Cosa è cambiato dal 2020: "Siamo più impreparati". L’ira di medici e virologi
Il presidente degli Ordini: con il Pnrr pochi investimenti sul personale. Lo specialista Pregliasco: "Già dimenticate le precauzioni anti contagio".

È trascorso un lustro da quando, il 20 febbraio 2020, in Lombardia, a Codogno, nel Lodigiano, il tampone effettuato a Mattia Maestri, allora 37enne, è risultato positivo. Ma sono lontani i giorni in cui gli applausi scroscianti per i medici, "angeli" ed "eroi" dimenticati con la fine dell’emergenza, riecheggiavano dai balconi. "Dopo lo sforzo fatto durante il Covid ci saremmo aspettati una maggiore attenzione alla condizione dei medici. Noi abbiamo pagato un prezzo altissimo, non ci siamo tirati indietro – afferma Filippo Anelli, presidente della Federazione nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri (Fnomceo) –. Sono 383 i medici morti, non sono pochi, c’è stata una strage. Una strage legata alla generosità, al fatto che i medici sono rimasti in campo. Ci siamo dovuti inventare terapie talvolta anche molto eroiche per far fronte anche alla scarsità delle conoscenze in termini di trattamenti nei confronti del Covid. La professione si è impegnata e giustamente i cittadini l’hanno apprezzato perché in quel momento hanno visto la dedizione, la passione e la voglia di aiutare quanti erano stati colpiti dal virus. Per tutti era chiara la necessità di evitare un ritorno al passato. Ma il vero problema è che con il Pnrr si sono fatte delle scelte che sono andate principalmente verso un potenziamento delle infrastrutture sanitarie e ci siamo dimenticati i professionisti. E questo come abbiamo visto non ha funzionato. Già dal 2021 avevamo manifestato la necessità di puntare sui professionisti. Ma questa spinta, nonostante le nostre richieste, non c’è stata"
Sulla stessa linea il virologo dell’Università degli Studi di Milano, Fabrizio Pregliasco. "La stragrande maggioranza delle persone mi riconosce un ruolo positivo, ma io non vado più in metropolitana e non guardo i commenti degli hater. Il Covid ha fatto capire che noi possiamo solo inseguire la natura e che il confronto fra specialisti è il seme della ricerca, dei dubbi. È stato come gridare alla comunità ‘la scienza è nuda’ in un talk in prima serata". Ma dell’esperienza del Covid Pregliasco qualcosa salva: "Abbiamo una maggiore flessibilità nel rendere operative delle modifiche organizzative. Un maggiore interscambio di informazioni e dati a livello internazionale sperando che in Italia e Usa non abbiano la meglio le posizioni sovraniste sulla presunta inutilità dell’Oms. Salvo anche lo sdoganamento della telemedicina e lo sviluppo della metodologia dell’mRNA: una tecnologia che già conoscevamo ma alla quale mancava quell’ultimo miglio per renderla industriale".
Sul fronte vaccini – spiega Anelli – "abbiamo imparato che le innovazioni hanno permesso di uscire dalla pandemia. L’abbiamo testati su di noi. Allora avevamo una mortalità tra i colleghi di 40, 50, 60, 70 medici al mese e dopo quattro mesi la mortalità era azzerata. Ma c’è bisogno che i professionisti spieghino queste nuove innovazioni perché altrimenti prevale il rifiuto nei confronti della scienza".
Se dovesse verificarsi un’altra pandemia oggi avremmo le stesse criticità che si sono presentate nel 2020? "No, io direi che ne avremmo di più – spiega Anelli – perché il numero dei posti letto e dei professionisti è diminuito. Nel Ssn siamo scesi abbondantemente sotto i 100mila medici ed è calato il numero degli infermieri, e i medici di famiglia sono 37mila. Non abbiamo ancora degli standard di riferimento. Spero che il governo tenga conto che anche sul piano dell’industria alcune produzioni, come i dispositivi di protezione individuale, debbano essere considerate strategiche per il Paese: molti colleghi sono morti per la carenza di mascherine".
"Nel 2020 brancolavamo nel buio, non avevamo conoscenza delle caratteristiche del virus e a mio avviso – spiega Pregliasco – non c’era piano pandemico che tenesse. La situazione emergenziale dell’inizio ci ha spiazzati ma spiazzerà di nuovo dovesse capitare ancora. Di sicuro misure come il lockdown e l’uso delle mascherine scientificamente hanno dimostrato di essere utili, non risolutive, ma utili".
E dall’esperienza pandemica non abbiamo imparato neanche le buone abitudini. "Le precauzioni per evitare i contagi ce le siamo dimenticate – sottolinea Pregliasco –. Questo anche a causa di una comunicazione politica che le ha voluto azzerare. Si è detto ‘abbiamo esagerato’ e lo standard è diventato più basso di prima".