Con la recentissima sentenza in oggetto, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha dichiarato:
«1) L’articolo 10, paragrafo 2, lettera g), della direttiva 2008/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2008, relativa ai contratti di credito ai consumatori e che abroga la direttiva 87/102/CEE del Consiglio,
deve essere interpretato nel senso che:
il fatto che in un contratto di credito figuri un tasso annuo effettivo globale che si riveli sovrastimato poiché talune clausole di tale contratto vengono successivamente ritenute abusive, ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, e, pertanto, non vincolanti per il consumatore, non costituisce, di per sé, una violazione dell’obbligo di informazione enunciato in tale disposizione della direttiva 2008/48.
2) L’articolo 10, paragrafo 2, lettera k), della direttiva 2008/48
deve essere interpretato nel senso che:
il fatto che un contratto di credito elenchi un certo numero di circostanze che giustificano un aumento delle spese connesse all’esecuzione del contratto, senza tuttavia che un consumatore normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto sia in grado di verificare la loro insorgenza e la loro incidenza su tali spese, costituisce una violazione dell’obbligo di informazione enunciato nella citata disposizione, a condizione che detta indicazione sia idonea a compromettere la possibilità di tale consumatore di valutare la portata del suo impegno.
3) L’articolo 23 della direttiva 2008/48, letto alla luce del considerando 47 della stessa,
deve essere interpretato nel senso che:
esso non osta a una normativa nazionale che prevede, in caso di violazione dell’obbligo di informazione imposto al creditore ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 2, di tale direttiva, una sanzione uniforme, consistente nel privare il creditore del suo diritto agli interessi e alle spese, indipendentemente dal livello di gravità individuale di una simile violazione, a condizione che tale violazione sia idonea a compromettere la possibilità del consumatore di valutare la portata del suo impegno.»