Calcagno, Assocalciatori: «I calendari fitti portano a danni economici importanti. Così si rischia di rovinare questo sport»
Il calcio mondiale si trova a un bivio e i professionisti del settore chiedono risposte. Se da un lato il business è in crescita costante, con sempre più competizioni internazionali e un fatturato di 47 miliardi di dollari, dall’altra i calendari sempre più fitti e gli impegni costanti rischiano di arrecare danni tanto alla salute […] L'articolo Calcagno, Assocalciatori: «I calendari fitti portano a danni economici importanti. Così si rischia di rovinare questo sport» proviene da ilBollettino.

Il calcio mondiale si trova a un bivio e i professionisti del settore chiedono risposte. Se da un lato il business è in crescita costante, con sempre più competizioni internazionali e un fatturato di 47 miliardi di dollari, dall’altra i calendari sempre più fitti e gli impegni costanti rischiano di arrecare danni tanto alla salute dei calciatori quanto allo spettacolo offerto.
«L’Assocalciatori insieme alla FIFPro (il sindacato mondiale dei calciatori, nda) ha iniziato ad analizzare questo problema da ormai prima della pandemia. I primi dati che abbiamo sono del 2017, poi aggiornati nel 2019. Abbiamo denunciato sin da subito cosa sarebbe potuto accadere, ed effettivamente è ciò che si sta verificando oggi.» dice Umberto Calcagno, Presidente dell’Assocalciatori.
«I top player non riescono più, specialmente nella seconda parte della stagione, a essere efficienti e a esprimersi al massimo. Una volta arrivati a giocare un certo numero di partite, è fisiologico che ci sia un calo, anche se si tratta di grandi campioni che, oltre a essere talentuosi, sono fisicamente migliori degli altri. In questo ragionamento si inserisce anche la questione degli infortuni, che costano alle società, per gli stipendi pagati a vuoto, ma anche per i mancati obiettivi raggiunti.
Perché poi, in una rosa di 30 giocatori, 8 normalmente giocano il 50% del minutaggio di tutta la squadra. Si concentra dunque sui migliori, sugli insostituibili, il carico di lavoro e quindi gli infortuni. Con il rischio di rovinare la parte migliore del nostro spettacolo. Spesso ci viene rimproverato che non vogliamo il Mondiale per club, non vogliamo la nuova Champions League, non vogliamo maggiori introiti.
In realtà, nessuno vuole contrastare le attività economiche che girano intorno al nostro settore. Dobbiamo semplicemente trovare una giusta via di mezzo e soprattutto capire come le eventuali risorse derivanti da tali novità verranno utilizzate».
Il dialogo con le istituzioni
Le istituzioni sportive si mostrano aperte a dialogare su questo tema?
«Sotto questo punto di vista, con la Lega Calcio siamo schierati dalla stessa parte, ma abbiamo un contenzioso aperto insieme contro la FIFA.» precisa Umberto Calcagno: «Oggi, per la prima volta, c’è qualche apertura di dialogo perché anche il Presidente FIFA Gianni Infantino si sta rendendo conto che la corda, se non si è già rotta, è prossima al cedimento. È un ragionamento che va fatto: la salute del calciatore va a braccetto con la redistribuzione delle risorse.
Ci dobbiamo chiedere se, in un Mondo che è anche e soprattutto sportivo, sia giusto concentrarne una parte così importante su poche squadre. Perché oggi Champions League, Mondiale per club e via dicendo rischiano di creare un divario che diventerà poi incolmabile e che si rifletterà sui campionati nazionali. Pensiamo per esempio alla Francia, che ha venduto i suoi diritti TV al 50% in meno dell’accordo precedente. Secondo diversi studi, anche i nostri diritti interni tra 4 anni varranno molto meno rispetto a oggi.
E non perché il nostro campionato è diventato meno appetibile, ma perché se la concorrenza è formata da competizioni internazionali dove ci sono le migliori squadre, è una lotta impari. Dobbiamo anche chiederci, oltre a tutelare la salute del calciatore, che tipo di calcio vorremo per il futuro? Come intendiamo e se intendiamo, perché non ne ho ancora sentito parlare, ridistribuire le risorse che abbiamo a disposizione?»
L’appetibilità del prodotto calcio

Tutto questo ha un impatto anche su come viene venduto il calcio, per esempio ai più giovani, che fanno sempre più fatica a vedere 90 minuti di una partita?
«In futuro, io diversificherei le modalità con cui commercializzare il prodotto. Ma, per massimizzare gli introiti nel breve periodo, tendiamo poi nel medio-lungo periodo a offrire uno spettacolo più scadente, il problema lo avremo comunque.
Anche le grandi squadre rischieranno di vendere un prodotto meno appetibile di quello di oggi, perché le partite più interessanti sono quelle di fine stagione, tutto quello che gira intorno al nostro mondo si concentra negli ultimi mesi, tra finali dei tornei, Mondiale per club e via discorrendo. Quindi che tipo di performance si possono offrire? È un problema.
Voglio precisare» continua Umberto Calcagno: «Che ai calciatori piace giocare ed è ciò su cui puntano di più, però si rendono anche conto che se devono scendere in campo per 100 partite all’anno, è normale che dopo la quarantesima ci possa essere un calo a livello fisico, di ricarica psicologica e di tensione nervosa».
La minaccia sciopero

Qualche mese fa diversi calciatori di fama internazionale hanno addirittura menzionato la possibilità di scioperare se la situazione non dovesse migliorare. È uno scenario plausibile?
«Mi auguro ovviamente di no perché, se si arrivasse a un esito di questo tipo, vorrebbe dire che non si è trovato il giusto compromesso. Però è fuor di dubbio che il malessere che c’è continui ad aumentare. I top player sono molto esigenti con loro stessi: se sono campioni è anche perché nella preparazione e nell’allenamento non c’è solo talento, ma tutto un percorso che li ha portati a essere ciò che sono.
È normale che siano i primi a vivere male il fatto di non potersi esprimere al 100%. Abbiamo calcolato che queste grandi stelle riescono a svolgere 15-20 allenamenti all’anno.» l’allarme di Umberto Calcagno: «Fanno un defatigamento dopo una partita e un allenamento di rifinitura in preparazione di quella successiva, ma non si allenano quasi mai, nel vero senso del termine. Fanno poi anche 120.000 km all’anno per raggiungere le Nazionali nelle competizioni Oltreoceano. Tutte cose che, sommate, certamente rappresentano uno spunto di riflessione».
Le differenze col passato e i giovani d’oggi
Anche lei è stato un giocatore: cos’è cambiato tra il ruolo dell’atleta del passato e quello di oggi, soprattutto fuori dal campo?
«È bene fare ragionamenti riguardo ai calciatori di oggi contestualizzando il discorso. Io ho 3 figlie e, se vedo la loro adolescenza, capisco che è completamente differente alla mia.» dice Umberto Calcagno: «Vale lo stesso per lo sportivo di successo. È chiaro che, con i social e con tutto ciò che oggi ruota attorno alla celebrità, c’è bisogno di stare più attenti ai comportamenti rispetto alla nostra generazione.
Ma le difficoltà e gli svantaggi sono gli stessi di 30 anni fa. E a me sembra che la stragrande maggioranza dei giovani sia strutturata e abituata a utilizzare questi strumenti. Non credo che subiscano queste novità, perché è il loro mondo».
Secondo lei servirebbe un’educazione sulla gestione dei propri guadagni per le giovanissime stelle del calcio mondiale?
«Secondo me non è un’esigenza solo dei calciatori. Le nuove generazioni sono un po’ meno istruite se si parla di aspetti finanziari. Anche per il tipo di istruzione che abbiamo. Oggi, sempre guardando alla generazione delle mie figlie, siamo molto più orientati ai licei, piuttosto che ad altri tipi di scuole.
Ne consegue che la questione di come utilizzare le poche o tante risorse che si hanno o che si avranno a disposizione nella vita sia un problema generazionale.» continua Umberto Calcagno: «Sono convinto che lo si debba affrontare. Noi come associazione abbiamo da ormai più di 12 anni dei corsi di formazione, tra cui anche delle lezioni che riguardano gli strumenti finanziari».
Il calcio femminile nel professionismo

La Serie A Femminile è entrata nel professionismo. È un risultato importante, ma cosa cambierà ora?
«È il risultato di una generazione di ragazze che ha lottato in prima persona per i propri diritti. Un traguardo che arriva da lontano, dopo un percorso durato più di 10 anni che ha portato il calcio femminile a essere l’unico sport di squadra professionistico in Italia.» racconta Umberto Calcagno: «Insomma, è veramente un fiore all’occhiello per tutto il nostro movimento e credo che le ragazze, oltre a esserselo meritato, abbiano anche costruito attorno a questo mondo un’immagine molto bella del calcio.
Una normalizzazione, se vogliamo, del poter essere professioniste e giocare in una grande squadra. E vale anche per la Nazionale, prima col Mondiale del 2019 e adesso con gli ultimi risultati del gruppo che si è formato. Sono i due volani più importanti per il mondo femminile.
Ora c’è da lavorare tanto sulla base, è quello su cui ci concentreremo nel prossimo quadriennio in Federazione. Siamo riusciti ad ottenere il massimo per la parte apicale, oggi dobbiamo capire anche sui territori come promuovere il calcio femminile, come avvicinare le bimbe e le ragazze al nostro sport. C’è ancora qualche piccola difficoltà o qualcosa che deve essere fatto in maniera migliore sui territori».
I problemi del calcio giovanile

Il calcio giovanile in Italia sta vivendo un periodo di difficoltà, soprattutto nel valorizzare i nuovi talenti. Qual è la radice del problema?
«C’è una difficoltà oggettiva. Non so se sia il risultato di ciò che non è stato fatto o la causa di ciò che sta avvenendo, cioè che ormai il 70% dei calciatori che giocano in Serie A sono stranieri.» spiega Umberto Calcagno: «Quando giocavo io in Serie C, a metà degli anni ’90, c’era una percentuale inversa. E c’era un Mercato, dalla C verso la B e la A, che è arrivato a valere fino a 120 miliardi di vecchie Lire, cioè 60 milioni di euro.
Era un calcio che si autofinanziava verso il basso, come sta facendo oggi la Premier League con la seconda divisione inglese. Da noi invece questo ingranaggio si è inceppato. Parlando con le squadre di Serie A, ci dicono che i giovani all’estero sono più pronti dei nostri e sono più a buon Mercato. Se questo sia vero non lo so, certamente so che tanti ragazzi che oggi giocano nei campionati minori potrebbero avere qualche chance in più di giocarsela in Serie A.
Ci sono tantissimi stranieri inutilizzati ogni anno: se in mezzo a questi aggiungessimo anche solo 200 italiani, secondo me 10-15 ragazzi che poi potrebbero esplodere li troveremmo. Probabilmente dobbiamo anche cambiare la modalità con la quale si gestisce calcio giovanile.» aggiunge Umberto Calcagno: «A livello apicale, rimane nelle mani delle grandi squadre. La Lega Dilettanti ha la responsabilità di far passare modelli differenti: non la ricerca del talento, ma la promozione del calcio sui territori, un lavoro sociale. L’opposto di quello che ultimamente fanno i club di Serie A».
Le soluzioni per il futuro
Una soluzione è possibile?
«Ci sono tanti ragazzi che già a 16 anni arrivano dall’estero, quindi abbiamo difficoltà a trovare giovani formati in Italia che siano selezionabili per la nostra Nazionale. È lo stesso ragionamento che facevamo per il calcio femminile, abbiamo bisogno di una Serie A competitiva, bella e che faccia da volano per il movimento tutto.
Ma abbiamo anche bisogno di una Nazionale e della passione dei nostri tifosi. Non possiamo valorizzare l’una a discapito dell’altra. Io spero che in questo quadriennio che ci aspetta, anche in Federazione, si arrivi a un patto per valorizzare il lavoro che Serie B e Lega Pro svolgono.» dice Umberto Calcagno: «Sono convinto che si potrebbe pescare di più dalle categorie nazionali inferiori e un po’ meno dai campionati europei.
Mi viene difficile credere che in Italia non ci sia più talento, bisogna probabilmente ricercarlo anche un po’ meglio. E chissà che magari non sia la stessa Serie A a farci capire o a indicarci che cosa servirebbe per poter creare di nuovo una filiera che ormai da 15 anni non c’è più».©