Dall’America post-Trump al 2040, un’apocalisse fin troppo reale: “Diluvio” di Markley e l’ineluttabile tracollo del nostro mondo
Dall'autore di "Ohio" un mastodontico romanzo-mondo: riscaldamento globale, cataclismi, nazionalismi, terrorismo, tecnologie di controllo, intelligenza artificiale, fame energetica e vera fame. Su tutto e tutti incombe la pioggia che è assieme sventura e promessa L'articolo Dall’America post-Trump al 2040, un’apocalisse fin troppo reale: “Diluvio” di Markley e l’ineluttabile tracollo del nostro mondo proviene da Il Fatto Quotidiano.

Di fronte alle tante grandezze del colossale Diluvio di Stephen Markley, la più insopportabile è la sensazione di struggimento che si prova quando si chiude l’ultima delle 1293 pagine di questo mastodontico romanzo (Einaudi, 26 euro). Struggimento verso il mondo, struggimento verso i personaggi che animano la storia, struggimento verso l’autore e la titanica dose di pietà che trasuda dalla sua opera. Struggimento soprattutto verso se stessi, come una sensazione di improvvisa orfanezza dopo lunga condivisione.
Ben lontano dalla definizione classica di romanzo distopico, il diluvio di Markley rimanda più a un Testamento moderno: rivelazione laica e assieme parabola, i 5 libri che compongono il tomo sono una proiezione perfettamente coerente della nostra epoca spinta fino al limite estremo dello sguardo, laddove la conoscenza si annebbia e si entra nel campo dell’ipotesi, forse della speranza.
E del resto la percezione a suo modo spirituale che pervade il libro – tra vecchi dei dimenticati e nuovi idoli – si contrappone al racconto implacabile della successione di eventi che dai nostri giorni ci spinge fino agli anni 40 del secolo che viviamo: riscaldamento globale, cataclismi, nazionalismi, terrorismo, tecnologie di controllo, intelligenza artificiale, fame energetica e vera fame. Di fronte c’è lo slittamento globale dalla democrazia alla autocrazia e da questa al caos, inteso più come ineluttabile validazione del II principio della termodinamica che libero arbitrio andato a ramengo. Mentre su tutto e tutti incombe la pioggia che è assieme sventura e promessa.
Dal diluvio e dalla sua accezione mutevole è facile deviare verso ben altri esempi di libro-mondo, definizione assai riduttiva ma necessaria che appare in quarta di copertina. Il primo che sovviene è certamente Cecità di José Saramago. Ma se nel capolavoro del narratore portoghese l’umanità cieca e ridotta all’anonimato è purgata per qualcosa di non esplicitato – metafora di tutti gli errori umani – e infine mondata dalla pioggia, il diluvio di Markley risulta di una tangibilità a tratti asfissiante: impregna e marcisce pagina dopo pagina, facendo così tanti nomi e cognomi che viene da chiedersi come sia stato possibile pubblicare il libro senza passare da un dedalo di tribunali. A questo si aggiungono dati concreti, fisica, fatti, pensieri, colpe, sguardi assenti e ambizioni smisurate, spirito di conservazione e nonsenso: nell’opera di Markley tutto si tiene, tutto è reale. Siamo noi che camminiamo incontro al nostro futuro.
Come già nel predecessore Ohio – che fu meritato caso editoriale durante la pandemia – la trama è organizzata attorno a cerchi concentrici che si stringono progressivamente fino a strozzare il lettore in una finale intrecciato. Niente di particolarmente nuovo: così si articolano i romanzi di Jonathan Franzen, al cui realismo isterico Markley strizza l’occhio di tanto in tanto. Ma più che all’autore di Libertà – con cui non mancherebbero interessanti similitudini – in Diluvio sembra di assistere a una moltiplicazione esponenziale di America Oggi di Robert Altman. Qui l’America è quella ampiamente sottovalutata del post Trump, mentre l’oggi è il limite estremo di un orrido ecologico al fondo del quale c’è la disintegrazione del genere umano. In questo contesto Markley mette in scena personaggi tutt’altro che paradigmatici. Esiste il bene, ma non esistono i buoni: l’ambientalista egocentrica, il fidanzato imbelle, il climatologo depresso, il burocrate insensibile, la pubblicitaria avida, la terrorista-madre-single, l’antieroe tossicodipendente. Tutti insieme percorrono il tempo alla ricerca di un senso, una soluzione o anche solo una fine, mentre passo dopo passo il mondo attorno a loro muta, si corrode, si bagna e si secca in una escalation che immaginata solo 20 anni fa sarebbe sembrata grottesca e ora appare invece perfettamente realistica.
E qui sta la seconda grandezza del romanzo di Markley: trascinare il lettore nell’urgenza climatica e fargliene sentire sulla pelle le conseguenze, un passo alla volta, ben più di quanto siano in grado di fare gli appelli e le istanze che viviamo nel reale. Il cambiamento non è qualcosa che sarà, ma che è già: sempre di più, sempre più irreversibile finché non esiste posto in cui ci si possa dire “in salvo”. Sorprende che tanta lucidità e tanto realismo non abbiano trovato maggior successo e risonanza, eccezion fatta per la “premonizione” degli incendi di Los Angeles (no spoiler) la cui descrizione potrebbe in effetti essere calata nella cronaca senza toccare una virgola. Ma altrettanto cogenti sono il ritratto dell’inazione politica e dell’azione smisurata delle lobby, i meccanismi parlamentari come quelli animali, le forze fisiche che agiscono sui ghiacciai dei poli come quelle psicologiche che muovono gli individui. Una “esattezza” che raramente si sporca nel corso del libro e che non pregiudica la trama in senso stretto.
Ché di un romanzo alla fine si tratta e ce ne si dimentica, tanto si è travolti dalla immedesimazione nelle sorti dei vari Io e dalla ricerca di un Noi. Sufficientemente forte da tenerci in vita. Grande abbastanza da tenerci insieme.
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