Bicciato (ItaSIF): “Competitività e sostenibilità sono due facce della stessa medaglia”

Secondo il DG del Forum per la Finanza Sostenibile il rischio del processo di semplificazione è che si vada verso un’assenza di regole. Tuttavia, la revisione “non si pone come un colpo di spugna al Green Deal: i principi della transizione rimangono”, la criticità “non è nei principi ma nei tempi” L'articolo Bicciato (ItaSIF): “Competitività e sostenibilità sono due facce della stessa medaglia” proviene da FundsPeople Italia.

Mag 6, 2025 - 22:05
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Bicciato (ItaSIF): “Competitività e sostenibilità sono due facce della stessa medaglia”

Il Pacchetto Omnibus ha rivisto alcuni pilastri e principi fondamentali che stavano alla base delle strategie di sostenibilità e di finanza sostenibile. “Di fatto, la posizione della Commissione europea è la reazione a una serie di stimoli venuti dal mercato sul tema della semplificazione: uno dei principi fondanti del Piano Draghi, insieme alla competitività”, afferma Francesco Bicciato, direttore generale del Forum per la Finanza Sostenibile (ItaSIF), interrogato dal FundsPeople sui potenziali impatti dell’iniziativa con cui Bruxelles ha messo la precedente struttura normativa (ma non l’impianto in termini di obbiettivi) indirizzata al mondo della finanza sostenibile. “Il problema, soprattutto per gli investitori istituzionali e retail – afferma Bicciato –, è che questo processo di semplificazione rischia di andare verso un’assenza di regole. È importante razionalizzare le procedure, ma senza perdere tutto il percorso fatto attraverso direttive e regolamenti (da SFDR alla tassonomia, da CSRD alla CSDDD)”.

Qual è l’elemento che accomuna tutte queste normative?

Gli elementi che le accomunano tutte sono la disclosure e il controllo della filiera. Un aspetto carente in Omnibus, perché la proposta della Commissione riduce il numero delle società obbligate a rispettare la normativa, e taglia radicalmente il numero di imprese che dovranno fare la rendicontazione di sostenibilità.

Insomma, il timore è che l’intervento si traduca in una deregolamentazione che favorirà le pratiche di greenwashing?

Il problema ha due facce. Da un lato riguarda la quantità di dati a disposizione degli investitori. Investitori che in questi anni hanno lamentato la carenza e la coerenza dei dati disponibili. Se il provvedimento non verrà modificato, il problema diventerà ancora più grande. Dall'altra parte, il contesto italiano (e del Sud Europa in generale) è dominato da imprese di piccole dimensioni, che non rientrano nel nuovo perimetro della normativa. Occorre capire quindi se reagiranno utilizzando la rendicontazione come elemento di competitività o se tradurranno questo allentamento in un “liberi tutti”.

Altri punti critici?

Tra le criticità ci sono le restrizioni sulle informazioni che le aziende possono richiedere ai propri fornitori e la semplificazione eccessiva del principio DNSH contenuto nella Tassonomia UE. Cambiamenti riguardano anche il Green Asset Ratio, che vede escluse dal denominatore le esposizioni delle banche verso imprese non soggette alla CSRD.

Quali aspetti recuperare?

Questa revisione non si pone come un colpo di spugna al Green Deal: i principi della transizione rimangono gli stessi, si lascia soltanto più tempo alle imprese per adeguarsi e non si mette in discussione il modello. Il messaggio per gli investitori è che, comunque, le politiche di sostenibilità non vengono messe in discussione, ciò che viene messo in discussione è il processo per arrivare a questi obiettivi. Il rischio quindi non è nei principi ma nei tempi.

Al momento è in corso anche la revisione di SFDR, quali gli effetti dei recenti interventi europei in tema di sostenibilità?

L’obiettivo, fino a qualche tempo fa, era arrivare a una versione finale della riforma per la fine del 2025. Oggi è un obiettivo molto difficile da raggiungere perché nel frattempo è intervenuto Omnibus, e SFDR rischia di essere ulteriormente depotenziata. Continua a essere una normativa a sé stante, però produce i suoi effetti solo se è allineata alla Tassonomia, e se quest’ultima subisce una riforma in senso meno restrittivo, si riduce anche la quantità delle informazioni disponibili per il regolamento sulla disclosure. Una questione importante riguarda la categorizzazione dei prodotti, suddivisi tra prodotti sostenibili e prodotti di transizione: nella riforma di SFDR è stato infatti inserito (come fondamentale) il tema della transizione. Certo, si tratta ancora di una proposta, ma è un punto centrale nel tentativo di fare maggiore chiarezza all'interno del Regolamento.

Cosa attendersi dai prossimi mesi in termini di evoluzioni normative sulla sostenibilità? Ci sarà una maggiore organizzazione globale degli standard, oppure continuerà a essere frammentata?

Qualche mese fa la risposta a questa domanda andava in una sola direzione: armonizzare le tassonomie elaborate dai diversi Paesi. Questo perché gli investimenti sono globali, e l’interesse comune è ridurre le differenze tra mercati e legislazioni.  A oggi la cosa più prudente è monitorare con attenzione il mercato europeo, in cui si concentra ancora l’84% degli investimenti sostenibili e che continua a offrire una serie di garanzie sulla circolazione di beni e servizi. La situazione è ancora molto fluida, ma i mercati chiusi sono antitetici rispetto alla sostenibilità. È importante tenere bene a mente che competitività e sostenibilità sono due facce della stessa medaglia: non esiste una contrapposizione fra essere competitivi sul mercato ed essere sostenibili.

Tratto dalla Rivista FundsPeople n. 93

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