Cambiamenti climatici e vino: le sfide della viticoltura moderna
Il vino affronta sfide climatiche globali: gelate, grandine e siccità influenzano la produzione e la qualità.

Dal Caucaso alla Grecia, passando per l’antica Roma, le grandi pianure europee e infine le vallate soleggiate della provincia del Capo o California. L’epopea del vino appare tutt’altro che lineare, è la storia di un continuo bilanciamento fra una pianta dall’apparenza fragilissima e le condizioni meteo che ha incontrato lungo il suo viaggio. Ora l’aspetta forse la sfida più grande, come Stefano Poni, docente alla sede di Piacenza dell’Università Cattolica di Milano, spiega ai suoi studenti più o meno a partire dal 2003, l’anno che all’improvvisò precipitò l’Europa nell’epoca dei cambiamenti climatici.
Professor Poni, cosa significa oggi parlare di cambiamenti climatici in relazione al mondo del vino? "Un esempio da portare all’attenzione è quanto successo alcuni giorni fa in molte aree della Puglia, dove si sono verificati forti danni da gelata tardiva. È un tipico effetto del cambiamento climatico, benché possa apparire controintuitivo: le viti sono germogliate molto presto, addirittura ai primi di marzo. Trovandosi in piena vegetazione è stata sufficiente una notte con due gradi sotto zero per danneggiare l’annata agricola".
Ma non è l’unico aspetto, non è così? "Un altro elemento parimenti controintuitivo è la frequenza dei danni da grandine, che si somma a quelli causati dallo stress idrico, o dal ristagno delle acque alluvionali, che porta con sé effetti di lungo periodo. Un altro problema è inerente alla qualità: se l’uva matura quando fa molto caldo è difficile conservare certi profumi, o l’acidità che serve agli spumanti. Anche qui ci sono però delle soluzioni: si possono fare ottimi rosati utilizzando uve con diverse maturazioni".
Le siccità estive hanno come risultato vini dalla gradazione alcolica elevata, mentre le preferenze del mercato vanno in direzione opposta. Che fare? "Purtroppo è così: in Nuova Zelanda proprio in questo momento si stanno lasciando molti vigneti non vendemmiati. Ma è una questione legata anche al moltiplicarsi dei dazi, oltre che all’evolvere del gusto".
Quali soluzioni andranno adottate per difendere le viti dai cambiamenti climatici? "Occorrerà lavorare di più in vigna per tutelarsi dagli eventi estremi. La tecnologia arriva in aiuto e ci si può dotare per esempio di sistemi di irrigazione con una triplice funzione: non solo idrica, ma anche anti-brina e di climatizzazione. Ma perché sia possibile occorre avere acqua a disposizione, il che non è sempre scontato nelle condizioni che si possono presentare. Le produzioni minori sono quelle più a rischio: in Romagna oggi il modello viticolo che regge l’urto in maniera migliore è il Trebbiano della zona ravennate. Con 250 quintali di uva all’ettaro le imprese stanno a galla, un rosso da 60 quintali all’ettaro è problematico".
Si parla addirittura di possibili problemi dati dall’ingressione marina, per esempio ai vini delle sabbie, che resistettero alla fillossera. "I dati sperimentali sono pochissimi. Ma se anche dovesse essere confermato, anche in questo caso ci sono delle soluzioni possibili. Forse andrà adottata la soluzione che fu schivata appunto un secolo fa, e cioè ricorrere a un portainnesto. È d’altronde quello che già stanno facendo gli australiani, ricorrendo a varietà che riducano il problema legato alla salinità dei suoli".
I ricercatori sono al lavoro per mitigare gli effetti del riscaldamento globale, non è così? "Sì, ma anche l’adattamento ha un limite. Se in una zona fa molto più caldo arriva il punto in cui quel tipo di prodotto diventa impossibile. L’adattamento che possiamo portare in vigna è alto, ma fino a un certo punto".