Canada, Panama, Groenlandia, Cina: così gli Stati Uniti si preparano alla guerra

I piani di guerra degli Stati Uniti, della Cina e la profezia di Lincoln. L'intervento di Francesco D'Arrigo

Mar 24, 2025 - 12:16
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Canada, Panama, Groenlandia, Cina: così gli Stati Uniti si preparano alla guerra

I piani di guerra degli Stati Uniti, della Cina e la profezia di Lincoln. L’intervento di Francesco D’Arrigo

Ormai è chiaro a tutti che l’amministrazione Trump non rappresenta una semplice alternanza tra democratici e repubblicani, ma un vero e proprio ribaltamento ideologico, dei valori e delle alleanze che gli Stati Uniti hanno costruito dopo la fine della Seconda guerra mondiale.

Governando con l’intenzione di annullare ogni forma di contropotere, il presidente Trump sta incrinando le fondamenta istituzionali degli Stati Uniti, gli orientamenti economici e soprattutto ogni riferimento diplomatico.

Uno degli aspetti più preoccupanti di questa amministrazione è rappresentato dalla costante oscillazione tra isolazionismo ed interventi contraddittori annunciati, che stanno ridefinendo il potere americano come una variabile aleatoria ed inaffidabile.

Questa postura aggressiva contro partner ed alleati, una sorta di imperialismo-isolazionista, si sta palesando attraverso minacce e decisioni unilaterali, in particolare nella gestione delle guerre in Ucraina e Medioriente, nelle alleanze e nella guerra commerciale globale che ha innescato con i dazi.

La retorica protezionistica e le barriere tariffarie imposte soprattutto ai propri alleati e partner commerciali stanno alimentando un’incertezza sistemica.

Lungi dal promuovere la nuova “golden era americana” questo approccio pseudo-muscolare ha amplificato le tensioni commerciali, raffreddato gli investimenti, fatto crollare i listini azionari, con il rischio di una stagnazione unita a un’impennata dell’inflazione. Affermando di ripristinare la prosperità perduta, Trump sta indebolendo l’architettura economica globale.

In politica estera, l’improvvisa sfiducia di Washington nelle alleanze e nelle istituzioni multilaterali ha fatto crollare la credibilità degli Stati Uniti, favorendo la diplomazia transazionale e la vicinanza ai regimi autoritari, la Casa Bianca sta delegittimando il ruolo stabilizzatore degli Stati Uniti.

Una scomposizione geopolitica che accentua le minacce poste da Russia, Cina, Iran e Corea del Nord con rivalità che lasciano vuoti geostrategici che verranno certamente colmati da altre potenze emergenti.

I piani di guerra degli Stati Uniti

Il presidente Donald Trump, sin dal discorso di pre-insediamento ha esplicitato la sua nuova dottrina di politica estera imperialista, e da quel giorno non ha mai smesso di minacciare di annettere agli Stati Uniti il Canada e la Groenlandia, di voler riprendere il controllo del Canale di Panama, di costringere il presidente Zelensky a cedere il 50% di terre rare e risorse minerarie ucraine per ripagare gli Usa del sostegno ricevuto nei 3 anni di aggressione russa, di imporre dazi a tutti i Paesi che commerciano con gli Usa.

Per comunicare ai media di tutto il mondo e a chiunque lo incontri questa nuova postura “America first”, oltre ad aver rivoluzionato il look dello Studio Ovale della Casa Bianca, ha riorganizzato i ritratti dei suoi predecessori, mettendo in primo piano quello dell’undicesimo presidente degli Stati Uniti, James K. Polk, che evidentemente il tycoon ha scelto come suo nuovo mentore geopolitico.

In soli quattro anni in carica, il presidente Polk annesse con la forza delle armi il Texas, un terzo del territorio del Messico, inclusa la California, il Nevada ed altri territori trasformando gli Stati Uniti in una potenza continentale. Diverse similitudini associano il presidente Polk al suo successore Trump II: entrambi hanno fatto una campagna elettorale imperialista per l’annessione di nuovi territori; entrambi rappresentano candidati che hanno inaspettatamente vinto le elezioni presidenziali degli Stati Uniti.

Il presidente Polk è anche spesso associato al concetto di “dark horse” (incognita) o anche di “predestinato”, una dottrina cara a una frangia della destra e dell’estrema destra americana. il presidente Donald Trump sta sfruttando in maniera inquietante il concetto di predestinato, associando un significato religioso al fallito tentativo di assassinarlo mentre teneva un comizio elettorale in Pennsylvania, il 13 luglio 2024: “Il proiettile che mi ha colpito di striscio ad un orecchio è stato deviato da un miracolo di Dio, permettendomi di sopravvivere per salvare la nazione”.

Una manovra politica che alimenta il culto messianico della fanbase del movimento di Trump con rituali alla Casa Bianca in cui politici, influencer, esponenti del conservatorismo religioso e telepredicatori evangelici fautori della dottrina della “prosperità”, che sostengono sia stato l’intervento di Dio a salvarlo dal recente attentato. Il presidente ha anche firmato un ordine esecutivo per aprire un “Faith Office” alla Casa Bianca, guidato dalla telepredicatrice Paula White, considerata la consigliera spirituale di Trump, con l’obiettivo di trasformare gli elettori in devoti.

Dopo aver posto il suo primo mandato sotto il segno del presidente Andrew Jackson, il 47° presidente degli Stati Uniti oggi, oltre a James K. Polk, si affida anche al 25° presidente William McKinley, famoso per l’imposizione di dazi. Altro elemento in comune tra l’attuale inquilino della Casa Bianca e questi due presidenti riguarda l’espansione territoriale che nel diciannovesimo secolo crearono le condizioni per una forte crescita economica, trasformando gli Stati Uniti in una superpotenza. Un’età dell’oro nordamericana della fine del diciannovesimo che però fu vantaggiosa solo per pochi ricchi industriali, come avviene oggi con i tecno-oligarchi.

Panama

Gli Stati Uniti e Panama sono vincolati da un trattato a difendere il canale da qualsiasi minaccia alla sua neutralità e Washington è autorizzata ad intraprendere azioni unilaterali per garantirla. Recentemente la Casa Bianca ha sostenuto la cordata formata da BlackRock, Global Infrastructure Partner e Msc nell’acquisizione dei due porti alle estremità del Canale di Panama, che ne assicurano il controllo in entrata ed in uscita del Canale, di proprietà del gruppo cinese Ck Hutchison. Ciononostante, il presidente Trump non ha mai escluso l’uso della forza per riprendersi il controllo strategico del Canale di Panama per sottrarlo definitivamente all’influenza cinese.

Non soddisfatto dell’acquisto dei due porti di accesso, ha fatto un ulteriore passo verso tale opzione chiedendo al Pentagono di elaborare varie “opzioni” per riprendere il controllo totale del canale. L’Ammiraglio Alvin Holsey, Comandante delle Forze meridionali degli Stati Uniti (SOUTHCOM), ha già presentato le proposte di strategie militari al segretario alla Difesa, Pete Hegseth, che il prossimo mese dovrebbe visitare Panama. Gli scenari possibili vanno dall’aumento della pressione militare attraverso il rafforzamento della presenza della US Navy nell’area, all’opzione di espropriare il Canale. L’uso della forza, sarebbe direttamente collegato all’eventuale insufficiente collaborazione delle autorità locali.

Canada

L’ex giornalista del Washington Post Peter Carlson, in un suo recente articolo racconta come è venuto a conoscenza di un piano militare per attaccare il Canada, progettato nel 1930 e ritornato in auge con il secondo mandato del presidente Trump..

Carlson, nel 2005 mentre effettuava delle ricerche studiando dei file declassificati negli Archivi Nazionali di College Park, ha potuto visionare e fotografare le 94 pagine di una pianificazione militare del 1930 classificata “Top-Secret” che gli Stati Uniti hanno progettato e poi declassificato negli anni ’70, per invadere il Canada.

Il Piano denominato “War Plan Red” (Piano di Guerra Rosso), nell’attuale contesto di crescenti tensioni tra Usa e Canada scatenate dall’Amministrazione Trump, potrebbe essere riesumato, adattato ed implementato per realizzare l’obiettivo di annettere il Canada e farlo diventare il “51° Stato” americano. Quello visionato da Carlson è un documento di 94 pagine intitolato “Joint Army and Navy Basic War Plan — Red”, con la parola SECRET stampata sulla copertina. Si tratta di un piano audace, di un piano imponente, di un piano che descrive dettagliatamente come invadere, conquistare e annettere l’Alleato.

Il Piano di Guerra Rosso fu redatto e approvato dal Dipartimento della Guerra nel 1930, poi aggiornato nel 1934 e nel 1935. Declassificato nel 1974, quando la parola “SEGRETO” è stata cancellata con un pennarello nero. Il Piano di Guerra Rosso fu in realtà progettato per una guerra contro l’Inghilterra. Alla fine degli anni ‘20, gli strateghi militari americani svilupparono piani anche per una guerra contro il Giappone (nome in codice Orange), la Germania (Black), il Messico (Green) e l’Inghilterra (Red). Gli americani immaginavano un conflitto tra gli Stati Uniti (Blu) e l’Inghilterra per il commercio internazionale: “L’obiettivo bellico del ROSSO in una guerra con il BLU è concepito per essere la definitiva eliminazione degli Stati Uniti come rivale economico e commerciale”. In caso di guerra, i pianificatori americani pensavano che l’Inghilterra avrebbe usato il Canada – allora un dominio britannico semi-indipendente – come rampa di lancio per “un’invasione diretta del territorio BLU”. Gli strateghi militari prevedevano una guerra “di lunga durata” perché “la razza rossa” è “più o meno flemmatica” ma “nota per la sua capacità di combattere fino alla fine”. Inoltre, se canadesi e inglesi rinforzati da truppe “di colore” provenienti dalle loro colonie avessero vinto la guerra, i pianificatori prevedevano che “Crimsom” (Canada) avrebbe preteso anche l’annessione dell’Alaska.

Se da oltre un secolo gli Stati Uniti aspirano e progettano di sottomettere il Canada, se e quando dovessero invaderlo, nessuno potrà dirsi sorpreso come è successo con l’invasione dell’Ucraina lanciata dal presidente Putin. Anche lui lo aveva più volte pubblicamente annunciato e dimostrato di volerlo fare, con le diverse annessioni della Crimea nel 2014, l’”Operazione Militare Speciale” del 2022 e le sue ulteriori ed altrettanto palesate ambizioni nei confronti di Paesi baltici ed ex Sovietici.

Cina

I leader cinesi ritengono che gli Stati Uniti siano distratti dai conflitti interni e con i loro alleati e che la loro leadership manchi di visione strategica. La Cina è molto scettica su ciò che Trump sta cercando di ottenere e non vede una grande strategia sulla politica estera degli Stati Uniti. Anzi, Pechino ritiene che gli sforzi di Trump alla lunga crolleranno sotto il peso delle sue stesse contraddizioni ideologiche e dell’inevitabile opposizione che il quarantasettesimo presidente degli Stati Uniti riceverà dal sistema politico americano ed internazionale.

Pechino pensa che gli Stati Uniti sono intenzionati ad intraprendere azioni militari per il controllo di Panama e/o della Groenlandia, e di conseguenza Xi Jinping si prepara ad attaccare Taiwan.

Stando così le cose, diventa più probabile, piuttosto che meno, che la Cina faccia un calcolo strategico sul fatto che potrebbe presentarsi il momento ideale per colpire uno dei suoi vicini. L’attacco potrebbe avere come obiettivo le Filippine nel Mar Cinese Meridionale, o le contestate isole Senkaku nel Mar Cinese Orientale, o forse la stessa Taiwan. In ogni caso, Pechino ritiene che Trump, sempre più isolato dagli alleati occidentali, sarà sopraffatto e incapace di impedire le azioni della Cina o di invertirle una volta completate. Che questo sia vero o meno è irrilevante: questo è ciò che credono molte élite cinesi.

Questa linea di pensiero non deve essere presa alla leggera. Nel corso della storia, sono stati commessi gravi errori di calcolo strategico da parte di nazioni emergenti che credevano che i loro rivali di status quo non fossero più le potenze dominanti di un tempo. A volte queste supposizioni sono corrette, come quando il Giappone attaccò l’Impero russo in difficoltà nel 1904, giudicandolo eccessivamente esteso e debole. Altre volte, queste convinzioni si rivelano rovinose per la potenza attaccante, come quando il Giappone agì sulla base delle stesse premesse contro gli Stati Uniti quarant’anni dopo.

Il protagonismo di Elon Musk

Elon Musk, l’uomo ombra del presidente Trump che dirige il Department of Government Efficiency (DOGE), che con il suo processo decisionale oltre a destrutturare l’intero sistema pubblico, sta acutizzando la polarizzazione della società americana e minando la fiducia nelle istituzioni, mostra un irrefrenabile interesse anche per tutto ciò che riguarda la politica estera e quella di sicurezza nazionale degli Stati Uniti. Di recente ha espresso forti critiche con post pubblicati sulla sua piattaforma X sulle acquisizioni di sistemi di difesa, chiedendo al Pentagono di interrompere i finanziamenti per la produzione e gli acquisti di caccia F-35 della Lockheed Martin, suggerendo di sostituirli con una grande flotta di droni. “I caccia con equipaggio sono sistemi obsoleti nell’era dei droni. Faranno solo uccidere i piloti”. Affermazioni che denotano una scarsa conoscenza strategica e che probabilmente derivano dal fatto che la Lockheed Martin è uno dei maggiori concorrenti di SpaceX (di proprietà di Musk) nei lanci nello Spazio.

Nondimeno, venerdì 21 marzo, ricevuto dal nuovo Segretario alla Difesa Pete Hegseth, il DOGE ha visitato il Pentagono, creando un ennesimo vortice di critiche sui suoi enormi conflitti di interesse e altrettanti sospetti sul nulla osta di segretezza che possiede. Secondo indiscrezioni comparse sui principali media, il super consigliere di Trump avrebbe dovuto ricevere un briefing su temi militari Top-secret concernenti alcuni progetti tecnologici e in particolare sui piani di guerra segreti. Piani di guerra che potrebbero provocare ripercussioni imprevedibili sui suoi interessi in Cina.

Mentre l’amministrazione Trump non riesce ad uscire dalla frenesia mediatica che avvolge la Casa Bianca dal suo insediamento, i cinesi potrebbero prepararsi a colpire. Il presidente cinese Xi Jinping, da un lato risponde colpo su colpo ai dazi, dall’altro sta inviando messaggi concilianti a Trump ed agli europei, con l’obiettivo di negoziare accordi commerciali ed assumere un rilevante ruolo nei processi di pace in Ucraina e Medioriente. La pace fa bene agli affari. Ma anche la guerra può essere un bene per gli interessi di nazioni imperialiste, soprattutto se si è un leader cinese che ritiene il proprio Paese abbia raggiunto una potenza tale da poter attaccare Taiwan e minacciare gli altri suoi vicini, senza temere la reazione di un Occidente indebolito dalla dottrina di politica estera trumpiana.

Una recente ondata di video di propaganda cinese è proliferata sui media cinesi, immediatamente diventata virale a livello globale. Una campagna che fa mostra di modernissime navi, aerei, droni, modernissimi sistemi d’arma affidati ad un esercito di 2 milioni di uomini in servizio attivo e in stand-by 24 ore su 24, 7 giorni su 7. Questi video di propaganda sottolineano il fatto che la Cina ha la maggiore capacità di mobilitazione di tutta l’Asia orientale. I video spiegano poi che la Cina è pronta a operare al “livello uno di prontezza”, uno stato di preparazione militare che è stato attivato solo sei volte dalla fondazione del Partito Comunista Cinese. Il livello uno è l’equivalente di Defcon One nell’esercito degli Stati Uniti. Se attivato, significa che la Cina è in guerra.

Sebbene i video di propaganda siano generalmente progettati per operazioni di guerra psicologica, per fuorviare, ingannare e disinformare, il fatto che questi video stiano proliferando nei media di tutto il mondo, indica che in Cina sta prendendo forma una narrativa ufficiale. Questa narrazione è che l’esercito cinese può – e probabilmente lo farà – intraprendere un’azione drastica contro uno dei suoi vicini. Lo stanno facendo perché i leader cinesi ritengono che gli Stati Uniti siano distratti e che la loro leadership sia indebolita e manchi di visione strategica. Una intensissima campagna di propaganda per comunicare che la Cina è più che mai pronta ad avviare una massiccia azione militare contro uno dei suoi vicini – molto probabilmente, anche se non certamente, Taiwan.

Ma Pechino, Xi Jinping e le élite cinesi si sbagliano nelle loro valutazioni, proprio come le élite giapponesi che ottantacinque anni fa spingevano per una guerra con gli Stati Uniti. A prescindere da come andranno i rapporti con gli Stati Uniti, la coalizione dei volenterosi si sta velocemente organizzando e vede sempre più nazioni aderire al progetto di difesa comune ed in sostegno dell’Ucraina.

In questa situazione di tensioni tra Usa e EU, anche la Cina sta avanzando la propria disponibilità all’invio di forze di peacekeeping in Ucraina, su un piano parallelo a quello europeo, da un lato volto a rassicurare il suo partner russo, dall’altro per tutelare i propri interessi economici e geopolitici. Partecipare a una missione in ucraina significa garantirsi un ruolo di primo piano nella fase di ricostruzione post bellica dell’Ucraina, tutelare i propri investimenti minerari e soprattutto proiettare un’immagine da potenza responsabile e affidabile. Le fratture tra l’amministrazione Trump e l’Ue sono un’occasione inaspettata per un rapido riavvicinamento Cina-Europa. E Pechino non si lascerà sfuggire questa opportunità, mettendo in campo operazioni strategiche per ricostruire il proprio soft power in seno alla Ue, minato dal suo sostegno all’”Operazione Militare Speciale”.

Groenlandia

Il presidente Trump intende “rendere la Groenlandia di nuovo grande” e ha definito la proprietà americana dell’isola artica come “una necessità assoluta” per la sicurezza nazionale americana. Il tycoon ha ribadito il concetto anche in una telefonata con la premier danese Mette Fredriksen, i cui toni sono stati definiti “controversi e aggressivi”.

Anche la Groenlandia fa parte dei piani di guerra Usa sin dal secolo scorso. Durante il secondo conflitto mondiale, l’isola fu un protettorato statunitense ed accettò di ospitare truppe americane dopo l’invasione nazista della Danimarca. La più grande isola del mondo venne proclamata dal presidente Franklin D. Roosevelt parte integrante della zona di influenza degli Stati Uniti, nonostante la sua appartenenza alla corona danese. Il presidente Trump ritiene che l’annessione della Groenlandia da parte degli Stati Uniti si verificherà, perché gli Stati Uniti hanno bisogno della grande isola artica – “per la sicurezza internazionale”.

Per tutti questi motivi, oggi non bisogna ripetere gli errori di valutazione commessi a marzo 2022, quando molti esperti italiani di geopolitica escludevano e minimizzavano ogni velleità bellica della Federazione russa. Non bisogna assolutamente sottovalutare l’imprevedibilità e le ambizioni strategiche della nuova Amministrazione Trump.

L’America ha dichiarato guerra a sé stessa?

Osserveremo attentamente gli sviluppi che nei prossimi mesi nell’Atlantico, nell’Indo-Pacifico e nell’Artico, con l’auspicio che non si realizzi la profezia del presidente Abraham Lincoln.

Nel gennaio del 1838, il presidente degli Stati Uniti Abraham Lincoln avvertì in un discorso a Springfield, nell’Illinois, dei pericoli che minacciavano gli Usa: “Se il pericolo dovesse mai raggiungerci, sorgerà in mezzo a noi. Non può venire dall’esterno. Se il nostro destino è la distruzione, noi stessi ne saremo gli autori e gli artefici. Come nazione di uomini liberi, dobbiamo vivere per l’eternità, o morire suicida”.

L’uomo che sarebbe diventato il sedicesimo presidente americano anticipò così una verità senza tempo: le democrazie non muoiono sotto i colpi delle forze ostili, ma sotto l’effetto delle loro stesse contraddizioni. Questo avvertimento sta risuonando sempre più forte in occidente di fronte ai recenti sconvolgimenti nella leadership degli Stati Uniti.