Ci piace mostrarci paritari ma abbiamo tutti ancora troppi comportamenti misogini. Anche tra donne.
Ci piace ritrarci come femministi, che lottano per la parità di genere, che sostengono in linea puramente teorica che alle donne andrebbero riconosciuti stessi diritti e stesse possibilità di realizzazione professionale e personale. Ma, in fondo – e talvolta purtroppo senza che ci facciamo troppo caso –, mettiamo in atto una serie di comportamenti vessatori e denigratori nei confronti delle donne, non solo sul web. Non a caso, sui social la misoginia è la forma di intolleranza più diffusa. Anche tra donne stesse. L'articolo Ci piace mostrarci paritari ma abbiamo tutti ancora troppi comportamenti misogini. Anche tra donne. proviene da THE VISION.

Poco tempo fa mi ha colpito una frase dello scrittore Francesco Piccolo: “chi mi conosce superficialmente mi dà del femminista, chi mi conosce a fondo mi considera maschilista”. Credo che valga per tante e tanti di noi: ci piace ritrarci come femministi, che lottano per la parità di genere, che sostengono in linea puramente teorica che alle donne andrebbero riconosciuti stessi diritti e stesse possibilità di realizzazione professionale e personale. Ma, in fondo – e talvolta purtroppo senza che ci facciamo troppo caso –, mettiamo in atto una serie di comportamenti vessatori e denigratori nei confronti delle donne, non solo sul web.
Ancora oggi le donne le vogliamo dedite al sacrificio, discrete e remissive; mai ambiziose, mai seduttive, se possibile non desideranti. Mettiamo ancora il corpo di qualsiasi donna, esposta o meno, sempre al centro della nostra attenzione e dei nostri giudizi implacabili – ed è un tale automatismo che capita che una ministra, rinviata a giudizio per falso in bilancio, dichiari che l’opposizione voglia le sue dimissioni perché “porta il tacco dodici e ci tiene al suo fisico”, deformando la realtà in un modo che ha del surreale. Al di là del commento fuori luogo di Santanchè, però, capita effettivamente troppo spesso che si giudichino le donne per la loro desiderabilità o sensualità, ma molti di noi ancora faticano a mettersi in discussione per questo sessismo intrinseco.
La mappa sull’intolleranza, emersa grazie a uno studio dell’Osservatorio Vox, lo conferma: la misoginia è la forma d’odio più diffusa sul social X. Il 50% dei post che parlano di donne ha infatti un portato misogino, mentre ai gradini immediatamente più bassi troviamo quelli che esprimono antisemitismo (27%), xenofobia (11%), islamofobia (5%) e omotransfobia (4%). Si scopre poi che quasi la metà delle frasi misogine del web proviene proprio dalle donne, purtroppo ancora in prima linea quando si tratta di fomentare odio contro il genere femminile.
È un fatto: oggi qualche passo in avanti contro il maschilismo si è fatto. Basta dare un’occhiata alle pubblicità a dir poco oscene che, fino a una decina di anni fa, inneggiavano all’oggettificazione del corpo della donna in un modo che oggi, fortunatamente, non è più lecito, per lo meno non in modo manifesto. Ma non illudiamoci: un fitto strato di misoginia permane in ciascuno di noi, anche a livello inconscio, e lo agiamo penalizzando le donne in tutto e condannandole a una vita sociale insoddisfacente o, comunque, in qualche modo vessata e minacciata. Non siamo perciò solo poco libere di scegliere la professione che più ci piace, di studiare o di raggiungere posizioni apicali; ma anche di desiderare, di amare liberamente, di fare col nostro corpo quello che crediamo, di stare al mondo senza che il nostro aspetto, bello o brutto che sia – secondo quali canoni, poi, viene da chiedersi – sia continuamente oggetto di commenti, giudizi, di battute volgari e sessiste o dei peggiori insulti.
Come rivela la mappa sopracitata, la misoginia è la forma di discriminazione più diffusa e marcata sui social, e accade che nelle società già vessate da forme di razzismo, le donne subiscano anche l’odio in quanto appartenenti al genere femminile. Sembrerebbe che non abbiamo ancora sviluppato un senso di colpa collettivo verso le donne, proprio a partire dalle discriminazioni cui queste vengono sottoposte da sempre. Moltissime donne sono morte, e continuano a morire, a causa della mentalità misogina, ed è probabile che soltanto la loro facoltà – e dunque il potere – di generare altre vite le abbia preservate dal rischio, in passato, di un’uccisione di massa. Storicamente è però accaduto che per emarginare le donne, annientare il loro volere o eliminarle fisicamente, le si è accusate di qualcosa di infamante e pretestuoso, basti pensare – per citare solo uno degli innumerevoli esempi che si potrebbero fare – alla caccia alle streghe.
Come donne, purtroppo, manchiamo ancora di una vera e propria autocoscienza rispetto alla nostra condizione di categoria universalmente vessata. Sappiamo bene che renderci compatte nel combattere ogni forma di misoginia non risolverebbe questo problema in modo profondo o totale; è vero anche che, come donne, evitare di essere artefici dell’odio verso il genere femminile sicuramente aiuterebbe ad alleggerire, seppur non radicalmente, la nostra condizione nella società. Non ci sono dubbi: ad oggi scendiamo in piazza a manifestare e ci mostriamo spesso apertamente solidali con le altre, ma spesso soltanto quando queste sono già morte per mano di un uomo, al più se sono ancora vive ma vittime di stupro o grave violenza. C’è ancora però una fetta di donne capace di fare squadra e unirsi alle altre solo nella paura: e invece la tanto decantata solidarietà femminile – a volte strumentalizzata in discorsi retorici e superflui – dovrebbe radicarsi in ogni segmento della società. Bisognerebbe comprendere che quel problema culturale, e strutturale, che ci porta ad avere, in Italia, un femminicidio ogni settantadue ore o frequenti stupri e violenze sessuali, persino di gruppo, scaturisce anche dall’ipersessualizzazione della donna in ogni contesto sociale; dal fatto che il suo corpo, il suo grado di seduttività nonché il suo desiderio, la sua vita sessuale e le sue scelte nella vita affettiva, sono perennemente al centro di moltissimi commenti e giudizi fuori luogo e molto severi.
Ci sentiamo in diritto di colpevolizzare una donna se indossa abiti che, secondo un codice opinabile, sarebbero “troppo succinti” o “troppo scollati”. Continuiamo a colpevolizzare sistematicamente le donne perché, ai nostri occhi, risultano sempre “troppo”: troppo vecchie per, troppo giovani per. Addirittura troppo libere, in una risemantizzazione della parola che non è mai utilizzata con questa accezione in riferimento al maschio: se per “donna libera” intendiamo colei che non rientra in certi standard di prevedibilità sociale ed esistenziale, con l’espressione “uomo libero” continuiamo a riferirci a tutti coloro che non stanno dentro a un carcere. Oggi, purtroppo, non tutte abbiamo fatto lo scatto per comprendere che proprio noi donne possiamo, e dobbiamo, fare qualcosa per combattere la misoginia ogni giorno, e non solo quando si arriva alla violenza sessuale del branco o al femminicidio. Spesso, infatti, non ci rendiamo conto di quanto una parola denigratoria verso un’altra donna, di quanto un giudizio misogino in più, sui social ma anche nel quotidiano, tornerà indietro a tutte noi come un boomerang, allontanando ancora di più il giorno in cui saremo “libere” come gli uomini – nella vita professionale, sociale, affettiva, sessuale.
E quando ci riferiamo alla comunicazione misogina diffusa, non possiamo alludere solo alle chiacchiere da bar o ai segmenti più desolanti del web: anche il linguaggio della nostra politica, consolidatosi durante la Seconda Repubblica, si è prepotentemente connotato di sessismo, suscitando spesso più condivisione goliardica che autentico sdegno e riprovazione. Per riferirci a un evento recentissimo, si veda quanto condiviso dal sindaco di Terni Stefano Bandecchi, a proposito del manifesto di Ventotene che sul suo profilo social è diventato il manifesto di “Ventottenne”. L’ immagine condivisa ritrae una ragazza in abiti succinti e posa sexy e sotto la frase: “Il nostro manifesto ha qualcosa in più”, così offensiva che qualsiasi commento risulterebbe superfluo, come superflua sarà l’ennesima ondata di indignazione collettiva, che sarà smaltita in pochi giorni e senza che accada nulla di concreto.
Se sembrano lontani i tempi in cui certe pubblicità sembravano erotizzare la violenza sulle donne, continuiamo a vivere dentro al tempo dei femminicidi ogni tre giorni e della comunicazione sessista pervasiva. Se vogliamo davvero provare a venir fuori da questa bolla misogina in cui tutti, a vari livelli, siamo immersi, è bene che ci mordiamo la lingua ogni volta che stiamo per pronunciare un commento potenzialmente sessista, e che mettiamo quotidianamente in discussione il nostro sguardo sulle donne. Ed è bene che a mettersi in discussione sia proprio chi si professa femminista sui grandi temi ma poi, nei gesti quotidiani, continua a usare pesi e misure diversi nel leggere e giudicare il comportamento di donne e uomini, usando sistematicamente maggiore severità con le prime e più indulgenza verso i secondi.
L'articolo Ci piace mostrarci paritari ma abbiamo tutti ancora troppi comportamenti misogini. Anche tra donne. proviene da THE VISION.