Dazi, Trump: resistiamo. Al Tesoro c’è aria d’addio. In piazza cortei anti Donald
Wall Street e le altre borse a picco, il segretario Bessent è pronto a lasciare. Indiscrezione di Msnbc: "Vuole andare alla Fed, danneggiata la sua reputazione".

A colpi di mazza. La meccanica muscolare di Donald Trump si estende dai dazi ai campi di golf. E il paradosso che possa andare più facilmente in buca come golfista dilettante che come giustiziere commerciale si fa già largo in ambiti insospettabili. Per esempio, la squadra di governo. Il primo a sfogarsi? Il segretario del Tesoro Scott Bessent. La conduttrice di Msnbc Stephanie Ruhle, ex dirigente di Wall Street, offre questa bomba: "Le mie fonti dicono che il presidente non è vicino a Bessent né lo ascolta", quindi Bessent "sta cercando una via di fuga per provare ad arrivare alla Fed", perché la vicenda dazi "sta davvero danneggiando la sua credibilità".
Bessent, 521 milioni di dollari di patrimonio personale costruito gestendo grandi fondi di investimento, proprio non ce la fa a digerire la "matematica assurda dei dazi" di Trump, rivelatrice – secondo altri critici – di una "comprensione da asilo nido" del commercio internazionale. Forse anche così si spiega il suo immediato invito ai Paesi stranieri, via Cnn, a "fare un bel respiro e non reagire immediatamente": quasi una richiesta (tra le righe) di non peggiorare gli esiti dell’avventata mossa trumpiana. Anche il feeling ai minimi storici tra Trump e il presidente della Fed Jerome Powell, accusato dalla Casa Bianca di non tagliare abbastanza velocemente i tassi, alimenta la suggestione Bessent. Powell scade infatti tra un anno, a maggio 2026, ma non deve sentirsi così tranquillo. La sua ultima dichiarazione, "intendo servire per tutto il mio mandato", sembra anzi confermare i rumori di fondo.
Su Truth, Trump ammette che il cambio di politiche commerciali "non sarà facile", ma invita a "tenere duro" perché "vinceremo". E assicura – a chi ci crede – che il risultato finale della sua "rivoluzione economica" sarà "storico", nonostante i 5mila miliardi di dollari in due giorni bruciati da Wall Street. Per scovare un dato peggiore, bisogna risalire ai giorni del Covid. La batosta degli indici azionari ha un solo significato: chi vive ogni giorno per fare soldi non condivide l’ottimismo di Trump in alcun modo. E il fatto che nella squadra presidenziale duramente provata dallo scandalo delle chat di guerra su Signal (diventate pubbliche con conseguente esposizione al ridicolo di tutti i vertici della Difesa) ora si manifestino le prime crepe sul fronte delle politiche economiche, è un’altra spia accesa. Non basta. Il senatore repubblicano Ted Cruz mette in guardia il partito contro un potenziale "bagno di sangue" nelle elezioni di midterm del 2026 qualora i dazi mandassero l’economia Usa in recessione. Perché se scoppiasse una vera e propria guerra commerciale, e i dazi trumpiani – così come qualsiasi misura di ritorsione sui beni Usa – rimanessero a lungo termine, un destino "terribile" si abbatterebbe sugli Stati Uniti (dice Cruz nel suo podcast).
L’ondata di manifestazioni pubbliche anti dazi – oltre 1.200 – andate in scena ieri in tutti gli Stati Uniti e, in parallelo, dal Canada al Messico, dalla Germania alla Francia, dalla Gran Bretagna al Portogallo e all’Italia, testimonia massima tensione politica. Corteo iconico a Washington. Cori anti Trump e tanti striscioni: "Aren’t you tariffied?" ("Non siete spavendazi?"), "Wake up and smell the coup" ("Svegliatevi e sentite l’odore del golpe"). O ancora: "Trump golfs while Usa burns" ("Trump gioca a golf mentre gli Stati Uniti bruciano"). È un segnale: il risveglio dell’elettorato dem espande la rabbia dell’America globalista e anti Maga. Intanto la Francia chiede al Regno Unito di "coordinare attentamente le posizioni nelle discussioni con Trump". Sarà dura, visto che Londra ha dazi dimezzati al 10% contro il 20% dei Paesi Ue.