che potrebbero non solo danneggiare singole aziende ma interrompere su scala globale operazioni fondamentali come il commercio, la logistica, o persino le reti elettriche. La soluzione a questa spirale rischiosa potrebbe risiedere nell'adozione del principio della minima complessità necessaria, che propone di ridurre ogni sistema e servizio alla complessità minima sufficiente per adempiere alle sue funzioni. In questo modo, si potrebbero migliorare la sicurezza e la sostenibilità dei sistemi, riducendo il rischio di danni catastrofici. Non si tratta di un passo indietro, ma di una progettazione più intelligente che riconosce i limiti strutturali del nostro attuale modello produttivo e risponde con l'equilibrio come strumento di resilienza.