Calvet (Tikehau Capital). “Guardiamo con favore ai bond high Yield europei)

Laurent Calvet (nella foto), head of Fixed Income Strategies di Tikehau Capital illustra la sua view sul settore del reddito fisso, dove preferisce i bond europei  Qual è il vostro outlook generale sul mercato obbligazionario Per quasi un decennio, il credito è stato considerato principalmente un prodotto a spread. Tuttavia, con tassi di interesse persistentemente... Leggi tutto

Mar 24, 2025 - 18:03
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Calvet (Tikehau Capital). “Guardiamo con favore ai bond high Yield europei)

Laurent Calvet (nella foto), head of Fixed Income Strategies di Tikehau Capital illustra la sua view sul settore del reddito fisso, dove preferisce i bond europei

 Qual è il vostro outlook generale sul mercato obbligazionario

Per quasi un decennio, il credito è stato considerato principalmente un prodotto a spread. Tuttavia, con tassi di interesse persistentemente elevati, il segmento si è evoluto in un’opportunità di rendimento interessante. Grazie al suo potenziale di generare un reddito costante attraverso effetti di capitalizzazione e rendimenti regolari da cedole, il credito può svolgere un ruolo centrale nei portafogli degli investitori. Un’opinione diffusa sostiene che gli attuali spread creditizi siano eccezionalmente ristretti rispetto agli standard storici. Gli spread servono a compensare il rischio aggiuntivo che gli investitori assumono acquistando obbligazioni corporate anziché titoli di Stato con pari scadenza. La questione fondamentale non è però se gli spread siano storicamente ridotti, ma se siano sufficienti a compensare le future perdite creditizie. Se prendiamo ad esempio il mercato europeo High Yield, ipotizzando un tasso di default medio annuo del 3% e una perdita in caso di default del 70%, la perdita creditizia annua attesa ammonta al 2,1% (3% x 70%). Sebbene lo spread attuale del 3% possa sembrare ristretto rispetto ai dati storici, appare più che adeguato a coprire le perdite attese.

Al di là degli spread, e nonostante una certa inquietudine dovuta alle minacce di dazi e alle tensioni commerciali, i fondamentali delle aziende restano solidi. I principali indicatori di credito, tra cui leva finanziaria, copertura degli interessi e liquidità, si attestano a livelli storicamente sani[1]. Le aziende continuano a mantenere solidi margini di profitto, mentre un mercato primario attivo negli ultimi 18 mesi ha permesso loro di rifinanziare efficacemente il proprio debito. Di conseguenza, le preoccupazioni legate alla cosiddetta “maturity wall” del 2025-2026 sono state significativamente posticipate.

Inoltre, la liquidità delle imprese rimane solida, con una riduzione costante della leva finanziaria negli ultimi anni grazie all’ambiente caratterizzato da tassi elevati. I tassi di default sono stabili e il previsto calo dei tassi di breve termine, guidato dalla normalizzazione della politica monetaria di Fed e BCE, offrirà ulteriore supporto alla liquidità. Inoltre, la rotazione tra asset class sta generando afflussi significativi nel reddito fisso, che sta attualmente vivendo una fase di “scarsità di asset”, in particolare nel segmento del credito, contribuendo a mantenere gli spread su livelli contenuti.

 

Qual è la vostra view sulle politiche monetarie delle principali banche centrali? 

L’inflazione e la crescita economica in Europa restano inferiori rispetto agli Stati Uniti, rendendo più lineare la prospettiva di un allentamento della politica monetaria nella zona euro. Tuttavia, la regione si trova ad affrontare shock emergenti su due fronti, derivanti sia da bruschi cambiamenti nel commercio globale sia da un’attenzione crescente alla spesa nel settore della difesa. Sebbene maggiori investimenti in difesa possano generare pressioni inflazionistiche, il contesto di disinflazione, rallentamento economico e indebolimento del commercio globale dovrebbe garantire alla BCE sufficiente margine di manovra per proseguire nella riduzione dei tassi di interesse.

Negli Stati Uniti, la narrazione economica è passata da uno shock inflazionistico a una questione legata alla crescita, influenzata in gran parte dalle politiche del presidente Trump. Nonostante ciò, le attuali aspettative di mercato, che prevedono quasi tre tagli dei tassi entro la fine dell’anno, potrebbero risultare eccessive rispetto allo stato attuale dell’economia e dell’inflazione, lasciando spazio a possibili delusioni per gli investitori.

Indipendentemente dall’andamento dei tassi nell’immediato, riteniamo che il vero driver della volatilità possa essere un ulteriore irripidimento della curva dei rendimenti. Ciò sarebbe determinato non solo dall’evoluzione nelle aspettative sui tassi di breve termine, ma anche da un aumento dei rendimenti a lungo termine.

Diversi fattori potrebbero contribuire a un’inflazione di lungo periodo persistentemente più elevata rispetto all’ultimo decennio. Tra questi, le politiche dell’era Trump—come dazi, restrizioni sull’immigrazione e deregolamentazione—insieme a trend strutturali più ampi, tra cui la transizione energetica, i cambiamenti demografici e la deglobalizzazione. Inoltre, la necessità di un premio a termine più alto, in un contesto di persistenti incertezze geopolitiche, potrebbe esercitare ulteriore pressione al rialzo sui rendimenti a lungo termine.

Al di fuori di profonde recessioni o periodi di guerra, i deficit pubblici si attestano attualmente vicino ai massimi storici e il loro finanziamento richiederà probabilmente un aumento dell’emissione di obbligazioni. Questa dinamica ha già esercitato i tassi a lungo termine, come osservato negli Stati Uniti e nel Regno Unito, e sta diventando sempre più evidente anche in Europa, nel contesto del dibattito crescente sulla spesa per la difesa e le infrastrutture. L’interazione tra politica fiscale e politica monetaria sarà determinante nel plasmare le aspettative di mercato e il sentiment degli investitori nei prossimi mesi.

 

Avete delle preferenze a livello geografico all’interno del mercato obbligazionario? 

Da tempo siamo sostenitori dell’Europa. Ciò che fino a poche settimane fa rappresentava una posizione contrarian sta diventando sempre più una visione ampiamente condivisa. Sebbene l’Europa debba affrontare una serie di sfide —dalla bassa crescita e competitività all’instabilità politica e alle minacce tariffarie—questi rischi sono ormai ampiamente riconosciuti dagli investitori. Tuttavia, in un contesto in cui il sentiment di mercato è stato dominato dai rischi al ribasso e da un pessimismo ai massimi (sebbene ora in leggero calo), l’Europa può contare su diversi fattori a suo favore.

Innanzitutto, i risparmi delle famiglie hanno raggiunto un massimo post-COVID, attestandosi al 15,6% del reddito disponibile, circa il 3% al di sopra della media storica. Un ritorno ai livelli di risparmio normali potrebbe tradursi in un incremento del PIL annuo di circa il 2%.

In secondo luogo, il ciclo del credito bancario mostra segnali di ripresa. La domanda interna è strettamente correlata all’andamento dei flussi di credito verso il settore privato non finanziario—noto come credit impulse—e questo indicatore è in crescita. Dopo una fase di stagnazione nel 2023, i prestiti bancari sono aumentati fino all’1% del PIL lo scorso anno, pur restando al di sotto del picco del 2022, che si attestava vicino al 6% del PIL. Questo suggerisce che vi sia ancora ampio margine per un ulteriore miglioramento.

In terzo luogo, l’Europa sta beneficiando di un mix di politiche favorevole, con il sostegno congiunto della politica monetaria e fiscale, che contribuisce a garantire maggiore stabilità economica e a rafforzare le prospettive di crescita.

In quarto luogo, l’incertezza politica è destinata a diminuire, mentre gli stimoli fiscali—soprattutto attraverso l’aumento della spesa per la difesa e le infrastrutture—sono attesi in forte crescita.

In quinto luogo, l’impatto dei dazi statunitensi, spesso considerato un rischio chiave, potrebbe rivelarsi più gestibile del previsto. Solo il 2,5% del PIL europeo è direttamente esposto all’economia statunitense, suggerendo un impatto macroeconomico significativo ma contenuto[5].

Infine, la prospettiva di un cessate il fuoco in Ucraina potrebbe rappresentare un importante catalizzatore positivo per gli asset europei, riducendo l’incertezza geopolitica e rafforzando la fiducia degli investitori.

Per gli investitori disposti a guardare oltre il pessimismo attuale, questi fattori delineano un quadro di una regione con un significativo potenziale di crescita e valutazioni ragionevoli. Riteniamo che l’Europa rimanga l’unico mercato profondo, attraente e ben strutturato per chi cerca diversificazione rispetto agli Stati Uniti—sia per ragioni politiche, sia per valutazioni o leadership settoriale (Tech nell’azionario, Energia nel credito).

 

Ci sono delle asset class che preferite nel reddito fisso?

Nell’universo del reddito fisso, privilegiamo il segmento High Yield europeo, che continua a offrire un carry storicamente interessante, con spread che compensano adeguatamente le perdite creditizie attese. Grazie a fondamentali solidi e a un forte supporto tecnico, riteniamo che il credito High Yield rappresenti ancora un’interessante opportunità di investimento nel contesto attuale.

Nel reddito fisso High Yield europeo, vediamo valore in un approccio a short duration, per mitigare la volatilità potenziale dei tassi. Manteniamo il nostro focus sulla qualità, con obbligazioni BB selezionate come componente centrale del portafoglio, selezionando titoli di rating CCC laddove individuiamo inefficienze di mercato, e titoli finanziari subordinati europei, dove riteniamo che il profilo di rendimento corretto per il rischio sia particolarmente interessante.